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Le lacrime di Hristo Stoichkov e il razzismo nel mondo del calcio
La commozione dell’ex campione bulgaro Hristo Stoichkov contro il razzismo e il nazismo dei suoi tifosi, ha fatto il giro del mondo. Ora anche le società italiane iniziano a schierarsi con decisione contro questo fenomeno inaccettabile e dilagante.
Le lacrime nel mondo del calcio sono difficili da sdoganare. Se poi a versarle è un ex campione come il bulgaro Hristo Stoichkov, famoso non solo per le giocate in campo, ma anche per il carattere poco mite, fa ancora più rumore. È accaduto il 15 ottobre scorso, all’indomani dell’ignobile spettacolo andato in scena sulle tribune del Vasil Levski Stadium di Sofia: nel corso della partita Bulgaria-Inghilterra (finita, per la cronaca, con un rotondo 0-6), tra cori beceri e saluti nazisti, i tifosi locali hanno rivolto ululati e insulti razzisti contro i giocatori avversari di colore.
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Sospeso per due volte dall’arbitro, la partita di calcio si è trasformata in una sorta di caso diplomatico, con la Football association britannica che ha definito gli episodi “aberranti e inaccettabili a qualsiasi livello”, chiedendo alla Uefa (Union of european football associations), l’Unione delle associazioni calcistiche europee, di intervenire con pene severe. Uefa che a sua volta ha aperto un’indagine con quattro capi d’accusa, mentre il presidente della Federcalcio bulgara ha immediatamente rassegnato le dimissioni.
Hristo Stoichkov: genio, sregolatezza e umanità
Ma a trasformare la partita in un caso mediatico è stato – inconsapevolmente – il più grande calciatore della storia bulgara, vincitore del Pallone d’oro nel 1994, il massimo riconoscimento per un giocatore di questo sport. Intervenendo in diretta nel corso del programma televisivo Fútbol Central sul network americano Tudn, Hristo Stoichkov ha prima chiesto punizioni esemplari per i responsabili, per poi sciogliersi in un pianto doloroso: “Questa situazione mi causa lacrime e tristezza, la gente in Bulgaria non merita di soffrire così per colpa loro. La soluzione è quella di lasciare il campo o, più duramente, mandare via questi tifosi per cinque anni, senza che possano partecipare alle competizioni internazionali e di club”.
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Un’immagine talmente forte da diventare virale in ogni angolo del mondo, per almeno due motivi. Il primo è che l’ex attaccante 53enne è celebrità assoluta non solo in patria, ma anche in Spagna (ha giocato diversi anni nel Barcellona, vincendo praticamente tutto), in Italia con la maglia del Parma e negli Stati Uniti, dove nel 1994 ha partecipato ai Mondiali da grande protagonista. Affermando, tra le altre cose, “in questo Mondiale dio è bulgaro”. E qui arriva la seconda motivazione: tra risse, squalifiche e liti, la carriera di Stoichkov è stata segnata anche dal suo carattere bollente. Per chi ricordava la sua furia agonistica in campo, dunque, quel gesto di commozione è stato una sorta di choc.
Stop al razzismo nel mondo del calcio, adesso
Nel mondo del calcio il razzismo è ancora una piaga difficile da estirpare. E se un campione bulgaro del passato piange, l’Italia di certo non ride: nei nostri stadi questi episodi continuano a verificarsi con cadenza settimanale. Ma finalmente qualcosa si muove, proprio fra le società che – troppe volte negli anni passati – hanno preferito rimandare il problema piuttosto che affrontarlo con decisione. È il caso della Roma e del Pescara, che negli ultimi tempi hanno deciso di prendere una posizione forte contro alcuni propri tifosi. A fine settembre la società giallorossa ha segnalato alla polizia e a Instagram l’account di un sostenitore che aveva rivolto insulti razzisti al difensore brasiliano, in forza alla Roma, Juan Jesus sul social network. Era stato proprio il calciatore a segnalare l’accaduto al proprio club (“Sapete già cosa fare con un tifoso così. Orgoglioso di essere quello che sono”), che ha bandito a vita il responsabile dalle partite della Roma.
A metà ottobre, su Twitter, un supporter del Pescara ha invece criticato le posizioni del club: “Basta con questa storia del razzismo vi ho sempre sostenuto ma direi che è ora di finirla voi e quei comunisti del cazzo, state per perdere un tifoso fate voi”.
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Un assist immediatamente colto dal club abruzzese: “Facciamo noi? Bene, signore e signori, Andrea non è più un nostro tifoso”. Dopo tante dichiarazioni vaghe e generiche, anche nel Belpaese si sta iniziando ad agire con decisione.
Il pugno duro della Fifa
Anche perché la Fédération internationale de football association (Fifa, la Federazione internazionale di calcio), il massimo organo del calcio mondiale, lo scorso luglio ha deciso di inasprire le pene per gli episodi di razzismo: i giocatori colpevoli di comportamenti discriminatori saranno squalificati per almeno dieci giornate, mentre gli atteggiamenti razzisti dei tifosi costeranno la sconfitta immediata alla propria squadra. Anche il regolamento Uefa prevede, all’articolo 14 del regolamento disciplinare, una lunga serie di sanzioni che arrivano fino alla sospensione della partita; ma di fatto nella stragrande maggioranza dei casi ci si limita alla chiusura di un settore dello stadio.
Fifa president Gianni Infantino says Italian football should apply English-style punishments to supporters guilty of racism.
It comes after another Serie A game was halted after reports of racist chanting
? https://t.co/Fxh1eeBQOl pic.twitter.com/tShghcmeua— Match of the Day (@BBCMOTD) September 23, 2019
Sospensione che (in teoria) sarebbe prevista anche in Italia, dove due partite sono passate tristemente alla storia. Il 26 dicembre scorso in Inter-Napoli, il senegalese Kalidou Koulibaly fu bersagliato dai “buu” razzisti di parte dei tifosi di casa sin dai primi minuti di gioco; nonostante le proteste del diretto interessato e della panchina partenopea, l’arbitro non fermò la gara, anzi finì per espellere il difensore per un applauso ironico. Nei giorni successivi, la società milanese decise di lanciare la campagna contro il razzismo “Brothers Universally United” (“Fratelli Universalmente Uniti”), acronimo dei “buu” che troppo spesso si sentono all’interno dei nostri impianti. Meno nota è la storia dell’arbitro Paolo Gavillucci, che nel maggio del 2018 sospese per tre minuti – applicando alla lettera la normativa vigente – la partita Sampdoria-Napoli, a causa dei cori razzisti contro la città partenopea. È stata la penultima partita professionistica arbitrata dal fischietto di Latina, fermato a fine stagione dall’Associazione italiana arbitri per “motivate ragioni tecniche”. Dopo aver perso una lunga battaglia legale, oggi Gavillucci dirige le partite del settore giovanile scolastico in piccoli campi della periferia romana.
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