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La mia definizione di felicità
I bisogni primari dell’uomo sono mangiare, bere, dormire, ripararsi dalle intemperie ed essere gratificati. Se escludiamo i primi quattro, che sono prettamente materiali, e assumendo come dato di fatto che tutte le nostre azioni hanno a che vedere con i bisogni primari, ne deduciamo che la felicità può avere qualcosa a che vedere solo con
I bisogni primari dell’uomo sono mangiare, bere, dormire, ripararsi dalle intemperie ed essere gratificati. Se escludiamo i primi quattro, che sono prettamente materiali, e assumendo come dato di fatto che tutte le nostre azioni hanno a che vedere con i bisogni primari, ne deduciamo che la felicità può avere qualcosa a che vedere solo con l’ultimo.
Essendo la felicità una condizione dello spirito, e quindi immateriale, deve essere il sentimento procurato dalla gratificazione. Personalmente credo che la felicità sia la profonda e totale sensazione di appagamento che si prova nell’essere gratificati. Io provo un grande sentimento di appagamento e mi sento felice ogni volta che riesco a fare qualche cosa che sia contemporaneamente buono per me e per gli altri, e che lasci qualcosa di positivo per le generazioni future.
Nel nostro tempo tutti noi siamo cresciuti con un dogma: studia, così poi lavori; lavora, così poi guadagni; guadagna, così poi sarai felice. Il problema sta proprio qui: l’uomo cerca di risolvere una formula che è composta da fattori materiali, ma si aspetta un risultato immateriale, o, meglio, spirituale, che è la felicità. Per questo motivo la felicità finisce per sembrare di non esistere, di non poterla raggiungere. Tendiamo a confondere l’eccitazione effimera che si prova procurandosi un bene qualsiasi (ad esempio una macchina o una casa nuova, o una promozione) con qualcosa di più profondo e più durevole, che ci dovrebbe soddisfare in modo non superficiale. La felicità è uno stato di grazia, che devi conquistare. È di tutti dirlo: la felicità non si può comperare, però tutti comperano per essere felici.
Penso che per conquistare la felicità bisognerebbe poter sostituire il dogma studia/lavora/guadagna/sii quindi contento, che come visto porta solo a soddisfazioni materiali, con un nuovo dogma: fai del buono per te, ma contemporaneamente per gli altri. Allora la nostra vita non sarebbe come acqua sui vetri, che passa ma non lascia nulla, al massimo un po’ di inquinamento da calcare. Questa nuova formula comporta una diversa meta ed il cammino per arrivarci è ricco di spiritualità. Si addentra in valli profonde del nostro animo e procura sensazioni che non sono superficiali. Percorrere questa strada per arrivare alla felicità ci fa ricchi interiormente e raggiungere la meta ci procura una sensazione che arriva alla nostra coscienza.
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