La pugile Imane Khelif e la sua storia che va ben oltre lo sport

La narrazione politica e mediatica attorno alla pugile Imane Khelif racconta di quanto sia aperto il tema della questione di genere nello sport femminile.

  • Tra le grandi protagoniste di queste Olimpiadi c’è stata la pugile algerina Imane Khelif
  • Nonostante sia una donna, molti media e personalità politiche hanno messo in dubbio la sua sessualità
  • La sua vicenda e la narrazione che c’è stata attorno ci raccontano di un problema che va oltre la questione sportiva

Oltre che per la Senna inquinata, la barocca cerimonia di apertura, diverte polemiche arbitrali e tanti storie di sport e gloria, le Olimpiadi di Parigi verranno ricordate per essere state quelle della pugile algerina Imane Khelif.

Non tanto per i risultati sportivi ottenuti – è arrivata in finale e ha vinto la medaglia d’oro nella sua categoria 66 kg – quanto per le attenzioni mediatiche e le molte speculazioni che si sono tenute attorno alla sua partecipazione alle Olimpiadi.

Una narrazione dei fatti spesso creata ad arte per sostenere una tesi piuttosto che un’altra, facendo di lei più un caso ideologico che una semplice atleta.

“Mi sono qualificata a questo evento regolarmente, come una donna e come tutte le altre donne – ha detto Khelif dopo la vittoria – sono nata donna, ho vissuto come una donna e ora competo come una donna, non ci sono dubbi su questo. Tutti questi attacchi che ho subito danno un sapore speciale a questa vittoria”.

Khelif poi ha mandato un preciso messaggio alla federazione internazionale di boxe, la IBA, dicendo: “Lì mi odiano e non so perché. Mando loro un messaggio: con questa medaglia d’oro la mia dignità e il mio onore va al di sopra di tutto”.

La narrazione mediatica

Già prima di queste Olimpiadi Imane Khelif non era una sconosciuta venuta dal nulla ma una pugile da anni sulla scena internazionale, che già aveva partecipato ai Giochi nell’edizione di Tokyo 2021, venendo tra l’altro eliminata ai quarti di finale.

Tuttavia, durante la prima settimana delle Olimpiadi parigine il suo nome è diventato di enorme attualità quando il suo percorso olimpico si è intrecciato con quello della pugile italiana Angela Carini. In Italia, moltissimi media, ma anche esponenti della politica come il ministro dei Trasporti Matteo Salvini e il presidente del Senato Ignazio La Russa, nelle ore precedenti al match hanno iniziato a sollevare dubbi in merito alla reale natura di genere di Imane Khelif. Il governo italiano si era anche espresso ufficialmente sulla vicenda tramite il suo ministro per lo Sport Andrea Abodi, che aveva dichiarato di trovare “poco comprensibile che non ci sia un allineamento nei parametri dei valori minimi ormonali a livello internazionale. Nell’evento che rappresenta i più alti valori dello sport si devono poter garantire la sicurezza di atleti e atlete, e il rispetto dell’equa competizione dal punto di vista agonistico. Domani, per Angela Carini non sarà così”.

Tesi alla base di queste affermazione il fatto che nel 2023, in occasione dei mondiali di pugilato, la Federazione internazionale di boxe (Iba) avesse escluso Khelif dalla competizione perché alcuni test genetici avevano mostrato la presenza dei cromosomi XY, che determinano il sesso maschile, nel dna di Khelif.

Da qui, in molti si sono scagliati contro la decisione del Cio, il Comitato olimpico internazionale, di ammettere Khelif ai giochi, descrivendola prima come “atleta trans” – una condizione che riguarda chi cambia sesso tramite operazioni chirurgiche – e poi come atleta intersessuale, ovvero una persona nata con caratteristiche atipiche in quegli aspetti del corpo umano legati al sesso. Ipotesi questa sulla quale al momento non è stata mai fatta chiarezza: l’unica cosa certa, confermata dalla stessa Khelif, è che lei sia una donna a tutti gli effetti, nata donna e sviluppatasi biologicamente come tale, e in quanto donna ha sempre partecipato alle competizioni femminili.

