Un volontario porta in salvo un orangotango di Sumatra minacciato dagli incendi e a rischio d'estinzione, il 14 novembre 2016 a Kuta Mbelin, Indonesia. @Ulet Ifansasti/Getty Images
Il rinoceronte di Sumatra, lo scricciolo di Clarión, la tartaruga gigante di Española, la rana arlecchino. Con meno di 1.000 individui, queste specie sono solo alcuni degli animali che potremmo perdere nei prossimi decenni. Perdita per definizione è un termine che racchiude il concetto di irreversibilità ma poiché un’estinzione di massa può sembrare un fenomeno
Un volontario porta in salvo un orangotango di Sumatra minacciato dagli incendi e a rischio d'estinzione, il 14 novembre 2016 a Kuta Mbelin, Indonesia. @Ulet Ifansasti/Getty Images
Il rinoceronte di Sumatra, lo scricciolo di Clarión, la tartaruga gigante di Española, la rana arlecchino. Con meno di 1.000 individui, queste specie sono solo alcuni degli animali che potremmo perdere nei prossimi decenni. Perdita per definizione è un termine che racchiude il concetto di irreversibilità ma poiché un’estinzione di massa può sembrare un fenomeno astratto, è bene reiterare. La sesta estinzione di massa è attualmente in corso, è tra le più gravi minacce alla sopravvivenza dell’essere umano ed è irreversibile. Una volta estinti, i rinoceronti di Sumatra, gli scriccioli di Clariòn o le rane arlecchino non torneranno mai più.
This is one of the last pictures taken of a female Sumatran rhino in Malaysia. As of November 23, Sumatran rhinos have officially gone extinct in this country. They now only live in Indonesia. Learn more about the current status of rhinos around the world: https://t.co/5DbGp3vrbnpic.twitter.com/fO6ajPG2Ns
Una recente analisi pubblicata sulla rivista americana Proceedings of the national academy of sciences (Pnas) ha esaminato i dati su 29.400 specie di vertebrati terrestri.
La maggior parte di queste specie di mammiferi, uccelli, rettili e anfibi sono stati trovate in regioni tropicali e subtropicali. I ricercatori hanno scoperto che 388 specie hanno popolazioni inferiori ai cinquemila esemplari e che la stragrande maggioranza di queste (84 per cento) vive nelle stesse regioni delle 515 specie con popolazioni inferiori ai 1.000 esemplari, creando le condizioni per un’estinzione a effetto domino. Circa la metà di queste 515, poi, hanno addirittura popolazioni inferiori ai 250 esemplari.
“L’estinzione genera estinzione”, avvertono i ricercatori. La perdita di una specie causerà l’estinzione di altre che da essa dipendono. La crisi della biodiversità sta accelerando. In primis, perché molte delle specie che sono ora sull’orlo dell’estinzione saranno presto estinte. In secondo luogo, perché la distribuzione di queste specie coincide con centinaia di altre in via di estinzione all’interno di regioni ad alto impatto umano, alimentando un collasso continuo della biodiversità regionale. E in terzo luogo, perché le strette interazioni ecologiche delle specie a rischio critico di estinzione spingono altre verso l’estinzione quando le prime scompaiono. L’estinzione genera estinzione.
Gli autori dello studio evidenziano un caso emblematico che mostra le strette relazioni tra le specie all’interno di un ecosistema. Le lontre, intensamente cacciate per le pelli nel diciottesimo secolo, sono le principali predatrici dei ricci di mare, che a loro volta si nutrono di alghe. Quando la popolazione dei ricci di mare esplose a causa della quasi scomparsa delle lontre dovuta alla caccia intensiva, le alghe sono state decimate. Questo processo a catena ha portato all’estinzione della “mucca di mare”, un mammifero erbivoro marino, mangiatore di alghe, appartenente alla famiglia del dugongo.
