
Uno studio della Nasa ha spiegato il motivo per il quale l’innalzamento del livello dei mari ha superato i dati che erano stati previsti dagli scienziati.
Il progetto fotografico Sink/Rise denuncia l’emergenza climatica nelle isole Figi e nel sud del Pacifico: il livello del mare sta salendo.
“Non siamo stati noi a causare il cambiamento climatico, ma ne siamo vittime. Le persone oggi sono più consapevoli della questione ambientale, ma in pochi hanno davvero capito quanto il problema sia serio”.
Volitiviti Niutabua, per tutti Viti, ha 53 anni, è un istruttore subacqueo e attivista ambientale delle isole Figi. Viti e suo figlio Ben sono due dei protagonisti del progetto Sink/Rise, che il fotografo Nick Brandt ha dedicato proprio agli abitanti delle isole del Sud del Pacifico, stretti dalla morsa dell’innalzamento del livello dell’acqua a causa dei cambiamenti climatici.
Le Figi sono un insieme di 332 isole dove vivono poco meno di un milione di persone, con una netta concentrazione sulle coste. Queste isole sono responsabili solo dello 0,3 per cento delle emissioni di CO2 emesse nell’atmosfera in tutto il mondo, ma ne pagano il prezzo più alto.
Nel 2015 il governo locale ha firmato il Climate change act dichiarando lo stato di emergenza climatica. Il protocollo più recente, datato 2021, ha ricevuto il pieno sostegno da Unicef, il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia e dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ohchr) per, si legge in una nota, “il riconoscimento dei diritti culturali, sociali ed economici e per aver compreso i legami tra parità di genere, inclusione sociale e gli obiettivi di sviluppo sostenibile”.
I dati sono inequivocabili e sotto gli occhi di chi li vive: il livello del mare cresce di circa sei millimetri l’anno, i cicloni tropicali si intensificano, le coste vengono erose e la temperature dell’acqua aumenta. “Il Sud del Pacifico era abituato ad affrontare cicloni di categoria 1″ Aggiunge Viti. “Negli ultimi anni invece abbiamo dovuto fronteggiare cicloni di categoria 4 e 5. È cambiato tutto. La verità è che se non riusciamo a salvare l’oceano, non riusciamo a salvare il pianeta”.
Secondo uno studio del 2020, circa il 4,5 per cento delle costruzioni esistenti sulle isole saranno sommerse entro il 2050. La proiezione sale al 6,2 per cento nel 2100 con l’innalzamento del livello del mare di 0,63 metri.
“Gli abitanti di queste aree sono molto consapevoli dell’urgenza ambientale perché ci convivono”. Commenta Brandt. “Alle Figi, i negazionisti del cambiamento climatico sono pochi rispetto, ad esempio, agli Stati Uniti, dove ancora troppe persone si rifiutano di credere alla scienza”.
Le Figi sono state la prima nazione nel mondo a siglare nel 2016 l‘Accordo di Parigi sul clima; le azioni messe in campo dal governo locale per mitigare gli effetti del riscaldamento globale sono molte L’obiettivo è raggiungere la decarbonizzazione totale del paese entro il 2050 , ma per alcuni villaggi sulle coste, il trasferimento resta l’unica soluzione possibile.
Vunigodoloa è stato il primo nucleo di 140 persone ad essere stato spostato nell’entroterra nel 2014. Ad oggi i villaggi ricollocati sono in tutto sei, ma il Governo ne ha già identificati altri 42 e il trasferimento dovrà avvenire nei prossimi cinque, dieci anni. Perché le previsioni sono chiare: quelle aree finiranno sott’acqua.
“Nick Brandt ha dedicato alla vita ai temi ambientali” commenta Viti “Ha fatto un lavoro incredibile per denunciare la fragilità e la precarietà in cui vivono gli abitanti di queste isole, che hanno sempre avuto un rapporto equilibrato e rispettoso con la natura, ma che oggi stanno soffrendo enormemente. Onestamente, il progetto di Brandt non mette in scena un’apocalisse che sta per succedere, ma racconta di quello che sta accadendo già oggi”.
