La voce e la rabbia degli atleti palestinesi alle Olimpiadi di Parigi

La rabbia, le difficoltà e l’orgoglio degli atleti palestinesi che hanno partecipato alle Olimpiadi di Parigi. Con speranza di medaglia.

  • Alle Olimpiadi di Parigi 2024 le Palestina è rappresentata da otto atleti, nelle discipline di pugilato, judo, tiro, nuoto e atletica leggera.
  • Per mettere le cose in prospettiva, la delegazione italiana conta 400 atleti
  • Alcuni di loro sono nati e cresciuti in Palestina, ma la maggior parte vive in altri paesi ma ha scelto di farsi portavoce del messaggio del popolo palestinese

Le Olimpiadi sono un evento mediatico di una potenza fuori dal comune: ogni giorno tengono incollati milioni di spettatori e la loro eco sui media è fortissima. In questi giorni quello che succede a Parigi si sta prendendo le prime pagine dei giornali e uno spazio enorme sui social. Per questo, storicamente, le Olimpiadi sono sempre state un palcoscenico per atleti non solo per far vedere al mondo le proprie abilità e performance sportive, ma anche per rivendicare questioni politiche a loro care. Basti pensare a una delle foto simbolo del Novecento, quella di Tommie Smith e John Carlos alle Olimpiadi di Città del Messico del 1968. I due velocisti statunitensi, arrivati rispettivamente primo e terzo nella finale dei 200 metri, al momento di cantare l’inno americano sul podio abbassarono la testa e alzarono i pugni chiusi calzati da guanti neri: la foto che fu scattata diventò un simbolo della lotta per i diritti civili e riassunse un decennio di proteste per i diritti degli afroamericani in un’unica, potentissima, immagine che ancora oggi ispira libri, saggi e canzoni. Nel 2024 il palcoscenico offerto dalle Olimpiadi di Parigi è stato utilizzato dalla delegazione di atleti palestinesi per ricordare al mondo la situazione del popolo e del territorio palestinese, da dieci mesi sotto attacco da parte di Israele.

Sono in totale otto gli atleti palestinesi in questi Giochi Olimpici: per mettere le cose in prospettiva l’Italia, che nel ranking che sancisce il rapporto tra la popolazione e gli atleti olimpici è trentaseiesima, è rappresentata da 402 atleti. Ad essersi qualificato poi sarebbe stato uno sportivo solo, Omar Ismail, che gareggia nel taekwondo. Gli altri sette rappresentanti, che hanno disputato o stanno disputando le gare di pugilato, judo, tiro, nuoto e atletica leggera, sono stati invitati dal Comitato Olimpico.

In una realtà sportiva in cui la giornata degli atleti di tutto il mondo, così come la loro alimentazione, è pianificata e controllata al millimetro da anni, gli atleti palestinesi hanno continuato ad allenarsi tra mille difficoltà, compresa quella di non poter gareggiare in molti tornei internazionali perché il loro passaporto non viene accettato nella nazione in cui si tengono o di non poter interagire direttamente con i propri coach o di essersi visti distrutti la struttura sportiva dove si allenavano. Tra chi partecipa ai Giochi tuttavia c’è anche chi ha radici palestinesi ma non ci ha mai vissuto ma ha scelto di portare sul petto la bandiera dei genitori o nonni per farsi portavoce della causa palestinese nel mondo. I morti palestinesi dall’inizio del conflitto sono più di 39 mila e, stando ai dati diffusi dal Comitato Olimpico Palestinese, 400 di questi sono atleti, volontari e lavoratori sportivi: un numero pari a quello della delegazione italiana a Parigi praticamente.

