Il Parlamento della Malesia ha votato per la cancellazione della pena di morte obbligatoria per 11 reati: nel Paese esiste già una moratoria dal 2018.
- La Malesia fa un passo in avanti verso l’abolizione della pena di morte.
- La condanna capitale non sarà più automatica per 11 reati dei 34 per la quale è oggi prevista.
- La norma, retroattiva, potrebbe salvare 1.300 condannati già nel braccio della morte.
Il parlamento malese ha votato per rimuovere (parzialmente) la pena di morte obbligatoria del paese, risparmiando potenzialmente più di 1.300 prigionieri attualmente nel braccio della morte.
Il paese ha già interrotto le esecuzioni dal 2018, attraverso una moratoria, dopo che dal 1992 erano state 1.1318 le persone giustiziate, ma lunedì i legislatori hanno compiuto un altro importante passo avanti votando a stragrande maggioranza per rimuovere la pena di morte come sentenza obbligatoria per 11 reati gravi, tra cui omicidio e terrorismo, dei 34 per i quali la morte è l’unica condanna prevista. Non si parla ancora di eliminazione totale della pena capitale: i giudici manterranno la discrezionalità di imporla in casi eccezionali. Ma per i reati più gravi, i tribunali avranno anche la facoltà di emettere condanne alternative, come l’ergastolo fino a 40 anni oppure delle – comunque discutibili – punizioni corporali come la fustigazione.
Anche se manca ancora l’approvazione finale del provvedimento, il voto preliminare lascia intendere che non ci saranno sorprese. E anche il governo malese, tramite il viceministro Ramkarpal Singh, ha ammesso in Parlamento che “la pena di morte non ha portato i risultati che avrebbe dovuto portare”, in termini di deterrenza alla criminalità.
La salvezza per centinaia di condannati
La notizia migliore è che la nuova legge, una volta emanata, si applicherà retroattivamente consentendo a coloro che si trovano attualmente nel braccio della morte di chiedere una revisione delle loro condanne. Al momento, spiega Amnesty International, ci sono 1.341 detenuti nelle carceri della Malesia, oltre il 60 per cento dei quali ha ricevuto una condanna a morte.
Tra questi, la Reuters racconta ad esempio la storia di Razali, un ragazzo condannato a morte ormai 23 anni fa per essere stato sorpreso con “la bellezza” di 851 grammi di cannabis a Gombak: la madre, Siti Zabidah Muhammad Rasyid, da anni si batte per salvare suo figlio Razali e tutti gli altri detenuti dal braccio della morte, e forse stavolta ce l’ha fatta davvero. Nel giugno scorso però l’allora premier Sabri Yaakob aveva avviato l’iter legislativo per l’annullamento parziale dell’obbligatorietà della pena di morte, dopo un decennio in cui nel Paese si era già diffuso un sentimento contrario a un tipo di condanna così lontana dai canoni di uno stato di diritto.
Una decisione in controtendenza nel sud-est asiatico
Secondo Human Rights Watch “la revoca da parte della Malesia delle disposizioni obbligatorie per la pena di morte per alcuni reati è un importante passo avanti che provocherà serie discussioni nelle aule dei prossimi incontri dell’Asean”, l’Associazione delle nazioni del Sud-est asiatico. Quella del governo di Kuala Lumpur è infatti una decisione in controtendenza, nella regione in cui la giunta del Myanmar ha di recente emesso le prime sentenze capitali da anni a questa parte e la stessa Singapore, nel 2022, ha giustiziato 11 persone ritenute colpevoli di traffico di stupefacenti.
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