Le fossili come il tabacco, questa volta la richiesta è di vietare la pubblicità ingannevole
Un'attivista di Greenpeace contro il greenwashing
Una ricerca mostra come le aziende di combustibili fossili ingannino le persone attraverso la pubblicità online. Gli attivisti chiedono all’Europa di vietarla.
Un'attivista di Greenpeace contro il greenwashing
Quasi due terzi dei post sui social network pubblicati dalla fine del 2019 da sei delle più grandi aziende europee di combustibili fossili presentano un’immagine “verde”, sostenibile, anche se l’attività delle aziende resta, per la maggior parte, radicata nei fossili. Lo ha rivelato una recente analisi condotta da DeSmog, piattaforma d’informazione indipendente che combatte il negazionismo climatico e la disinformazione, e pubblicata da Greenpeace Olanda che prende in esame 3.034 annunci pubblicati su Twitter, Facebook, Instagram e Youtube da parte di sei aziende fossili: il colosso olandese Royal Dutch Shell, la francese Total Energies, l’italiana Eni, la svedese Preem, la spagnola Repsol e la finlandese Fortum.
La pubblicità ingannevole delle aziende di combustibili fossili
L’indagine mostra come le aziende pubblicizzino i propri sforzi ambientali in modo sproporzionato rispetto alla reale quota di energia pulita del proprio business. Le conclusioni di DeSmog si aggiungono a dati e studi già esistenti sulla comunicazione ingannevole delle aziende fossili che per decenni hanno promosso un’immagine fuorviante dei loro modelli di business. Questa strategia continua ancora oggi, in un momento in cui la necessità di andare verso una decarbonizzazione diventa sempre più urgente. Secondo l’analisi, le aziende di combustibili fossili, infatti, usano la pubblicità per ritardare, distrarre e deviare l’attenzione dalla propria responsabilità in termini di emissioni e di inquinamento.
Anche per questo, diverse campagne pubblicitarie di aziende fossili hanno destato critiche. Nel 2020 l’Antitrust, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, ha sanzionatol’Eni per 5 milioni di euro per la diffusione di messaggi pubblicitari ingannevoli. Nella campagna promozionale di Eni diesel+ venivano usate le espressioni come “green diesel”, “componente green” e “componente rinnovabile” e venivano fatti altri annunci di tutela dell’ambiente, come “aiuta a proteggere l’ambiente. E usandolo lo fai anche tu, grazie a una significativa riduzione delle emissioni”. Secondo l’Antitrust “il prodotto è un gasolio per autotrazione che per sua natura è altamente inquinante e non può essere considerato green”. Nel corso del procedimento dell’Agcom, Eni ha avviato l’interruzione della campagna e, si legge sul comunicato, si è impegnata a non utilizzare più, con riferimento a carburanti per autotrazione, la parola “green”.
I risultati dell’indagine di DeSmog
Per tutte le aziende esaminate, le pubblicità “verdi” sono in media il 50 per cento di tutti gli annunci, mentre solo il 18 per cento circa del loro portfolio è costituito da attività realmente rispettose del clima.
La più grande disparità tra le pubblicità “verdi” e gli investimenti nei combustibili fossili è stata riscontrata negli annunci di Shell, che per l’81 per cento sono definibili come greenwashing, a fronte dell’80 per cento dei suoi investimenti dedicati a petrolio e gas.
Solo l’8 per cento degli annunci di Eni promuove i combustibili fossili, anche se questi costituiscono in realtà circa l’80 per cento del suo portfolio.
L’81 per cento degli annunci di Preem promuove tecnologie “verdi” o false soluzioni, rispetto all’1 per cento circa del proprio portfolio dedicato a energie non fossili.
L’azienda con il maggior numero di annunci dedicati ai combustibili fossili è Repsol (36 per cento delle pubblicità), mentre quella con il minor numero è Fortum (zero).
La quantità stimata di attività legate ai combustibili fossili varia tra il 54 per cento (Fortum) e il 90 per cento (Total) del portfolio delle compagnie.
In media, il 63 per cento degli annunci pubblicitari analizzati – quasi due terzi – rientra nella definizione di greenwashing.
