Le conseguenze del lavoro: stress e pandemia minano il benessere psicologico degli italiani

Ansia e insonnia colpiscono il 50 per cento dei lavoratori italiani. Lo conferma un’indagine Bva Doxa per Mindowork. Gli under 34 tra i più colpiti.

  • Secondo uno studio Bva Doxa per Mindwork, quasi l’85 per cento degli intervistati associa la propria condizione mentale complessiva agli stati emotivi sul lavoro.
  • La pandemia sembra aver aumentato il malessere psicologico dei lavoratori italiani, che ha portato alla crescita dei casi di ansia, insonnia e sintomi di burnout.
  • Sono però ancora poche le aziende a investire nel sostegno emotivo dei dipendenti.

Capita a tutti di avere una giornata storta al lavoro. A un italiano su due succede, poi, di non dormirci la notte e di cadere in preda all’ansia. Il dato emerge da uno studio sul benessere psicologico dei lavoratori italiani condotto da Bva Doxa per Mindwork, prima società italiana di consulenza psicologica online specializzata in ambito aziendale.

stress da lavoro
Avere preoccupazioni provoca insonnia © Ingimage

Lavoro, stress e pandemia

Con la settimana lavorativa di quattro giorni ancora lontana dai radar in Italia, non sorprende che quasi l’85 per cento degli intervistati associno la propria condizione mentale complessiva agli stati emotivi sul lavoro, e viceversa.

E poi c’è la pandemia, che ha contribuito ad aumentare le sensazioni di stress e disagio (+15 per cento) e il diffondersi di patologie come l’insonnia (+9 per cento). E ha esasperato la grind culture l’idea che essere sempre raggiungibili, sempre connessi elevi il nostro status. Per dirla con le parole dell’imprenditore Brunello Cucinelli in un video diventato virale sui social: “Essere stravolti è chic”.  

Com’era prevedibile, aumentano anche i rischi di “indigestione” da lavoro, il cosiddetto burnout, l’esaurimento provocato da un carico professionale eccessivo:L’80 per cento degli intervistati ha provato almeno un sintomo correlato dalla sensazione di sfinimento al calo dell’efficienza lavorativa, dall’aumento del distacco mentale al cinismo rispetto al lavoro  spiega Biancamaria Cavallini, psicologa del lavoro e customer success manager di Mindwork La durata dell’emergenza sanitaria sta mettendo a dura prova le persone”.

Le conseguenze: assenteismo e dimissioni

Dal ritardare la sveglia la mattina al decidere di lasciare il lavoro, il passo per fortuna è breve solo nei meme su Instagram.

Ma i segnali di allarme non mancano: l’assenteismo incalza e, nel 37 per cento dei casi, si arriva a interrompere il rapporto professionale.

Nei primi dieci mesi del 2021, in Italia il ministero del Lavoro ha registrato 777mila dimissioni volontarie a tempo indeterminato, 40mila in più rispetto a due anni prima.

Numeri ancora lontani dal fenomeno americano della big quit, le “grandi dimissioni”, come le chiama l’avvocata e scrittrice Ester Viola nella sua newsletter: La gente se ne va, non vuole saperne più, non solo dell’ufficio, pure del capo, del vecchio lavoro, di tutto. Lo ‘sfastidio’ è grande sotto il cielo”.

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In Italia, nei primi dieci mesi del 2021, i ministero del Lavoro ha registrato 777mila dimissioni volontarie a tempo indeterminato © Ingimage

Un fenomeno che riguarda da vicino gli under34: il 49 per cento (più 5 per cento rispetto al 2020) si è dimesso almeno una volta per preservare la propria salute psicologica.

Le motivazioni sono soggettive, ma tra le più comuni c’è la delusione rispetto all’aspettativa: il lavoro che si immaginava di fare, il ruolo o la mansione che si pensava di avere, il rapporto con capo e colleghi”, ci scrive Marinella Cozzolino, psicoterapeuta, presidente dell’Associazione italiana sessuologia clinica e ideatrice di Dimmy.it, nuovo portale della psicologia. In molti casi si fatica ad assumersi responsabilità lavorative importanti. Sono tanti i giovani che non hanno esperienza nel far valere i loro diritti, parlare di stipendio, ferie e straordinari. Semplicemente non sono abituati a gestire il compito e le aspettative dell’altro. Questo non significa che non siano in grado di farlo, ma che farlo procuri loro molta ansia”.

Oltre le aspettative deluse, c’è dell’altro. Dall’Università di Milano-Bicocca la dottoressa Silvia Simbula, docente di psicologia del lavoro e delle organizzazioni, aggiunge: “Da un lato i giovani percepiscono di avere più opportunità lavorative; dall’altro, gli effetti della precarietà sono più logoranti per i lavoratori e le lavoratrici tra i 35 e i 49 anni, che spesso si trovano ad avere anche esigenze familiari a cui far fronte”.

Un’opportunità per le aziende

Su un punto gli intervistati concordano: il supporto deve arrivare anche dal datore di lavoro. Più del 60 per cento delle imprese promuove azioni dirette ad aumentare il benessere dei propri lavoratori puntando però soprattutto su flessibilità oraria, smart working e benefit economici. Sono ancora in pochi a scommettere su iniziative a sostegno emotivo dei singoli. Come mai?

In Italia le piccole e medie imprese (pmi) rappresentano ancora la struttura portante del sistema produttivo nazionale. – spiega Simbula – Con la pandemia, gli investimenti delle aziende sono state dirottate su fronti più contingenti come la ristrutturazioni di spazi fisici, l’acquisto di dispositivi di sicurezza e di sistemi di collaboration, solo per citarne alcuni. Inoltre, si tratta di un problema di cultura organizzativa. Nella maggior parte dei casi, manca ancora una policy su questi temi, che potrebbe dare legittimazione al problema, così da abbattere le resistenze a parlare di disagio psicologico o a considerarlo una questione di debolezza personale”.

Un’opportunità che le imprese hanno tutte le ragioni per cogliere, perché, come dice Cozzolino: “Se vogliamo metterla sul piano del business, un dipendente sereno, produce di più e meglio”. Il suo sito offre la seduta sospesa, un contributo per chi non può permettersi la terapia, e una serie di pacchetti di consulenze per le aziende. Chissà che un giorno, invece della pausa caffè, non si possa fare un break da uno bravo.

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