Wasim Abusal, il primo pugile palestinese alle Olimpiadi e la camicia con le bombe

Il primo pugile palestinese a presenziare ai Giochi ne è anche stato il portabandiera e il suo messaggio più grande lo ha lanciato proprio durante la cerimonia inaugurale, sfilando con una camicia bianca sulla quale sono stati ricamati dei jet che sganciano delle bombe su un gruppo di bambini che gioca a calcio. “Questa camicia rappresenta l’immagine attuale della Palestina”, ha spiegato l’atleta a LaPresse. “Portare la bandiera palestinese alle Olimpiadi di Parigi 2024 è stato un onore oltre ogni dire. Questa camicia è stata disegnata dalla talentuosa Mai Salameh e simboleggia le immense difficoltà affrontate dai bambini della Palestina a causa dell’occupazione e rappresenta un tributo allo spirito di resistenza dei bambini di Gaza. Il mio viaggio da queste lotte fino a diventare il primo pugile a rappresentare la Palestina alle Olimpiadi è una testimonianza del potere della speranza e della determinazione. Questo momento è per tutti i bambini che sono tornati a casa: possa ispirarvi a sognare in grande e a lottare per i vostri sogni”.

La strada olimpica di Abusal purtroppo è finita dopo l’incontro con lo svedese Nebil Ibrahim, ma l’incontro alla North Paris Arena ha visto lo stadio esplodere per il pugile palestinese, accompagnato dai continui cori “Libertà per la Palestina”. “Vi prometto che continuerò ad allenarmi nei prossimi quattro anni fino al 2028, anno in cui spero di ottenere una medaglia”, ha detto Abusal. “Se Dio vuole, combatterò di nuovo. Tra quattro anni alzerò la bandiera palestinese sul podio”. “Non sta solo rappresentando il suo popolo e il suo paese” ha dichiarato l’avversario Nebil Ibrahim alla fine dell’incontro. “Sta rappresentando ogni nazione oppressa nel mondo. In questo momento, la Palestina è di fronte all’oppressione. Quindi ha un grande peso sulle spalle.”

Il 7 agosto è il giorno di Omar Ismail, talento del taekwondo

Una speranza di medaglia la Palestina ce l’ha, ed è nelle mani di Omar Ismail giovanissimo atleta specializzato nel taekwondo. “È un sogno. Ogni atleta ha un obiettivo nella sua vita, e il mio obiettivo è raggiungere le Olimpiadi e ottenere una medaglia. Nulla è impossibile, ho lavorato molto duramente e spero di poter ottenere una medaglia d’oro. E mi vedrete sul podio”. I genitori di Ismail si sono trasferiti negli Emirati Arabi Uniti dalla Palestina nel 2003, dove l’atleta è nato e ha iniziato a praticare il taekwondo all’età di 10 anni, ma a livello internazionale ha scelto di rappresentare la sua patria storica. “Rappresentare la Palestina in questo grande evento è per me un grande orgoglio, in particolare in questo momento storico”.

Valerie Tarazi e Yazan Al Bawwab: nuoto e speranza

“Mentre io nuoto per prepararmi per le Olimpiadi di Parigi, guardo le notizie e vedo persone nuotare per ricevere pacchi dal mare,” ha detto la nuotatrice Valerie Tarazi, americana con radici nella Striscia di Gaza che gareggia per la squadra palestinese. “Non siamo qui per competere per noi stessi o per rappresentarci”, ha detto Tarazi, che è nato e cresciuto a Chicago: “Questa partecipazione ai Giochi è molto più grande di noi”. La nuotatrice, che si è recata in Cisgiordania a luglio, subito prima dei Giochi Olimpici, ha espresso in un post su Instagram tutto il suo amore per questa terra “Quanto sono orgogliosa di essere palestinese e che onore è competere con la bandiera sulla mia cuffia. Ti amo, Palestina. Hai il mio cuore”.