Questa è stata fin da subito anche la posizione del Cio, che per quanto riguarda la sessualità degli sportivi e delle sportive fa affidamento a quello che è scritto sul loro passaporto. Il presidente del Comitato olimpico, Thomas Bach, ha sempre ribadito che questo sia il caso di una “donna che compete nelle categorie femminili”, e che dinamiche di transessualità o intersessualità “non c’entrino niente”.

Il Cio, inoltre, ha sempre mostrato molto scetticismo nei confronti dei test realizzati dalla Iba, federazione che al momento non è neanche riconosciuta ufficialmente dal Cio, a causa di una serie di pesanti accuse di corruzione nei suoi confronti e per via del forte scetticismo che permane verso la figura del Presidente della Federazione stessa, il russo Umar Kremlev, noto tra l’altro per la sua forte vicinanza a Vladimir Putin.

Dopo tutto questo carrozzone di polemiche e accuse, l’incontro tra Carini e Khelif, valevole per gli ottavi di finale, è durato soltanto 45 secondi, poiché la pugile italiana si è ritirata dopo aver subito un colpo che ha percepito come “troppo forte”, portandola ad abbandonare il ring, come ha spiegato lei stessa dopo il match.

Le polemiche anche dopo l’incontro

L’esito particolare dell’incontro ha dato ulteriore adito a chi trovava eccessivamente squilibrata la sfida, nonostante Khelif, va ribadito, sia a tutti gli effetti una donna.

Personalità come l’imprenditore Elon Musk e la scrittrice J.K. Rowling, noti per le proprie posizioni scettiche nei confronti di ogni libertà sessuale, hanno sfruttato la vicenda per alimentare la propria narrazione politica e criticare le posizioni del Cio. Anche in Italia, il Presidente del Senato Ignazio La Russa è tornato sulla vicenda invitando Carini in Senato. Tuttavia, a dimostrazione che il tema sportivo fosse soltanto un pretesto e non il vero merito della questione, c’è il fatto che ben diversa è stata la copertura mediatica per Lin Yu Ting, pugile di Taiwan anche lei esclusa dal mondiale del 2023 e poi, proprio come Khelif, regolarmente ammessa alle Olimpiadi; anche lei è arrivata fino alla finale nella sua categoria (57kg), ma non avendo incrociato il suo percorso con un’italiana, la sua vicenda ha riscosso molto meno interesse. Eppure, sulla carta, si tratterebbe della stessa identica situazione.

La Iba, dal canto suo, si è offerta di riconoscere a Carini un premio in denaro “come se avesse vinto”, volendo quindi farla passare come una vittima di questa situazione. Offerta prontamente rifiutata dalla Federazione pugilistica italiana, che ha nettamente smentito questa ipotesi.

Diverse è stata invece fin da subito la posizione di Emanuele Renzini, direttore tecnico del pugilato italiano, che a Fanpage ha parlato di un incontro “regolare”. “Questa ragazza (Khelif ndr) l’ho vista anche perdere a volte – ha detto Renzini – non è imbattibile. Sfidarla è difficile, perché ha una fisicità imponente, che le dà un vantaggio oggettivo”, aggiungendo però che nel mondo della boxe Khelif fosse piuttosto nota e che anzi più volte si è allenata in Italia, ad Assisi, proprio con Carini, la quale quindi conosceva molto bene la sua avversaria. Storia questa confermata dalla stessa Khelif in più interviste.

Tuttavia, al termine del discusso incontro, Angela Carini si è rifiutata di salutare l’avversaria, gesto che molti hanno letto come una risposta polemica da parte della pugile italiana. Su questo Ronzini ha difeso la sua atleta, dicendo che “è stato dovuto più alla delusione” e che  Carini fosse “rammaricata, nervosa e dispiaciuta per come era andato a finire il suo percorso olimpico. Non ha avuto nulla da dire contro la sua avversaria”.

Ciò che rimarrà di tutta questa vicenda, oltre alla medaglia d’oro di Khelif, è la netta sensazione che lo sport mondiale debba ancora trovare un punto di equilibrio per quanto riguarda la questione di genere, soprattutto nello sport femminile; ma emerge con ancora maggiore chiarezza, dato che Khelif è una donna biologica e nonostante questo è stata definita con molti altri termini che confinano con la transfobia, come più che un tema sportivo sia un tema politico e sociale.

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