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Laboratorio Triciclo a Bergamo, esempio virtuoso di economia circolare e integrazione
Il laboratorio Triciclo della cooperativa Ruah è un luogo dove la sostenibilità ambientale abbraccia i valori umani della solidarietà.
- Il laboratorio Triciclo di Bergamo è un progetto no profit che ha cominciato la propria missione di recupero, riuso e riciclo di oggetti destinati alla discarica quando la parola “economia circolare” era pressoché sconosciuta.
- Nato dalla cooperativa sociale Ruah, Triciclo offre lavoro e opportunità di integrazione a tanti migranti e persone in difficoltà.
- Lanciare un marketplace online è il prossimo obiettivo, oltre che un esperimento di circolarità.
Valorizzare le persone, gli oggetti e le loro storie. Dal 1997 l’obbiettivo del laboratorio Triciclo di Bergamo è quello di recuperare, ridare vita e poi rivendere oggetti che altrimenti finirebbero in discarica, attraverso un’economia solidale e circolare che offre opportunità di lavoro e di integrazione a chi vive situazioni socioeconomiche difficili. Il progetto no profit, che ha cominciato la propria missione di recupero, riuso e riciclo quando la parola “economia circolare” era pressoché sconosciuta, orbita attorno alle attività della cooperativa Ruah, centro di accoglienza istituito nel 1991 in collaborazione con la Caritas diocesana bergamasca per rispondere ai bisogni dei migranti sul territorio.
Come nasce il laboratorio Triciclo
“Ruah è una parola ebraica che significa ‘soffio dello spirito’ – spiega Bruno Goisis, direttore generale del laboratorio Triciclo – che trovi nei tre testi sacri delle religioni monoteiste: islam, cristianesimo ed ebraismo”. Una parola che ispira condivisione, aggregazione e solidarietà. Proprio come si presenta il laboratorio Triciclo, pensato non come semplice mercatino dell’usato ma come luogo di ritrovo e di integrazione.
“Non reputiamo di essere solo un negozio o uno spazio di vendita – dice Paola Pesenti Bolognini che si occupa di progetti cooperazione internazionale –, ma un luogo polifunzionale dove si possono conoscere altre persone, dove ci si può davvero integrare. Siamo un collettore di oggetti che circolano e non si fermano mai. Ogni volta che ci viene dato un oggetto cerchiamo di ridargli una dignità, pulendolo, sistemandolo e avendone cura per il proprietario che verrà”.
La cooperativa Ruah è nata come centro di accoglienza temporaneo per offrire un tetto ai migranti bisognosi. Dopo aver creato una scuola per dare loro l’opportunità di imparare l’italiano, nel 1997 la cooperativa pensò ad un progetto che desse ai migranti anche un’autonomia economica. “A dir la verità neanche noi sapevamo di essere green e di fare economia circolare – rivela Bruno Goisis a LifeGate nel soppalco del negozio –. Abbiamo inventato un’attività sostenibile che genera lavoro e rende le persone autonome economicamente. Sostanzialmente andiamo nelle case dei bergamaschi a ritirare mobili, elettrodomestici, vestiti; tutto quello che è possibile recuperare”.
Integrazione: la storia di Lamine Diakite
Per entrare nelle case a ritirare oggetti che spesso possiedono un valore affettivo enorme per la storia familiare del donatore, Bruno Goisis sa bene che ci vogliono sensibilità e un certo tipo di attitudine. Lamine Diakite è una sorta di biglietto da visita della cooperativa per le faticose attività di sgombero porta a porta. “Nel 2009 sono partito dalla Costa d’Avorio a causa della guerra civile – racconta –; lì non c’era lavoro e l’economia era a pezzi. Appena arrivato a Bergamo ho dormito fuori perché non c’erano più posti, poi fortunatamente se n’è liberato uno alla cooperativa Ruah”.
Diakite crede che per integrarsi e adattarsi in una nuova cultura sia fondamentale seguire le regole. “Nel percorso formativo che abbiamo iniziato con i migranti – spiega Goisis – ci siamo accorti che dovevamo mettere dei paletti che sono prettamente culturali. Per Lamine e altri non è stato scontato inizialmente essere puntuali sul luogo di lavoro per esempio. È una questione di adattamento culturale che richiede tempo”. Lamine Diakite lavora da anni per Triciclo con un contratto a tempo indeterminato, ha diversi amici e appena può torna dalla sua famiglia in Costa d’Avorio. “Sto cercando di risparmiare più che posso ed inviare i soldi a mia moglie e ai miei figli. Al momento non ho le possibilità per far venire la mia famiglia qui, ma in futuro chissà”.
Quando il nuovo costa meno dell’usato
Durante la pandemia è aumentato il numero degli italiani che si rivolgono all’usato, che vendono o acquistano prodotti di seconda mano. Secondo i dati dell’Osservatorio second hand economy, l’usato è un’esperienza che la metà degli italiani ha fatto almeno una volta: per il 2020 parliamo infatti del 54 per cento del totale (popolazione 18-75 anni), nel 2019 erano il 49 per cento. Solo nel 2020 sono stati 23 milioni le persone che hanno acquistato o venduto usato.
La consapevolezza ambientale sta sicuramente crescendo, ma l’attività di Triciclo spesso deve competere con un mercato che offre un prodotto nuovo ad un prezzo inferiore di quello usato. “È difficilissimo ragionare in termini green e di economia circolare – spiega Goisis – perché per assurdo trovi del materiale nuovo che costa meno di quello che rivendiamo noi. La nostra selezione è dettata anche dall’usato di qualità e la sostenibilità economica non è così scontata in questo tipo di settore se si fa tutto in maniera regolare; che vuol dire iscrizione agli albi e autorizzazione al trasporto di rifiuti e materiali”.
Nel 2000 Triciclo ha iniziato a raccogliere i vestiti nei cassonetti gialli che da sempre in Italia sono considerati rifiuti. In media la cooperativa raccoglie circa 950mila chili di vestiti l’anno e probabilmente i numeri aumenteranno ancor più nel 2022, quando diventerà obbligatoria la raccolta differenziata della frazione tessile in tutta Italia.
In arrivo la piattaforma online come esperimento di circolarità
Nel contesto di Triciclo, Paola Pesenti Bolognini spiega che non esiste la figura tradizionale del cliente che acquista. “Esistono i donatori degli oggetti e i beneficiari che possono essere di diverso tipo: c’è chi non può permettersi altro che comprare un jeans e una maglietta a pochi euro. Ci sono migranti che nonostante abbiano raggiunto una situazione economia benestante vengono ancora perché trovare il coraggio di entrare in negozi di un certo rilievo non è così semplice. Mentre qui da noi si sentono un po’ come a casa”.
L’idea di Bolognini per quest’anno è di ampliare lo spettro di possibili beneficiari aprendo un marketplace online, con la possibilità di avere due magazzini: quello reale e quello virtuale.
“A gennaio faremo un inventario dove classificheremo con codici a barre tutto il materiale d’ingresso con le caratteristiche che ogni oggetto si porta. Si dice che sulle piattaforme online si guadagna di più, ma per noi non è una scelta finanziaria. Vogliamo espanderci sull’online perché se la piattaforma è un esperimento di circolarità, per noi è uno strumento di vita. Lo è il negozio, lo è il passaparola e lo sarà la piattaforma”.
Il laboratorio Triciclo è un business no profit che utilizza i principi di economia circolare per generare lavoro e integrare persone con difficoltà socioeconomiche. Una realtà virtuosa che grazie ad un’economia circolare e inclusiva continua a valorizzare persone e oggetti che la società troppo spesso dimentica.
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