Dall’ecoansia a sensazioni positive di unione con la Terra. Conoscere le “ecoemozioni” ci aiuta a capire il nostro rapporto con ciò che ci circonda e come trasformarle in azione.
The last animals, il documentario sulla guerra in corso per salvare gli ultimi elefanti e rinoceronti del Pianeta
La verità dietro al bracconaggio di elefanti e rinoceronti per il commercio di avorio e di corni che sta portando all’estinzione queste specie è svelato nel documentario The last animals della fotoreporter di guerra Kate Brooks.
C’è un’unica oscura presenza dietro l’immane tragedia che sta portando all’estinzione i più grandi mammiferi della Terra: l’avidità umana. Ogni anno migliaia di elefanti e di rinoceronti vengono brutalmente uccisi per alimentare il commercio di avorio e di corni, spesso finalizzato a finanziare organizzazioni terroristiche e criminali. Una storia terribile e dai risvolti ancora troppo sottovalutati che Kate Brooks, fotoreporter di guerra americana, è riuscita a raccontare senza censure nel documentario The last animals, selezionato dal Tribeca Film Festival 2017.
Proiettato con effetti deflagranti in tutto il mondo, il film è arrivato anche in Italia grazie al festival Cinemambiente che lo ha inserito nella sezione dedicata ai documentari internazionali della sua ventunesima edizione, che si è svolta a Torino dal 31 maggio al 5 giugno. Una preziosa occasione anche per noi di vederlo e di poter richiamare l’attenzione su un problema di portata internazionale e dalle conseguenze devastanti.
The last animals, la trama del doumentario di Kate Brooks
Mettendo in pericolo anche la sua stessa incolumità, la giornalista punta l’obiettivo (talvolta dovendolo nascondere) contro il bracconaggio e il commercio illegale di avorio e di corni di rinoceronte, lungo una linea che unisce Africa, Asia, Europa e Stati Uniti. Un percorso complesso, che la regista racconta partendo dai mercati neri di Cina, Vietnam e Laos. Qui per un ciondolo di avorio si spendono oltre trecento dollari e la polvere di corno di rinoceronte viene venduta a 750 dollari l’etto, per le sue fantomatiche proprietà curative, una credenza popolare priva di basi scientifiche, se si pensa che il corno è composto di cheratina, ovvero la stessa sostanza che compone unghie e capelli.
Le cifre sopra citate fanno bene intuire quale possa essere la portata di un commercio che, solo durante le riprese di questo film (tre anni) ha condannato a una morte atroce 100mila elefanti e cinquemila rinoceronti. Una realtà che Kate Brooks racconta, conducendoci – senza troppi sconti – in una delle trincee di quella che è a tutti gli effetti una guerra: il parco nazionale di Garamba, nella repubblica democratica del Congo. È proprio qui che, nel 2007, fu avvistato l’ultimo rinoceronte bianco settentrionale esistente in natura.
All’inizio delle riprese di questa specie esistevano solo cinque esemplari in cattività. Ora ne restano soltanto due. Un triste epilogo, che si compie proprio davanti ai nostri occhi, grazie alle immagini catturate dalla giornalista, che ammette: “Quando ho iniziato questo film speravo di documentare il salvataggio del rinoceronte bianco e di aprire gli occhi alle persone sulla conseguenze devastanti causate dal commercio di fauna selvatica”. Quello che ha potuto fare, invece, è stato documentarne l’estinzione, in un funereo tour tra lo zoo di San Diego, quello di Dvur Kralove in Repubblica Ceca e la riserva Ol Pejeta Conservancy in Kenya.
Al racconto più crudo della “trincea” si alternano altre linee narrative che ci portano anche nei luoghi di ricerca e studio come il centro per la conservazione biologica delll’università di Washington, dove il dottor Sam Wasser cataloga il dna delle zanne sequestrate per individuarne le aree di provenienza, e gli incontri della Convenzione sul commercio internazionale delle specie a rischio estinzione (Cites, Convention on international trade in endangered species of wild Fauna and flora), un organo internazionale che ha l’obiettivo di salvaguardare le specie animali e vegetali minacciate dal commercio.
Per tracciare un quadro completo di questo problema di proporzioni globali la regista si affida alle voci di attivisti, scienziati ed eroici guardiaparchi e ranger che quotidianamente si prendono cura e proteggono questi animali, anche a costo della propria vita (undici ranger sono morti sul campo solo tra il 2015 e il 2016). Ma l’obiettivo di Kate Brooks non censura nemmeno la tragica fine della “manovalanza” povera e disperata del bracconaggio, mandata a delinquere e a morire per una sete di soldi e potere, che non guarda in faccia né animali né uomini.
