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La prima immagine di un buco nero
È stata diffusa la prima immagine nella storia di un buco nero, al centro della galassia Messier 87: è la prima prova visiva dell’esistenza.
È stato definito “lo scatto del secolo”. Per la prima volta nella storia siamo in grado di aggiungere una prova visiva all’esistenza dei buchi neri. L’immagine rappresenta il supermassiccio buco nero che si trova nel cuore della galassia Messier 87, a 55 milioni di anni luce da noi, nell’ammasso di galassie della Vergine.
Questa foto straordinaria segue a un lungo lavoro pubblicato oggi sulla rivista scientifica Astrophysical Journal Letters: oltre 200 ricercatori hanno preso parte al progetto Event horizon telescope (Eht), un telescopio virtuale che collega 8 telescopi singoli sparsi nel mondo per ottenere uno strumento di dimensioni terrestri. Questo telescopio, infatti, viene “riempito” con le misure raccolte dalle singole sorgenti mentre la Terra si muove.
You’re looking at the first ever image of a black hole. It was captured by the #NSFFunded @ehtelescope project. #ehtblackhole #RealBlackHole https://t.co/6dglvqrvOs pic.twitter.com/0hclANf4tc
— National Science Foundation (@NSF) April 10, 2019
Com’è stata realizzata la prima foto del buco nero
Non proprio un semplice click. Per dare un’idea, c’è voluto un “tempo di esposizione” di circa due anni per ottenere una messa a fuoco così perfetta. Tanto, infatti, è durato il periodo di osservazione necessario per ottenere la risoluzione angolare più alta mai realizzata in astronomia: petabyte di dati grezzi dai telescopi ALMA, APEX, dal telescopio IRAM da 30 metri, dal James Clerk Maxwell Telescope, dal Large Millimeter Telescope Alfonso Serrano, dal Submillimeter Array, dal Submillimeter Telescope e dal South Pole Telescope sono serviti per ottenere le informazioni elaborate poi dai supercomputer dell’Istituto Max Planck e del MIT Haystack Observatory.
The story of @ehtelescope’s quest to capture the first image of a black hole was covered by @SmithsonianChan’s documentary “Black Hole Hunters” premiering this Friday. #RealBlackHole #EHTBlackHole pic.twitter.com/49Ycr4c2nz
— National Science Foundation (@NSF) April 10, 2019
“Se immersi in una regione luminosa, come un disco di gas incandescente, ci aspettiamo che un buco nero crei una regione oscura simile a un’ombra – ha spiegato Heino Falcke, presidente del Consiglio scientifico dell’Event Horizon Telescope -. Quest’ombra, causata dalla flessione gravitazionale e dalla cattura della luce dall’orizzonte degli eventi, rivela molto sulla natura di questi oggetti affascinanti e ci ha permesso di misurare l’enorme massa del buco nero di M87.
C’è molta Italia in questo importante progetto. “Queste osservazioni – ha commentato Mariafelicia De Laurentis, ricercatrice dell’INFN che come membro della collaborazione Eht ha coordinato il gruppo di analisi teorica dell’esperimento – vengono ora a costituire un nuovo strumento di indagine per esplorare la gravità nel suo limite estremo e su una scala di massa che finora non era stata accessibile. Dal punto di vista concettuale, il risultato rappresenterà uno strumento formidabile per studiare, confermare o escludere le varie teorie relativistiche della gravitazione formulate a partire dalla Relatività Generale di Albert Einstein”.
Elisabetta Liuzzo e Kazi Rygl sono due ricercatrici dell’Istituto nazionale di astrofisica impegnate nel progetto europeo BlackHoleCam: coordinate dal collega Ciriaco Goddi, segretario del consiglio scientifico del consorzio Eht, si sono occupate della calibrazione del telescopio Alma per l’Eht.
Perché studiare i buchi neri
I buchi neri rappresentano una delle espressioni più interessanti della Teoria della relatività generale di Einstein. La presenza di questi oggetti influenza il loro ambiente in modi estremi, deformando lo spazio-tempo e surriscaldando qualsiasi materiale circostante. La prova diretta più importante ci è giunta nel 2016 con la scoperta delle onde gravitazionali, ossia il segnale emanato da due buchi neri nel processo di fusione. Ma come si dice: vedere per credere.
Tutte le galassie contengono al loro interno un buco nero della grandezza di un millesimo di quella delle stelle. Anche al centro della nostra galassia, la Via lattea c’è un buco nero immenso di una massa 4 milioni di volte la massa del Sole. A cento anni esatti dal primo esperimento che dimostrò la Relatività generale, questa si pone come una foto ricordo eccezionale, che riempirebbe di gioia anche Albert Einstein.
Resta ancora molto da guardare, aiutati dalla tecnologia in grado – come in questo caso – di catturare immagini incredibili. Anzi no, assolutamente credibili.
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