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La Russia ammette la presenza di una nube radioattiva di rutenio-106
Ci sono voluti quasi due mesi perché la Russia ammettesse la presenza di una nube radioattiva di rutenio-106 con concentrazioni 900 volte superiori alla norma. La presenza dell’isotopo è stata registrata anche in Europa, Italia compresa.
Dopo quasi due mesi da quando in Italia è stata rilevata l’anomala presenza dell’isotopo radioattivo rutenio-106, il servizio meteorologico russo Roshydromet, sotto le pressioni di Greenpeace, ha ammesso la presenza di concentrazioni molto alte (986 volte superiori alla radiazione naturale di fondo), di rutenio-106 in diverse parti del Paese. In Europa le prime presenze dell’isotopo sono state registrate il 29 settembre e in Italia, il 2 ottobre. L’Istituto francese di radioprotezione e sicurezza nucleare (Irsn), tra i primi a rilevare l’isotopo, ha fatto sapere che dal 13 ottobre non ha più rilevato alcuna presenza.
Che cosa è l’isotopo rutenio-106
Il rutenio 106 è un metallo artificiale, prodotto di decadimento dell’uranio 235 non è presente in natura e una sua rilevazione nell’atmosfera indica un incidente di qualche tipo. La sua presenza nell’ambiente non è mai più stata registrata dai tempi di Chernobyl, nel 1986. Viene prodotto nei reattori nucleari attraverso la fissione nucleare (o scissione degli atomi) per produrre energia elettrica, ma può anche essere il risultato dell’utilizzo delle radiazioni in ambito medico, soprattutto per il trattamento radiologico dei tumori dell’occhio.
È pericoloso?
Secondo gli esperti, i valori dell’isotopo raggiungono concentrazioni tali da “non porre assolutamente rischi né per la salute pubblica, né per l’ambiente. Le concentrazioni rilevate nell’atmosfera sono fra centomila e un milione di volte più basse di quelle che destano preoccupazioni per salute e ambiente”, ha spiegato Federico Rocchi, ingegnere nucleare e ricercatore della divisione di sicurezza nucleare del centro ricerche dell’Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie, l’energie a lo sviluppo economico sostenibile (Enea) a Bologna. Le quantità rilevate in Russia sono 900 volte sopra il fondo naturale, ma solo perché il fondo naturale di rutenio è praticamente zero e le concentrazioni arrivate in Italia sono milioni di volte sotto al livello di rischio.
Per quanto tempo resterà nell’ambiente?
L’emivita del rutenio-106 è di circa 374 giorni, questo vuol dire che dopo un anno il cinquanta per cento della sua radioattività decade. Secondo gli esperti rileveremo la sua presenza ancora per i prossimi 5 o 6 anni, ma senza nessun pericolo per la salute e molto probabilmente non serviranno azioni di bonifica.
Da dove arriva la nube radioattiva
Secondo quanto comunicato dal servizio meteorologico russo, elevate concentrazioni della nube radioattiva di rutenio-106 sono state registrate nell’area di Chelyabinsk, al confine con il Kazakistan, ma il picco massimo è stato rilevato dalla stazione meteorologica di Argayash, che si trova a una trentina di chilometri dal sito nucleare di Mayak, negli Urali meridionali. Rosatom, agenzia di stato russa per il nucleare, proprietaria dell’impianto di Mayak, ha smentito ogni responsabilità. “Nel 2017 – ha detto in una nota – non vi è stata produzione di rutenio-106 a Mayak, le emissioni nell’atmosfera sono nella norma così come le radiazioni di base”.
Secondo Rocchi dell’Enea, in base a quanto riportato dall’Ansa, è altamente improbabile che l’impianto di Mayak sia responsabile della fuga radioattiva perché un problema ai reattori avrebbe determinato la fuoriuscita di altri isotopi prodotti in quantità maggiori e più facilmente misurabili”
La terribile storia della centrale di Mayak
Resta il fatto che la centrale di Mayak, negli Urali meridionali, è un sito di riprocessamento noto per il suo passato disastroso di inquinamento continuo nel tempo. L’impianto risale al 1949, quando venne costruito per produrre plutonio attraverso il riprocessamento del combustibile proveniente dalle centrali nucleari e destinato poi alla fabbricazione di bombe atomiche.
Dal momento della sua entrata in funzione e fino al 1952 riversò circa 76 milioni di metri cubi di rifiuti radioattivi, contenenti cesio e stronzio, nel fiume Techa, l’unica risorsa idrica per i 24 villaggi che si affacciavano lungo il fiume, esponendo alla contaminazione radioattiva più di centomila abitanti della zona. Ancora oggi il fiume Techa continua ad avere radiottività nelle sue acque e il pesce è 100 volte più radioattivo del normale. Come se non bastasse, cinque anni dopo, nel 1957, esplose un serbatoio di rifiuti radioattivi e fuoriuscì plutonio contaminando una regione di 23mila chilometri quadrati, circa quanto la Toscana. Uno degli incidenti nucleari più grandi della storia, forse secondo solo a Chernobyl. Un anno dopo si verificò un altro incidente, sempre con fuoriuscita di plutonio. A distanza di dieci anni, nel 1967, quando il Lago Karachay, usato per lo smaltimento dei rifiuti nucleari più pericolosi, si prosciugò quasi totalmente, i venti dispersero in giro le sue polveri radioattive su un’area di circa 2.000 chilometri quadrati. Poi ancora nel 1968 a causa di problemi nel processo di trattamento delle scorie nucleari si verificò nuovamente la perdita di materiale radioattivo.
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