Questo è il suo primo film da regista, giusto?
Sì, The last animals è stato il mio debutto alla regia. Non avevo mai diretto nemmeno un film di cinque minuti prima di questo lungometraggio, ma in precedenza avevo lavorato come direttore della fotografia in un documentario, oltre che come fotografa per diversi anni.
Perché ha deciso di fare un film e non un libro o un reportage?
A causa della complessità del traffico di animali selvatici e del commercio di avorio e di corni di rinoceronti, ritenevo che le immagini fisse non potessero rendere giustizia all’argomento e, istintivamente, sapevo che The last animals doveva essere un film. La pellicola consente allo spettatore di intraprendere un viaggio emotivo e di fare un’esperienza che altrimenti non sarebbe possibile vivere, fornendo al tempo stesso un preciso approfondimento della questione a tema.
Cosa vuol dire essere una reporter donna in un mondo maschile, come quello della guerra o del bracconaggio?
In genere ho trovato che essere donna sia un vantaggio. Puoi fare tutto ciò che fa un uomo e anche accedere più facilmente al mondo femminile.
Quali sono state le scoperte e le sfide più sorprendenti durante le riprese?
La realizzazione di The last animals è stata complessa. Ho dovuto seguire diverse storie in diversi luoghi del pianeta, coordinando le riprese su diversi fusi orari. Le riprese hanno attraversato quattro continenti, Europa, Stati Uniti, Africa e Asia, e il film è in cinque lingue. Per complicare ulteriormente le cose in quel periodo io vivevo in Medio Oriente.
Quanto tempo ci è voluto per realizzare il film?
Le riprese sono durate poco più di tre anni. Per l’editing ci sono voluti circa 15 mesi, con una sovrapposizione di montaggio e riprese fino all’estate del 2016. Il film è stato presentato in anteprima al Tribeca Film Festival nell’aprile 2017 e da allora sta girando il mondo.
Mentre girava nei mercati neri di avorio indossava una telecamera nascosta. Cosa ha rischiato, nel caso fosse stata scoperta?
Se fossi stata sorpresa a filmare con telecamere nascoste dalle autorità locali in alcuni Paesi avrei potuto essere arrestata. In altre situazioni i commercianti probabilmente avrebbero potuto anche picchiarmi.
Il suo film ha avuto qualche conseguenza o ha suscitato reazioni?
Il film è stato proiettato diffusamente a Hong Kong quando si è discusso del divieto dell’avorio. Ho anche testimoniato alla seconda udienza pubblica sul divieto di avorio, che ora è stato approvato. Ho proiettato il film ai funzionari governativi di Taiwan: un altro paese che ha recentemente annunciato il divieto dell’avorio. Il film è stato ampiamente proiettato nel Regno Unito e in parlamento nel Regno Unito e nell’Unione europea. La Gran Bretagna ha recentemente annunciato un divieto e la mia più grande speranza è che il film aiuti a far approvare il bando dell’avorio in Canada, Australia, Giappone, Laos, Myanmar, Corea e Unione europea.
Com’è la situazione attuale di questi animali? C’è qualche speranza per loro?
Sudan, l’ultimo rinoceronte bianco settentrionale al mondo è morto a marzo, quindi ora sono rimaste solo due femmine sul pianeta. Gli scienziati stanno tentando di creare un embrione di questa razza da innestare in un rinoceronte bianco meridionale surrogato. È l’ultimo tentativo per poterli salvare geneticamente e loro credono di potercela fare.
E per quanto riguarda le leggi sul commercio di avorio?
Un certo numero di Paesi ne ha approvato il divieto negli ultimi sei mesi. Le leggi e le sanzioni per i trafficanti stanno diventando più severe e sempre più persone vengono arrestate. Il bracconaggio di elefanti sembra ridursi, ma non è completamente sotto controllo e c’è ancora molta strada da fare. La scorsa primavera il Sud Africa ha ri-legalizzato il commercio domestico di corno di rinoceronte, ma il bracconaggio continua senza sosta. Proprio stamattina ho letto un post che parlava di un rinoceronte e il suo cucciolo uccisi dai bracconieri, sono fuggiti dalla scena prima di prendere le corna, ma sia il piccolo che la madre sono morti.
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