Sink Rise è il terzo capito di “The Day May Break”, ” Il giorno potrebbe arrivare”, un progetto in divenire che il fotografo di origine britannica sta portando avanti per denunciare le conseguenze devastanti del riscaldamento globale sull’uomo, gli animali e l’ambiente. Questo terzo capitolo ha rappresentato per Brandt una sfida tecnica non indifferente e un grande lavoro di squadra. “Durante le riprese si verificano sempre molti eventi inaspettati”. Commenta Brandt. “Accolgo con favore gli imprevisti e cerco di fare del mio meglio per affrontare i problemi e trasformare ogni potenziale debolezza in punto di forza.
Per certi versi, in questo caso, il risultato di Sink/Rise ha superato le aspettative. Non pensavo ad esempio che i protagonisti degli scatti riuscissero ad essere così rilassati e concentrati sott’acqua. Anche nel fondale con gli scogli, che poi è diventato il set fotografico, mi sono imbattuto per puro caso”.
Tutte le foto sono state scattate direttamente in camera, tra i due e i quattro metri di profondità, anche grazie all’aiuto e all’esperienza di istruttore subacqueo di Viti che ha garantito la sicurezza del cast e dei tecnici.
Sott’acqua ci sono Serafina e suo fratello Keanan, una accanto all’altro, su un letto spoglio. Ben e Viti, figlio e padre, testimoni di una catastrofe annunciata e già reale. Un uomo solo, Qama, seduto a gambe incrociate su un fondale di coralli rotti in mille pezzi. “Abbiamo fatto circa 200 provini tra gli abitanti delle comunità locali” spiega Brandt. “Durante il casting è stato chiesto loro di aprire gli occhi e trattenere il respiro sott’acqua mentre venivano scattate le foto. Le persone selezionate hanno poi dovuto frequentare e superare un corso di formazione subacquea con il nostro team di professionisti”.
“Sono sempre gli eventi atmosferici, che sono fuori dal nostro controllo, a determinare le difficoltà di realizzazione del progetto”. Spiega Brandt. “Di solito è la luce del sole, quando è necessario aspettare con pazienza che un banco di nuvole venga in nostro soccorso. Ma SINK/RISE è stata una sfida completamente diversa; per terminare il lavoro ci sono volute sei settimane, ma per la maggior parte del tempo non ho potuto scattare nulla per la scarsissima visibilità”.
I primi due capitoli di The Day May Break realizzati in Kenya, Zimbawe e Bolivia, raccontano di un destino che unisce gli animali e le persone, sopravvissuti alle conseguenze devastanti di eventi climatici avversi. In SINK/RISE Nick Brandt sceglie invece di concentrare l’attenzione solo sugli esseri umani anche se “ Naturalmente, il cambiamento climatico avrà un impatto apocalittico anche sulla vita marina”. Precisa Brandt. “Le temperature più elevate provocheranno un’acidificazione degli oceani, fenomeno che non si registrava da oltre di cinquanta milioni di anni. L’impoverimento dell’ossigeno e l’acidificazione provocheranno la morte di tutto, dalla perdita della maggior parte delle barriere coralline nel mondo, allo scioglimento dei ghiacciai marini. Con la perdita del ghiaccio marino se ne andranno molte creature meravigliosi, come gli orsi polari, i trichechi, le foche e pinguini”.
Nel realizzare il progetto “The Day May Break” Nick Brandt ha conosciuto persone che hanno perso tutto a causa delle conseguenze del cambiamento climatico. “Un elemento che è emerso con chiarezza e che ho apprezzato molto è la disponibilità e la gentilezza delle persone fotografate in ogni paese”. Aggiunge Brandt. “Soprattutto tra la gente che è stata gravemente colpita dal riscaldamento globale, al punto da diventare rifugiati per i cambiamenti climatici. Molti hanno espresso la loro gratitudine per essere stati ascoltati, per essere stati finalmente visti.
Sul quarto capitolo Nick Brandt preferisce non svelare nulla, sappiamo solo che inizierà a febbraio 2024. Il libro fotografico di SINK/RISE, che è stato stampato in Italia, uscirà in primavera. Nel frattempo Nick Brandt continua la sua battaglia per clima ispirato da Greta Thunberg: “Se una ragazzina seduta da sola con un cartello in mano in una strada di Stoccolma è arrivata in pochi anni a fare quello che ha fatto”, conclude Brandt, “ispirando e motivando milioni di giovani in tutto il mondo, beh, forza, andiamo avanti”.
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