Il clima è già cambiato, il rapporto che svela tutte le crisi in atto nelle città italiane

Il rapporto di Legambiente individua le criticità maggiori per le città italiane: ondate di calore, innalzamento dei mari, bacini idrici prosciugati. E manca ancora un vero piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici: a rischio nei prossimi anni milioni di persone.

Il clima non sta cambiando: è già cambiato. A dimostrarlo con chiarezza ci sono le inondazioni dei giorni scorsi a Venezia, Matera e Pisa e gli eventi meteorologici estremi che si sono abbattuti su molti territori e che colpiscono la penisola con sempre maggiore frequenza, ma prima ancora dei casi eclatanti di questa settimana a parlare erano i numeri: Dal 2010 ad oggi, sono stati 563 gli eventi climatici estremi registrati solamente in Italia, con 350 comuni in cui sono avvenuti impatti rilevanti. E nel solo 2018, l’anno che ci siamo lasciati alle spalle, il nostro paese è stato colpito da 148 eventi estremi, che hanno causato 32 vittime e oltre 4.500 sfollati, un bilancio di molto superiore alla media calcolata negli ultimi cinque anni. Dal 2014 al 2018 le sole inondazioni hanno provocato in Italia la morte di 68 persone.

Sono dati raccolti dall’Osservatorio di Legambiente CittàClima, che nel rapporto appena presentato raccoglie e mappa le informazioni sui danni provocati in Italia dai fenomeni climatici, arrivando a una chiara, quanto preoccupante conclusione: le città sono l’ambito più a rischio per le conseguenze dei cambiamenti climatici, perché è lì che vive la maggior parte della popolazione mondiale e perché episodi di piogge, trombe d’aria e ondate di calore vi hanno ormai assunto proporzioni crescenti e destinate ad aumentare, insieme alle stime dei danni che possono provocare.

Temperature medie in costante crescita, accesso all’acqua, innalzamento del livelli dei mari per le città sulle coste, e soprattutto la mancanza di un vero piano di adattamento ai cambiamenti climatici: queste le vere criticità individuate da Legambiente.

Ondate di calore sempre più frequenti

Nelle nostre città la temperatura media è in continua crescita e a ritmi maggiori rispetto al resto del Paese, con il conseguente aumento dei fattori di rischio legati alle ondate di calore: secondo il rapporto, già tra il 2005 e il 2016 sono state 23.800 le vittime del caldo. Secondo le elaborazioni dell’Osservatorio meteorologico Milano Duomo, è un fenomeno generale e rilevante che riguarda tutte le città con picchi a Milano con +1,5 gradi, a Bari (+1) e Bologna (+0,9) a fronte di una media nazionale delle aree urbane di +0,8 gradi centigradi nel periodo 2001-2018 rispetto alla media del periodo 1971-2000. 

Ed entro il 2050, secondo una ricerca del progetto Copernicus european health  vi sarà un incremento medio dei giorni di ondate di calore tra il 370 e il 400%, con un ulteriore aumento nel periodo 2050-2080 fino al 1100%. Questo porterà, ad esempio, a Roma da 2 a 28 giorni di ondate di calore in media all’anno.

Troppa acqua, o troppo poca

L’accesso all’acqua è un altro tema rilevante che, in una prospettiva di lunghi periodi di siccità, rischia di diventare sempre più difficile da garantire. La situazione nel nostro paese, già oggi, è complicata, in particolare al Sud, per quanto riguarda la qualità del servizio idrico e nel 2017, nei quattro principali bacini idrografici italiani (Po, Adige, Arno e Tevere) le portate medie annue hanno registrato una riduzione media complessiva del 39,6% rispetto alla media del trentennio 1981-2010.

Preoccupante per le città italiane anche l’innalzamento del livello dei mari, come reso sin troppo evidente dalle mareggiate di Venezia di questi giorni. Ma sono almeno 40 le aree a maggior rischio in Italia, tra cui Trieste, Ravenna, la foce del Pescara, il golfo di Taranto, La Spezia, Cagliari, Oristano, Trapani, Marsala, Gioia Tauro. D’altronde, secondo un’indagine di Climate Central pubblicata sulla rivista Nature, se i ghiacciai continueranno a sciogliersi al ritmo attuale, 300 milioni di persone che vivono in aree costiere saranno sommerse dall’oceano almeno una volta l’anno entro il 2050, anche se le barriere fisiche che erigono contro il mare saranno potenziate.

Leggi anche: L’innalzamento dei mari minaccia 300 milioni di persone

“Di fronte a processi di questa dimensione in Italia e nel mondo abbiamo bisogno di un salto di scala nell’analisi e nelle politiche – dichiara il vice presidente di Legambiente Edoardo Zanchini –  di sicuro è necessaria una forte accelerazione delle politiche di mitigazione del clima, per invertire la curva delle emissioni di gas serra come previsto dall’Accordo di Parigi. Ma in parallelo dobbiamo preparare i territori, le aree agricole e in particolare le città a impatti senza precedenti. Il problema è che il nostro Paese non è pronto e non ha ancora deciso di rendere questi interventi prioritari, fornendo strumenti e risorse alle città italiane”.

Manca un piano di adattamento al clima

Purtroppo l’Italia è l’unico grande paese senza un piano di adattamento al clima, che permetterebbe di individuare le priorità di intervento e ripensare il modo in cui si interviene a partire dalle cittàNel 2014 è stata approvata la Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici e, per dargli attuazione, doveva essere approvato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici. Dopo cinque anni siamo ancora in attesa che si passi dal campo degli studi a uno strumento capace di fissare le priorità e orientare in modo efficace le politiche. Legambiente chiede al governo di approvare quanto prima il Piano di adattamento e di mettere le città al centro delle priorità di intervento.

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Acqua alta a Venezia e San Marco © Twitter

Inoltre occorre fermare le costruzioni in aree a rischio idrogeologico che continuano a mettere in pericolo la vita delle persone, e cambiare il modo in cui i fondo statali vengono spesi: l’Italia dal 1998 al 2018 ha speso, secondo dati Ispra, circa 5,6 miliardi di euro (300 milioni all’anno) in progettazione e realizzazione di opere di prevenzione del rischio idrogeologico, a fronte di circa 20 miliardi di euro spesi per “riparare” i danni del dissesto. Il rapporto tra prevenzione e riparazione è insomma di uno a quattro.

Da Roma a Milano, da Reggio Calabria a Venezia, il messaggio è univoco, come dice Andrea Minutolo, coordinatore scientifico di Legambiente: “è dalle città che bisogna ripartire con un nuovo approccio culturale e progettuale che garantisca al tempo stesso la riduzione del rischio idraulico e l’adattamento al cambiamento climatico”. Possibilmente con approcci diversi da quelli avuti finora, che non bastano più se mai sono serviti.

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