Secondo le cifre disponibili dai rapporti pubblici aziendali, in media, l’80 per cento delle operazioni delle aziende sono radicate nel petrolio e nel gas e, in un caso, anche nel carbone. Il restante 20 per cento rappresenta investimenti al di fuori dei combustibili fossili, in settori come le energie rinnovabili, la cattura e lo stoccaggio della CO2 e la ricerca di nuove tecnologie verdi.
Eppure, la metà delle aziende analizzate ha dedicato oltre l’80 per cento dei post per evidenziare il proprio coinvolgimento in attività verdi e rispettose del clima, come lo sviluppo di ricerca e progetti per l’energia rinnovabile. Inoltre, sulla base dei dati disponibili pubblicamente, gli investimenti green costituiscono in media solo il 12 per cento dei portafogli di queste aziende, fa notare DeSmog. Le aziende, in realtà, continuano, per la maggior parte, ad investire nell’estrazione, distribuzione e raffinazione di combustibili fossili. Proprio perché gli annunci pubblicitari non riflettono accuratamente la realtà delle loro attività commerciali, l’analisi evidenzia che le aziende prese in considerazione stanno facendo greenwashing.
Greenwashing, una strategia che si ripete
Il greenwashing è la pratica fuorviante di promuovere un prodotto o un servizio come verde al fine di distogliere l’attenzione dalle proprie responsabilità in termini di inquinamento. In questo senso, la pubblicità delle aziende fossili rientra nelle strategie di greenwashing, sottolinea il rapporto di Greenpeace Olanda, poiché, per la maggior parte, promuove attività verdi che in realtà rappresentano attività marginali, oppure promuovono false soluzioni climatiche che in realtà sono dannose per il pianeta.
“[il greenwashing] è senza alcun dubbio ciò che queste compagnie di petrolio e gas stanno facendo quando mascherano pubblicamente le loro operazioni fossili dietro una patina di marketing verde”, ha detto a DeSmog Geoffrey Supran, ricercatore nel Dipartimento di Storia della Scienza dell’Università di Harvard.
Il greenwashing è utilizzato dal settore fossile al fine di ingannare il pubblico e deviare l’attenzione dalla propria responsabilità ma quest’industria non è stata la prima a mettere in campo questa strategia. Il fossile ha seguito il manuale dell’industria del tabacco.
“Proprio come ha fatto l’industria del tabacco, l’industria dei combustibili fossili usa pubblicità e promozioni per deviare l’attenzione dai loro modelli di business dannosi, ingannare il pubblico e i politici con false soluzioni e, alla fine, ritardare l’azione per il clima”, ha detto a DeSmog Georgia Whitaker, responsabile della campagna Fossil Free Revolution di Greenpeace Olanda. “Il greenwashing è il nuovo negazionismo climatico, e sta permettendo alle aziende responsabili della crisi climatica di nascondersi in piena vista”.
È vero che il greenwashing rientra nel bacino degli sforzi negazionisti delle aziende fossili, ma la manipolazione del settore va ben oltre.
“Credo che [il termine] ‘greenwashing’ tenda a minimizzare la natura sbagliata della comunicazione dell’industria”, ha dichiarato a DeSmog Karen Sokol, professoressa al Loyola university New Orleans college of law. “Si tratta di una sistematica campagna di marketing ingannevole progettata per interferire con la soluzione necessaria per rispondere all’emergenza climatica: fermare la produzione di combustibili fossili”.
In questo caso, la parola chiave è “sistematica”. Il negazionismo del clima del settore fossile non nasce e non finisce con il greenwashing online. Infatti, gli attivisti si battono da anni per fare pressione e ottenere una regolamentazione più stringente sulla pubblicità fossile. Come per le compagnie di tabacco, l’idea è quella di inserire “avvertenze per la salute” nelle pubblicità delle compagnie fossili, il che sarebbe un passo avanti, ma non una reale soluzione. Per questo gli attivisti ora chiedono di vietare completamente gli annunci pubblicitari.
