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Musonio Rufo: l’energia della parola
Musonio Rufo ci insegna che la parola è incompleta quando si limita a insegnarci a ragionare, è invece carica di energia quando ci aiuta anche a vivere bene
“Come potrebbe essere più importante conoscere la teoria di ciascuna cosa che averne la pratica e fare le cose secondo l’indicazione della teoria? E in effetti la pratica guida a poter fare, mentre il conoscere la teoria delle cose a potere parlare. Contribuisce senz’altro all’azione la teoria che insegna come si deve agire ed è nell’ordine prima della pratica, giacché non è possibile che sia pratico a fare qualcosa di bello chi non ci si abitua secondo la teoria, ma per la potenza la pratica supera la teoria perché è più efficace della teoria a guidare gli uomini all’azione”.
Musonio Rufo, Diatribe, V.
Musonio Rufo, nato attorno al 30 d. C. e morto verso la fine del I secolo d. C., è uno dei rappresentanti di spicco, insieme a Seneca , Marco Aurelio, Epitteto, della filosofia dell’età imperiale. Pur senza la profondità spirituale e l’ampiezza concettuale degli altri tre, egli rappresenta assai bene la vitalità e la diffusione dello stoicismo e del socratismo, in chiave ellenistica, e del cinismo nell’età imperiale. La sua raffinata filosofia eclettica, in ambito romano, ci offre interessanti spunti di riflessione sul nostro modo di stare al mondo.
Musonio Rufo ci aiuta in particolare a sgombrare il campo da una – purtroppo! – sedimentata opinione comune, secondo cui la filosofia sarebbe un abile esercizio concettuale, senza, però, alcun aggancio alla vita concreta, alla quotidianità. Niente di più falso! La filosofia, di contro, è “visione incarnata”, un “andare a vedere come stanno le cose”: è esercizio critico della ragione, finalizzato a rendere più consapevole, più pieno, più autentico il nostro vivere.
Giustamente, Musonio Rufo fa capire che è incompleta quella parola che si limita solo a insegnarci a ben ragionare, è, invece, carica di energia positiva quando ci aiuta anche a vivere bene; quando, insomma, la parola diventa azione e la contemplazione filosofica vissuto quotidiano.
La parola filosofica si configura, allora, come forza, vigore, efficacia, energia spirituale, nella misura in cui crea cultura nel suo significato più pregnante, ereditato dal latino colere, di “coltivare, curare”. La cultura che germina dalla parola filosofica è, dunque, un coltivare la terra abitata con interesse, entusiasmo, saggezza, ma anche fatica, proteggendo il raccolto, cioè l’esistenza stessa. La parola che si declina nella cultura ci aiuta a far crescere, prendendocene cura, in modo rigoglioso la platonica ” pianta celeste”, ovvero l’anima: ed è l’anima, calata nella realtà e nel frattempo protesa al di fuori di essa in un compito inesauribile, che dobbiamo “inseminare”, “concimare” tramite un uso pratico della parola, affinché alla fine del viaggio ci possiamo ritrovare migliori di quando l’abbiamo iniziato.
La parola sprigiona energia da trasmettere all’anima proprio in quanto sa esercitarsi nella realtà, attuando in essa la cultura della virtù e del bene.Tuttavia perché ciò sia possibile occorre “delirare”, nel senso originario del termine, cioè ” uscire dal solco” delle opinioni comuni, delle grammatiche esistenziali impoverite di energia, rese sterili da linguaggi convenzionali, omologanti, serializzanti. Occorre, insomma, riorientare il nostro sguardo verso una terra vergine, dalla quale attingere energie feconde e fecondanti e dalla quale riprendere le vele verso l’esistenza di tutti i giorni, ritemprati nell’anima, per trasmettere anche agli altri quanto noi stessi abbiamo sperimentato di veramente alternativo al mondo della produttività, dell’utilità dell’efficienza a tutti i costi, che finiscono inevitabilmente per sottrarci ogni residuo di energia fisica e morale.
Il dire autentico, in definitiva, saggia, sperimenta, si fa carne e rimodella l’esistenza nella concreta dimensione dell’anima.
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