Il magazine Öko-test ha condotto ricerche su capi di abbigliamento e accessori Shein trovando residui di sostanze pericolose. La nostra intervista ai ricercatori.
L’app più scaricata negli Usa, Temu, è anche peggio di Shein
Non c’è un limite all’ultra fast fashion e, dopo Shein che inquina ogni anno come 180 centrali a carbone, ora è la volta di Temu, accusato di sfruttamento
- Temu è un marketplace, ovvero un rivenditore, virtuale che segue lo stesso modello di ultra fast fashion di Shein ovvero offerta abbondante di prodotti a costi irrisori.
- Lanciata nel mercato statunitense a settembre 2022, oggi è l’app più scaricata negli States, merito anche dello spot milionario mandato in onda durante lo scorso Super bowl.
- I prezzi sono addirittura più bassi di quelli di Shein, ma con il principale competitor condividono foschi scenari di sfruttamento e, non da ultimo, rappresentano una minaccia importante per quanto riguarda l’inquinamento ambientale.
Shop like a billionaire: con questo claim Temu si è presentato al grande pubblico durante il Super bowl dello scorso 12 febbraio allo State Farm Stadium di Glendale in Arizona, l’evento sportivo più importante degli Stati Uniti. È un avvenimento tanto colossale da essere preso come termine di paragone per rendicontare manifestazioni simili in altre discipline: “È il Super bowl del calcio”, o “è il Super bowl dello sci” e, nella sua ultima edizione, è stato visto da 113 milioni di spettatori. Durante l’halftime si esibiscono ospiti del calibro di Rihanna, come durante l’ultima edizione, Lady Gaga, Beyoncé o i Coldplay e, mandare in onda uno spot durante la pausa, costa 7 milioni di dollari, quello di Temu è andato in onda per ben due volte durante la partita. Una cifra, 14 milioni di dollari, non da poco per un brand sconosciuto ai più e lanciato sul mercato statunitense appena cinque mesi prima, nel settembre del 2022. Stando ai dati diffusi dalla società di analisi di mercato Sensor tower lo spot di Temu mandato in onda durante il Super bowl ha generato un incremento istantaneo dei download e degli utenti attivi giornalieri del 45 per cento e da allora non hanno mai smesso di crescere facendo della app del brand la più scaricata negli States. La società proprietaria di Temu (che ha sede a Boston), la cinese PDD Holdings, ha dichiarato rispetto al terzo trimestre un fatturato di 4,9 miliardi di dollari: una cifra superiore del 65 per cento rispetto allo periodo dell’anno precedente che ha portato il valore totale a superare i 100 miliardi di dollari. Ma cosa c’è dietro all’enorme successo di Temu, oltre ad uno spot milionario ben riuscito?
La strategia di Temu
Il modello di business di Temu, che spedisce in più di quindici mercati in tutto il mondo, dal Messico alla Nuova Zelanda passando per il Regno Unito e l’Italia, è simile a quello delle principali piattaforme cinesi come Shein, Wish e Alibaba: vendere enormi quantità di prodotto a prezzi incredibilmente bassi. Temu però si distingue per la fusione tra shopping e intrattenimento, introducendo esperienze di gamification in cui i clienti possono giocare per vincere premi e promuovendo un’esperienza di shopping condivisa attraverso l’acquisto di gruppo: un concetto molto diffuso in Asia che consente ai clienti di formare gruppi e di usufruire di sconti all’ingrosso. Più utenti comprano lo stesso prodotto e più il suo prezzo scende riprendendo il concetto: Team up, price down. Temu inoltre non si limita all’abbigliamento, ma offre una vastissima gamma di prodotti che comprendono anche articoli per la casa ed elettronica a prezzi se possibile ancora più bassi di quelli offerti da Shein: un paio di earpods wireless può arrivare a costare anche solo 2 euro, uno smartwatch 4,99 e un vestito da sera 12 euro, tutto comprensivo di spedizione e reso gratuito. Non solo: molti clienti che hanno aderito alla campagna lanciata sui social in cui più si convincono gli altri a iscriversi, più si guadagna credito, non pagano affatto.
Con questi prezzi e questi escamotage torna anche il claim: “compra come fossi un miliardario”. Non stupisce che le vendite di Temu superino del 20 per cento quelle di Shein. Non da ultimo: Temu, a differenza di Shein, non produce ma opera semplicemente come marketplace, mettendo in collegamento diretto fornitori e consumatori e, di fatto, occupandosi principalmente solo della spedizione. In più permette ai produttori cinesi di spedire direttamente in occidente senza doversi appoggiare a centri di distribuzione locali, come fa ad esempio Amazon. Ma, al netto di questo, come sono giustificabili prezzi tanto bassi? Non c’è produzione e non ci sono negozi fisici, ma quale sarà la pressione esercitata dal brand sui propri fornitori per far sì che mantengano un volume di produzione così alto a prezzi così risicati?