“Già da molti anni l’Unione europea ha vietato le pubblicità e le sponsorizzazioni dell’industria del tabacco, riconoscendo che costituiscono una minaccia per la salute. Ora è tempo di una legge simile contro le industrie dei combustibili fossili, che con le loro attività rilasciano enormi quantità di gas serra e contribuiscono all’inquinamento atmosferico, con gravi ripercussioni per la nostra salute e per quella del pianeta”, ha dichiarato Federico Spadini, responsabile campagna clima di Greenpeace Italia. “Vietare le pubblicità e le sponsorship dei responsabili della crisi climatica è un passo importante per ridurre il loro enorme potere di influenza sul mercato e sul mondo dell’informazione sempre più inquinato dal greenwashing”.
Il problema del gas naturale
Uno dei problemi più grandi di questo tipo di annunci pubblicitari è che promuovono soluzioni tecnologiche che consentono alle aziende di continuare con il proprio business as usual e quindi, di emettere e di inquinare senza ripercussioni. Tra l’altro alcune di queste soluzioni sono ancora lontane dall’essere efficienti, estremamente costose o semplicemente, “non funzionano”, ha detto a DeSmog Barnaby Pace, senior campaigner di Global Witness. Di conseguenza, i governi promuovono queste stesse soluzioni investendo enormi quantità di denaro che permettono alle aziende fossili di continuare indisturbate con la propria attività principale invece che di cambiare rotta e muoversi verso l’energia rinnovabile.
Secondo l’analisi di DeSmog, circa il 4 per cento del totale dei post analizzati riguarda il gas naturale, che, pur essendo un combustibile fossile che rilascia anidride carbonica e metano, continua ad essere presentato come un carburante-ponte. In Italia, il gas naturale continua ad essere promosso dalle aziende fossili e dal governo come la soluzione ideale. Eni, per esempio, ha detto a DeSmog che il gas “a lungo termine” rappresenterà più del 90 per cento della produzione di idrocarburi dell’azienda e “sarà un supporto importante per le fonti intermittenti nella transizione energetica”.
Il tema della transizione energetica è presente negli annunci pubblicitari delle aziende, ma non rappresenta un impegno concreto. Secondo l’analisi, per esempio, Shell attualmente canalizza il 90 per cento dei suoi investimenti a lungo termine in combustibili fossili e tra il 2010 e il 2018 ha dedicato solo l’1 per cento dei suoi investimenti a fonti di energia a basse emissioni di carbonio come l’eolico e il solare. Nonostante questo, il 13 per cento dei posti di Shell si è concentrato specificamente sulle energie rinnovabili come l’eolico, il solare e l’idroelettrico.
Aziende fossili per il sociale e “sportswashing”
All’elemento di greenwashing ambientale si integra anche quello sociale. Infatti, tutte e sei le aziende, sottolinea DeSmog, hanno dedicato circa il 16 per cento di annunci al sociale con il fine di distrarre il pubblico dalle loro responsabilità climatica e ambientale.
Secondo l’indagine, l’azienda con la più grande quota di annunci – il 37 per cento – incentrati sul sociale è Eni. Anche TotalEnergies ha concentrato in parte la sua pubblicità sulle iniziative sociali: uno su cinque dei suoi post online promuove progetti e iniziative sociali.
All’interno di questa categoria, l’analisi mostra una particolare attenzione allo sport, questo include partnership con personaggi e marchi sportivi famosi. Un’ulteriore ricerca di DeSmog ha scoperto, poi, che cinque delle sei aziende (tutte tranne Fortum) erano coinvolte in sponsorizzazioni sportive in generale. L’espressione “sportswashing” è nata, inizialmente, per indicare il comportamento di alcuni governi che utilizzano lo sport per migliorare la propria reputazione, attraverso l’organizzazione di eventi sportivi, l’acquisto o la sponsorizzazione di squadre sportive, per esempio, e per distogliere l’attenzione da violazioni dei diritti umani. Oggi, il termine sportswashing è utilizzato sempre più frequentemente in relazione alle compagnie petrolifere e del gas, che secondo gli attivisti strumentalizzano l’associazione positiva con lo sport per distrarre dalla loro attività inquinante.
If you're hearing terms like 'carbon neutral' or 'net zero' more and more often, it's because polluting industries want you to believe they're committed to a sustainable future.