Atleti palestinesi olimpiadi
Valerie Tarazi è una nuotatrice nata e cresciuta negli Stati Uniti, che in queste Olimpiadi rappresenta la Palestina, paese di origine dei suoi genitori © GettyImages

Yazan Al Bawwab è un altro nuotatore: lui vive a Dubai e ha anche un passaporto italiano, perché il padre era emigrato a Genova “Noi palestinesi, sottolinea, vogliamo far sapere al mondo che siamo esseri umani. Posso fare sport come tutti gli altri, sono come un ragazzino di Gaza”, continua il nuotatore che è anche il fondatore di SwimHope Palestine, un’organizzazione che mira a potenziare le comunità svantaggiate e i rifugiati in Palestina fornendo accesso a un’istruzione essenziale sul nuoto e abilità salvavita in acqua. “La mia famiglia è in Palestina, ho una famiglia allargata a Gaza. Non voglio parlare delle atrocità che sono accadute a loro, voglio solo far sapere che alcuni componenti della mia famiglia sono stati uccisi. Ma sono qui e rappresento la mia bandiera”.

Yazan Al Bawwab è un nuotatore palestinese, fondatore anche dell’associazione SwimHope Palestine © GettyImages

I corridori Mohammed Dwedar e Layla Al Masri

Layla Al Masri, specializzata nelle medie distanze che a Parigi 2024 ha corso gli 800 metri, è nata a Colorado Springs e vive e si allena negli Stati Uniti ma, come lei stessa ha dichiarato “Ho sempre saputo che mai un giorno mi fosse capitato di partecipare alle Olimpiadi, lo avrei fatto con la bandiera palestinese. “Con gli occhi del mondo puntati sugli schermi a guardare le Olimpiadi, vogliamo usare la nostra piattaforma unica come atleti per mantenere l’attenzione su ciò che sta accadendo in Palestina. Corro per la Palestina per rappresentare qualcosa di più grande di me stessa, la resilienza del popolo palestinese, per dare voce a chi non ha voce”. I genitori, entrambi emigrati dalla Cisgiordania, hanno sempre mantenuto vive la radici della famiglia con la loro terra d’origine, che oggi Layla è orgogliosa di rappresentare. Diversa la storia per Mohammed Dwedar, che per gareggiare negli 800 metri ha dovuto disputare la sua personale olimpiade ben prima di arrivare a Parigi dovendo lasciare la nativa Ramallah per l’Algeria dove ha potuto allenarsi per soli due mesi il suo più grande successo, ha detto, è stato quello di mostrare la determinazione del popolo palestinese.

Il judoka palestinese Fares Badawi si è allenato a distanza, perché il suo allenatore non poteva viaggiare

Il judoka palestinese Fares Badawi, nato in Siria, ha rappresentato la Palestina nella categoria U81kg uscendo purtroppo al primo turno di questa sua prima esperienza olimpica, aveva infatti partecipato ai Campionati del Mondo del 2019 a Tokyo con la squadra dei rifugiati. “Questo era il mio sogno da quando avevo 10 anni” ha detto. “Ogni giorno andavo a dormire e mi svegliavo pensando a come poter raggiungere le Olimpiadi”. Tuttaviail suo allenamento per Parigi è stato tutt’altro che ideale, il suo allenatore infatti, che non ha potuto uscire con lui dalla Cisgiordania occupata, gli inviava le istruzioni di allenamento ogni mattina tramite dei soli messaggi di testo.

Atleti palestinesi olimpiadi
Fares Badawi è il judoka palestinese che si è dovuto allenare a distanza via sms © GettyImages

Jorge Antonio Salhe, cileno palestinese al tiro

Nato e cresciuto a Santiago del Cile, Jorge Antonio Salhe non ha mai messo piede in Palestina, il Paese che ha rappresentato nel tiro a volo ai Giochi di Parigi. Salhe, nato da madre palestinese di Betlemme e padre sudamericano ma cresciuto nella più grande comunità palestinese del sudamerica, non ha raggiunto la finale dello skeet maschile, ma il solo fatto di poter gareggiare al Centro di tiro di Chateauroux gli ha dato un senso di appagamento enorme: “Sono molto felice e orgoglioso di rappresentare la Palestina”, ha dichiarato alla Reuters Salhe. “È un’occasione storica per rappresentare la Palestina nel tiro olimpico”.

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