La geopolitica energetica cambia ma i combustibili fossili rimangono

Cambiano i rapporti tra stati e continenti per l’approvvigionamento dell’energia ma non cambia il tipo di fonte: parliamo sempre di combustibili fossili.

  • L’invasione della Russia in Ucraina ha rivoluzionato il mondo energetico.
  • Cambiano gli accordi tra stati per l’approvvigionamento energetico ma invece delle fonti rinnovabili si continuano a cercare soluzioni che hanno al centro i combustibili fossili.
  • Nuovi progetti di estrazione e combustione sono all’orizzonte. Tra i soggetti proponenti anche l’italiana Eni.

Dopo il taglio del 40 per cento di gas verso la Germania, la guerra energetica tra Russia e Europa è ormai entrata nel vivo. Il Cremlino stringe sempre più sugli approvvigionamenti dei combustibili fossili e i costi salgono: il prezzo del metano alla Borsa di Amsterdam è balzato del 43 per cento in una settimana, passando da 82,50 euro a 117,74 euro, con picchi di 134 euro al MWh.

Nel frattempo la Russia è diventato il primo fornitore di greggio della Cina, scalzando l’Arabia Saudita da questo ruolo. Il petrolio di Mosca rappresenta ormai il 55 per cento di quello importato da Pechino. Anche l’India sta approfittando del petrolio russo, più economico rispetto a quello del resto del mondo.

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden volerà in visita in Arabia Saudita, dove incontrerà il principe Mohammed bin Salman – e per questo è stato criticato – per cercare di convincere il paese mediorientale ad aumentare la produzione di petrolio. In poche parole, rispetto all’inizio dell’invasione in Ucraina, la geopolitica energetica globale è cambiata ancora una volta. Ma i protagonisti sono sempre loro, i combustibili fossili.

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Un gasdotto in Finlandia © Sean Gallup/Getty Images

Italia alla canna del gas?

Anche in Italia il ministero della Transizione ecologica valuta se alzare il livello di crisi del sistema gasiero nazionale, portandolo dal preallarme all’allarme. Se i tagli dovessero proseguire a lungo, potrebbe essere messo ulteriormente a rischio il meccanismo degli stoccaggi, decisione che ha spinto la Germania a riaccendere le centrali a carbone.

Anche il governo italiano ha già discusso di questa eventualità ed è proprio sul nodo delle scorte che è impegnato il comitato tecnico di emergenza e monitoraggio del gas naturale, istituito preso il  ministero. Intanto, il gas italiano proviene sempre più dall’Algeria e sempre meno dalla Russia (mentre si registra la quasi scomparsa di produzione nazionale). I dati diffusi dal Mite indicano un aumento del 289 per cento del gas importato dalla nazione nordafricana, a fronte di un vero e proprio crollo degli acquisti da Mosca, che si riducono di circa il 48 per cento.

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Macron, Draghi e Sholz in visita in Ucraina © Jesco Denzel/Bundesregierung via Getty Images

Eni produrrà emissioni fino al 2050

A proposito di importazioni, il colosso energetico Eni è di recente entrato nel consorzio del North Field East, il più grande progetto al mondo di gas naturale liquefatto (gnl), come nuovo partner internazionale di QatarEnergy e TotalEnergies. Questa partnership, salutata da numerosi media italiani come un traguardo importante, rappresenta la una “carbon bomb” in termini di emissioni: per “bomba climatica” si intende un progetto di estrazione di combustibili fossili capace di emettere in atmosfera almeno 1 miliardo di tonnellate di CO2 nell’arco della sua durata.

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Una nave trasporta gas naturale liquefatto al porto di Klaipeda, Lituania © Paulius Peleckis/Getty Images

Si stima che il North Field East possa contenere il 10 per cento delle riserve mondiali di gnl. Un “processo competitivo iniziato nel 2019” e che “ha una durata di 27 anni”, si legge sul sito dell’azienda. Cioè termina nel 2050, anno in cui, al contrario, dovremmo raggiungere le emissioni nette zero (e intanto Eni afferma che questi investimenti rappresentano una tappa significativa nella strategia di diversificazione dell’azienda, “che amplia il proprio portafoglio di fonti energetiche più pulite e affidabili”).

Noi italiani puntiamo molto sul gnl (in realtà tutta l’Europa, che ha firmato un accordo con gli Usa), una scelta che ci accompagnerà ancora per molti anni. Draghi ha infatti nominato i commissari straordinari per la realizzazione di due rigassificatori galleggianti (della capacità di 5 miliardi di metri cubi ciascuno), uno a Ravenna e l’altro a Piombino.

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La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen © Getty Images for Greentech Festival

L’Europa dice avanti con i combustibili fossili

A livello europeo, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha avvertito i paesi dell’unione di non fare marcia indietro sulla riduzione dell’utilizzo dei combustibili fossili, per far fronte alla riduzione delle forniture russe. Inoltre, una nuova disposizione della commissione prevede che gli impianti di stoccaggio del gas debbano essere riempiti almeno all’80 per cento entro il 1 novembre 2022, per proteggere i cittadini europei da eventuali shock di approvvigionamento.

E, allo stesso tempo, l’Unione europea sta lavorando per rafforzare la sua cooperazione energetica con altri paesi. Ai primi posti c’è Israele, dove il premier italiano Mario Draghi è stato in visita di recente. L’Unione europea ha firmato un memorandum d’intesa con Israele ed Egitto: “Con questo accordo lavoreremo sulla fornitura stabile di gas naturale all’Ue dalla regione del Mediterraneo orientale”, ha detto dal Cairo von der Leyen.

Ma c’è poco da festeggiare. La geopolitica delle fonti energetiche passa ancora una volta dall’approvvigionamento di combustibili fossili. E intanto le rinnovabili, che rimangono davvero l’unico modo per staccarsi dalla dittatura delle fonti fossili, aspettano in secondo piano. Mentre le emissioni continuano a crescere.

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