La petizione di Greenpeace e la European citizens initiative
A fronte delle problematiche legate agli annunci ingannevoli delle compagnie di combustibili fossili la pressione per interrompere la pubblicità fossile in Europa è in aumento. Greenpeace Italia ha lanciato una petizione per chiedere all’Unione europea una legge che vieti le pubblicità e le sponsorizzazioni delle aziende inquinanti.
“Le multinazionali più inquinanti al mondo sono tutte attive nel mercato dei combustibili fossili e continuano a inquinare con il loro business, ignorando gli allarmi della scienza sui cambiamenti climatici e sui rischi per la salute. Sono indifferenti di fronte alle vittime dello smog, delle frane e delle alluvioni, o agli incendi che devastano intere foreste. Ma sono sensibili alle loro perdite finanziarie”, si legge sulla petizione.
Già dal 2019 è in piedi un’iniziativa per richiedere alla Commissione europea una nuova legislazione su questo tema. L’Iniziativa dei cittadini europei (Ice) mira ad ottenere un divieto di qualsiasi pubblicità o sponsorizzazione dei combustibili fossili. In particolare, questa iniziativa chiede alla Commissione europea di proporre agli stati membri: il divieto di qualsiasi promozione o pubblicità, diretta o indiretta, così come qualsiasi distribuzione gratuita o promozionale, o qualsiasi rapporto di sponsorizzazione per tutte le imprese coinvolte nei fossili.
Inoltre, chiedono di vietare alle aziende la capacità di pubblicizzare e sponsorizzare nelle seguenti aree: offline (incluse pubblicità su stampa, televisione, cartelloni, radio, pubblicazioni accademiche), online (pubblicità sui social media o branded content sulle piattaforme social), sport, cultura (inclusi musei, teatri, festival o altri eventi culturali), educazione (incluse università pubbliche, scuole o qualsiasi istituzione di educazione pubblica), scienza (inclusi i finanziamenti agli istituti scientifici pubblici e le pubblicazioni a scopo educativo), eventi pubblici (in particolare legati al clima, alla salute, alla biodiversità e alla sostenibilità), eventi mediatici di terze parti.
L’Iniziativa dei cittadini europei sottolinea che le motivazioni dietro a questa richiesta sono le seguenti:
I combustibili fossili stanno portando avanti la crisi climatica e non dovrebbero essere pubblicizzati;
I combustibili fossili hanno creato una crisi della salute pubblica e non dovrebbero essere pubblicizzati;
Le compagnie di combustibili fossili stanno ingannando i consumatori, e alcune hanno violato le norme della pubblicità;
Le sponsorizzazioni dei combustibili fossili sono usate per l’accesso alla politica.
La transizione energetica è possibile, il caso di Erg
È probabile, com’è accaduto in passato, che con l’avvicinarsi della Cop 26 si verificherà un aumento crescente della comunicazione pubblica da parte delle aziende fossili. Ma la realtà è che molte di queste aziende stanno ancora investendo significativamente nei combustibili fossili. Vietare le campagne pubblicitarie e le sponsorizzazioni dei principali responsabili della crisi climatica e ambientale impedirebbe alle aziende inquinanti di sviare l’attenzione dalle loro responsabilità esibendo un falso lato verde, mentre in realtà continuano a promuovere modelli di business dannosi per il clima e per la sicurezza delle persone, sottolinea Greenpeace Italia.
Anche perché, abbandonare le fonti fossili per quelle pulite è possibile. È il caso di Erg, per esempio, che, tra il 2008 e il 2017, ha investito quasi 4 miliardi di euro nella produzione energetica delle rinnovabili e, dalla fine del 2017, ha ceduto gli ultimi asset non compatibili con la transizione energetica. Anche altre aziende potrebbero – e dovrebbero – farlo, e l’Ue e la politica hanno il compito di aiutare ad accelerare questo processo necessario e urgente.
Perché l’Europa ancora permette al settore fossile di manipolare il pubblico e influenzare – controllare – la politica? Perché permette alle aziende di continuare con il proprio business as usual inquinante?
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