Gerardo Ceballos González, professore di ecologia all’Università nazionale autonoma del Messico e coautore dello studio di Pnas, ha dichiarato che tra il 2001 e il 2014 si sono estinte a livello globale circa 173 specie, quantità equivalente a 25 volte il tasso di estinzione medio. Negli ultimi 100 anni, più di 400 specie di vertebrati sono scomparse. Ma nel corso della normale evoluzione, tali estinzioni avrebbero richiesto fino a diecimila anni.
La sesta estinzione di massa è colpa dell’essere umano
La sesta estinzione di massa, come la crisi climatica, non è una preoccupazione per il futuro. Sta accadendo ora e con tempi molto più veloci del previsto. La più recente estinzione di massa risale a 66 milioni di anni fa ed ha causato la scomparsa dei dinosauri. La Terra ha visto altri cinque eventi di estinzione di massa prima dell’era dei dinosauri, ognuna delle quali ha spazzato via tra il 70 e il 95 per cento delle specie di piante, animali e microrganismi presenti. Milioni di anni sono trascorsi prima di recuperare un numero di specie paragonabile a quello che esisteva in origine. Ma c’è una differenza sostanziale tra le prime cinque estinzioni e quella attuale. Gli eventi del passato sono stati il risultato di naturali alterazioni catastrofiche dell’ambiente, tra cui massicce eruzioni vulcaniche o collisioni con asteroidi. La sesta estinzione di massa sta avvenendo per colpa nostra, dicono gli scienziati, e “rappresenta una minaccia esistenziale per la civiltà umana”.
La biodiversità è fondamentale per la vita degli esseri umani
Il fatto che stiano scomparendo così tanti animali è un problema che riguarda l’essere umano da vicino. L’umanità si affida alla biodiversità per la salute e il benessere. La pandemia di coronavirus è indicativa dei pericoli legati alla devastazione del mondo naturale da parte dell’uomo. Non c’è alcun dubbio che ci saranno nuove e ancor più gravi pandemie se continuiamo ad interferire negli ecosistemi naturali sfruttando, depredando e distruggendo gli habitat. L’aumento inarrestabile della popolazione umana, la distruzione degli habitat naturali, la deforestazione, il traffico e il commercio di fauna selvatica, gli allevamenti intensivi, l’inquinamento e la crisi climatica sono tutte problematiche in relazione tra loro. Per affrontarne una, non si può ignorare l’altra.
Eppure manca un’azione globale e coordinata per arrestare l’accelerazione della perdita di biodiversità. Il team di ricerca di Pnas ha spiegato che i risultati dello studio potrebbero aiutare a rafforzare l’impegno per la conservazione evidenziando quali specie e regioni geografiche richiedono un’attenzione più immediata. Comprendere quali specie sono a rischio può anche contribuire ad identificare quali fattori sono i responsabili dell’aumento del tasso di estinzione. È necessario un accordo globale e vincolante per affrontare la crisi dell’estinzione. La conservazione delle specie in pericolo, dicono i ricercatori, dovrebbe essere elevata ad emergenza nazionale e globale dai governi e dalle istituzioni al pari della crisi climatica.
Stop Extinction è una nuova iniziativa globale fondata da Ceballos González e nata per affrontare e sensibilizzare alla crisi d’estinzione e ai suoi impatti sulla biodiversità, sugli ecosistemi e sulla salute umana.
Siamo ancora in tempo
I ricercatori del Pnas hanno concluso che stiamo sottovalutando il tasso d’estinzione futuro. L’attuale e rapido incremento deltasso di estinzione dei vertebrati aumenterà. Questo significa che, secondo le previsioni della ricerca, un quinto di tutte le specie sarebbe in pericolo di estinzione entro la metà o la fine del secolo attuale.
Ma una buona notizia c’è. Siamo ancora in tempo per piegare la curva della perdita di biodiversità ed arrestare la crisi, la finestra di azione, però, è oramai solo uno spiraglio. Questa crisi, avvertono i ricercatori, “potrebbe essere un punto di non ritorno per il collasso della civiltà umana”. La posta in gioco è il destino dell’umanità e degli essere viventi che abitano il pianeta Terra, oggi e domani.
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