Lo sfruttamento degli uiguri e la battaglia con Shein
Una possibile risposta sta in un’inchiesta condotta da Bloomberg sulla catena di approvvigionamento di Temu sia negli Usa che in Cina che ha messo in luce come una buona parte dei prodotti messi in vendita dal marketplace appartengano ad aziende situate nello Xinjiang, una regione dove il lavoro forzato è la regola e che gli Stati Uniti hanno bannato: nulla di quello che proviene da questa regione può essere commercializzato su suolo americano. Tra i prodotti incriminati ci sarebbero occhiali da sole, sandali, contenitori alimentari ed utensili da cucina e per il bagno: l’ombra sollevata dall’inchiesta è che provengano da fabbriche che obbligano i propri dipendenti a lavorare in condizioni di semi schiavitù, il Dipartimento di Stato americano riferisce di terribili abusi contro il popolo uiguro che, sarebbe emerso da una serie di rapporti di associazioni e dalle testimonianze degli uiguri stessi, vengono rinchiusi a migliaia in campi di detenzione e costretti ai lavori forzati.
Nello Xinjiang, regione autonoma che si trova tra Mongolia, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Afghanistan, Pakistan, India, e Tibet vivono infatti circa 11 milioni di uiguri, popolazione musulmana di lingua turca, originaria della regione e vessata sistematicamente dal governo centrale, tanto da spingere Mike Pompeo, Segretario di Stato degli Stati Uniti durante la presidenza di Donald Trump, ad utilizzare la parola genocidio per indicare tanto le politiche di sicurezza in atto nella regione, compresa quella rigidissma del controllo delle nascite, quanto la reclusione nei campi di internamento che hanno la specifica missione di rieducare i membri delle minoranze islamiche nella regione e dove si inserisce lo scenario dei lavori forzati. Temu dal canto suo non dispone di alcun sistema per garantire il rispetto della legge sulla prevenzione del lavoro forzato degli uiguri (Uflpa).
Anche il principale competitor di Temu, ovvero Shein, è accusato di produrre nella regione dello Xinjiang e, come se non bastasse, i due colossi dello sfruttamento di manodopera sono impegnati in una causa legale che li vede contrapposti. Temu ha infatti accusato Shein presso il tribunale del Massachusetts, di aver creato contratti esclusivi con produttori indipendenti in Cina, impedendo loro di lavorare con Temu. L’azienda sostiene che Shein abbia stipulato gli accordi nel tentativo di superare Temu nei mercati statunitensi. Uno scontro tra titani insomma.
Le conseguenze dell’ultra fash fashion sull’ambiente
Se il fast fashion ha generato un sacco di problemi all’ambiente, l’ultra fast fashion è la nuova frontiera dell’iper-consumismo che rappresenta una minaccia enorme in fatto di inquinamento. Marchi come Temu e Shein immettono sul mercato nuovi prodotti costantemente: se con il fast fashion siamo arrivati ad avere 52 drop di prodotto in un anno, ovvero uno alla settimana, con l’ultra fast fashion ci ritroviamo nuovi oggetti da mettere nel carrello ogni singolo giorno. I prezzi incredibilmente bassi, oltre a presupporre terribili scenari di sfruttamento, comportano anche un’altra cosa: la pessima qualità dei prodotti, la cui vita è veramente breve. Questo significa che assisteremo ad un riversarsi in discarica di ancora più prodotti, tessili e non. Senza contare il fatto che su una piattaforma come Temu non c’è traccia di fibre naturali o materiali poco impattanti, la stragrande maggioranza dei prodotti tessili sono di poliestere, che è un derivato del petrolio e, come tale, altamente inquinante. Altri marchi di ultra fast fashion sono il cinese Romwe, che per altro è di proprietà dello stesso fondo che controlla Shein, l’americano Zaful e lo svizzero Tally Weijl. La posizione di leadership, che fino a poco meno di un anno fa era indiscussamente di Shein, oggi è stata messa in crisi dalla nuova stella nascente di questo mondo fatto di sfruttamento e prodotti scadenti, Temu appunto. Per quanto riguarda Shein invece è stato stimato che, con i suoi 470mila modelli disponibili ogni giorno, produce la stessa quantità di CO2 di 180 centrali a carbone.
Temu tra sospetti di malware, sicurezza dei dati e malcontento degli utenti
Se tutto questo non fosse sufficiente a scoraggiare gli acquisti su Temu, qualche mese fa sul retailer online si sono anche abbattute ombre circa la gestione dei dati degli utenti: dai più comuni sospetti sul trattamento poco ortodosso in materia di advertising ai più pesanti secondo cui l’app conterrebbe un malware in grado di copiare tutti i dati presenti sugli smartphone su cui viene installata. Al momento questi sono solo rumors, mentre quello che è reale è il rating sempre più basso con cui vengono valutati gli acquisti: tra ritardi nelle consegne e prodotti non conformi non sono pochi i commenti negativi che hanno investito Temu ultimamente.
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