Se dovesse arrivare l’ok del Senato in Francia passerà un disegno di legge che prevede una tassa per i produttori di abbigliamento fast fashion.
Lana per i costumi da bagno: sì, e fa bene all’ambiente
Si usava negli anni Trenta, poi è stata soppiantata dalle fibre di derivazione sintetica: ecco perché un ritorno alla lana nei costumi sarebbe auspicabile.
Se vi è mai capitato di sfogliare alcune immagini balneari degli anni Trenta avrete certamente notato, oltre ai modelli estremamente pudici, un’altra cruciale differenza rispetto ai costumi da bagno ai quali siamo abituati: erano di lana. Materiale che, oggi, siamo naturalmente portati ad associare a maglioni, calzettoni, sciarpe, insomma a capi d’abbigliamento progettati per proteggerci dalle temperature più rigide. Eppure all’epoca era considerata un’opzione più che valida, da un lato perché il nuoto non era così diffuso e poca gente poteva permettersi di andare in vacanza, dall’altro perché le persone lavorando a maglia erano in grado di realizzare da soli i propri costumi. Elasticità e una buona capacità coprente (ricordiamoci che stiamo parlando di un’epoca in cui il corpo non veniva scoperto in maniera tanto disinvolta come succede oggi) rendevano la lana il materiale perfetto per i costumi da bagno.
Certo, all’epoca non era lavorata come lo è oggi e tendeva ad appesantirsi notevolmente una volta bagnata, ma l’industria tessile è partita proprio da questo materiale per iniziare a creare i costumi destinati ad un uso commerciale, quelli che conosciamo oggi. Basti pensare che la prima azienda produttrice di costumi da bagno, ovvero la Speedo, era nata in origine come fabbrica di maglieria nel corso dei primi decenni del Novecento: fondata da uno scozzese emigrato in Australia, Alexander MacRae, aveva iniziato la sua attività producendo calze per l’esercito durante la Prima Guerra Mondiale ed era poi passata ai costumi solo in seguito, introducendo il nylon non prima degli anni Cinquanta.
Costumi da bagno: lana vs poliestere
Prima dell’avvento del poliestere infatti, non esistevano gli “indumenti tecnici” come li conosciamo oggi: costumi da bagno, ma anche giacche a vento o maglie termiche. Oggi ci sembra impossibile fare a meno di quella fibra prodigiosa che è il poliestere: rigidità, flessibilità e, non da ultimo, un costo contenuto, rendono questo materiale molto gettonato. Non bisogna dimenticare poi che stiamo parlando di una fibra iper versatile, che consente cioè di “imitare” le qualità di un gran numero di fibre naturali, dalla seta al pelo animale fino alla lana. Queste imitazioni, col tempo e con la ricerca, sono diventate sempre più convincenti e, il risultato, è che oggi possiamo disporre di una fibra forte, resistente alle abrasioni e alle lacerazioni e in grado di sopportare numerosi lavaggi senza che ne venga modificata la vestibilità.
Una fibra prodigiosa, insomma, che non è difficile capire perché sia amatissima dall’industria tessile e in particolare da quella dell’abbigliamento tecnico. Il grosso problema degli indumenti realizzati a partire dal poliestere, però, è che sono altamente inquinanti: questa fibra dei miracoli è infatti derivante dal petrolio e, sebbene l’industria tessile si stia attrezzando per produrre alternative più sostenibili da un punto di vista ambientale, come l’Econyl ricavato dalle reti da pesca riciclate, la presenza di fibre tessili prodotte ex novo dai petrolati è ancora altissima.
Questo genere di materiali è energivoro: la produzione richiede un dispendio di CO2 altissimo e, come se non bastasse, vengono disperse microplastiche in acqua ad ogni lavaggio. Il paradosso è che il successo di una fibra del genere dipende dal fatto che è in grado di imitare le qualità delle fibre naturali come la lana, che per contro richiede meno energia per essere prodotta, è più facilmente riciclabile, non produce microplastiche, è 100 per cento biodegradabile, è durevole nel tempo ed è anche responsabile della sopravvivenza di molte comunità vulnerabili che in varie parti del mondo si sostentano grazie all’allevamento di pecore o capre per la sua produzione.
Oggi che il desiderio di abbigliamento sostenibile e rispettoso per l’ambiente, e di conseguenza anche di costumi da bagno, è in netta crescita, la ricerca e sviluppo intorno a questo tema sta facendo passi da gigante e oggi possiamo contare sulla reintroduzione della lana nel mondo dei costumi da bagno in modo sicuramente più comodo e funzionale rispetto a quello sperimentato dai bagnanti negli anni Trenta. Oggi fare il bagno con un costume in lana non significa più uscire dall’acqua con un indumento che ha raddoppiato il proprio peso, ma poter contare su un capo traspirante, termoregolatore e in grado di assorbire l’umidità: la lana merino oltretutto è anche una fibra che fornisce un’ottima protezione dai raggi UV, tant’è che veniva usata per realizzare le divise dei soldati britannici in epoca coloniale proprio per tenerli al riparo dal caldo e dall’umidità dei climi tropicali. Questo succede perché la lana è una fibra cava e, come tale, riesce a mantenere stabile la temperatura corporea bilanciandola con quella esterna, ecco perché non è un controsenso pensare di indossarla ad agosto sotto un sole inclemente. Oltretutto assorbendo l’umidità e rilasciandola verso l’esterno la lana non puzza anche in presenza di sudore: riesce infatti ad assorbire le molecole che generano cattivo odore, rilasciandole solo in fase di lavaggio.
I vantaggi dell’utilizzo della lana
Una fibra naturale come la lana presenta diversi vantaggi dal punto di vista ambientale: in primo luogo la sua produzione non è energivora e, se ci si affida a produttori certificati, come quelli racchiusi dal cappello The Woolmark Company che è il consorzio dei produttori di lana Merino, si ha anche una garanzia rispetto alle condizioni di allevamento dei 71 milioni di pecore australiane che producono un filato che è 100 per cento naturale, 100 per cento biodegradabile – quando una fibra di lana viene smaltita, si decompone naturalmente nel suolo nel giro di pochi anni rilasciando allo stesso tempo sostanze nutritive per la terra – e 100 per cento rinnovabile. Un altro vantaggio non da trascurare è la capacità di essere riciclata: un indumento che sia composto al 100 per cento da lana è riciclabile facilmente ed efficacemente: nonostante la lana rappresenti solo l’1,2 per cento della produzione totale di fibre vergini, alcune ricerche hanno dimostrato come questa sia una delle fibre più utilizzate per la produzione di nuovi prodotti come indumenti, materassi e rivestimenti.
Insomma, i vantaggi nello scegliere dello swimwear di lana sono molti e altrettante sono le ragioni per preferire questa fibra al poliestere: ad oggi non sono moltissimi i brand che producono costumi da bagno in lana, ma l’offerta si sta ampliando di anno in anno. La maggiore concentrazione, se così la vogliamo chiamare, al momento la troviamo in Oceania con Merino swimsuit e Swimm, brand che realizzano costumi in lana, più tecnico- retrò il primo, più fancy e modaiolo il secondo. Alle nostre latitudini invece troviamo le collaborazioni del brand francese Vilebrequin e dell’italiano Arena con The Woolmark Company: che hanno realizzato costumi da bagno in lana Merino extrafine.
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