Due termini correlati che esprimono concetti leggermente diversi. Abbiamo chiesto aiuto a Vidas per capire.
La visione della Psicologia Umanistica
Una vera e propria rivoluzione copernicana nell’ambito della psicologia ha riportato l’essere umano al centro, ridandogli fiducia in se stesso.
Verso la fine degli anni ’50, in risposta ad alcune posizioni
estreme del comportamentismo – che vedeva l’individuo come
modellato esclusivamente dai condizionamenti ambientali – emerge
una nuova voce, che rimette nuovamente l’individuo al centro del
suo mondo, riconoscendogli potenzialità di
autodeterminazione, di crescita, di trasformazione, ben più
forti di qualsiasi condizionamento.
E’ l’inizio della psicologia umanistica, che amplia il campo di
osservazione e di studio dell’essere umano dal comportamento alla
qualità delle relazioni, dal resoconto del passato alla
progettazione del futuro, dal patrimonio genetico ai talenti
inespressi, dal riflesso condizionato alla spinta creativa, dal
determinismo alla libertà di scelta, dall’enfasi sugli
istinti a quella sulla dimensione etica, dallo studio dell’uomo
malato a quello dell’uomo sano, dalla terapia alla formazione.
Tra i principali esponenti di questa corrente troviamo Abraham
Maslow, che si è concentrato sullo studio della
personalità sana, Rollo May, attento all’essere e al suo
divenire, Viktor Frankl, che ha sottolineato l’importanza di dare
un senso alla propria vita, Carl Rogers, dalla visione dell’essere
umano così ottimistica, basata su libertà e
responsabilità, Roberto Assagioli, che tanta attenzione ha
dato anche alla componente spirituale dell’individuo, Fritz Perls,
con la sua fiducia nella capacità di autoregolazione degli
esseri umani, e tanti altri che in futuro saranno sempre più
noti.
Facendo tesoro di tutto il percorso che l’ha preceduta, la
psicologia umanistica trova applicazione sempre crescente in ambiti
non solo terapeutici ma anche educativi, aziendali e
socio-sanitari, ampliando il campo d’azione dello psicologo
classico e ufficializzando nuove figure professionali.
Nel campo delle professioni di aiuto questo contributo si traduce
in un passaggio sostanziale dall’atteggiamento di pietà,
carità, solidarietà e assistenzialismo, a uno di
collaborazione, corresponsabilità e compartecipazione. Non
c’è più qualcuno che, dall’alto del suo sapere,
risolve i problemi di un altro, ma c’è un addestramento
all’indipendenza e all’autonomia in cui non si utilizzano le
conoscenze sulla natura psichica dell’essere umano per “far
guarire” qualcuno, ma si forniscono direttamente queste conoscenze
a chi ne ha bisogno, affinché la persona possa poi
comprendersi meglio e riequilibrarsi anche da sé.
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