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Perché è saltata la legge elettorale e cosa succede ora
Niente intesa in parlamento sulla legge elettorale e il modello tedesco. Niente elezioni anticipate in autunno. E il presidente della Repubblica Sergio Mattarella non pare disponibile a emanare un decreto.
La legge elettorale non si fa più. E con essa anche l’ipotesi di andare a elezioni anticipate il prossimo autunno sembra tramontare: a meno di rotture insanabili all’interno della maggioranza tra il Partito democratico (Pd) di Matteo Renzi e gli alleati di Alternativa popolare (Ap) guidati da Angelino Alfano, a questo punto non si dovrebbe tornare a votare prima del 2018.
Il naufragio del modello tedesco
I #cinquestelle fanno fallire la #LeggeElettorale. Per pochi secondi il voto è stato palese, loro hanno votato a favore questa è la prova. pic.twitter.com/wKcz78gTES
— Emanuele Fiano (@emanuelefiano) 8 giugno 2017
L’intesa sul sistema tedesco (proporzionale con collegi uninominali, metà dei parlamentari eletti e metà nominati) tra Pd, Movimento 5 stelle (M5s), Forza Italia e Lega Nord è durata solo un giorno: al primo dei cento emendamenti a voto segreto l’intesa è naufragata.
Ha fatto tutto la maggioranza: l’emendamento (che applicava il proporzionale anche al Trentino Alto-Adige, dove ora invece si vota con un sistema diverso, maggioritario, per tutelare le minoranze linguistiche) era stato presentato da Forza Italia. Il M5s ha votato sì (lo si evince dallo screenshot del tabellone della Camera pubblicato da Emanuele Fiano del Pd, che mostra i voti “verdi”, cioè favorevoli, delle postazioni M5S) ma oltre a loro ci sono stati altri 59 voti favorevoli: praticamente la differenza tra i 315 deputati votanti e gli appena 256 no raccolti.
Alla fine la modifica è passata tra polemiche e accuse incrociate di mancato rispetto dei patti, anche perché per un disguido tecnico il tabellone della Camera ha svelato i voti dei deputati che avrebbero dovuto restare segreti visto che il voto era segreto. E l’accordo è saltato sia per le reciproche accuse di scorrettezze, sia perché il Pd considerava fondamentale il no a questo emendamento: il sistema trentino garantisce infatti 11 seggi preziosi alla Sudtiroler Volkspartai, il partito delle autonomie che da sempre è alleato con i democratici.
Conti alla mano, tutti hanno ragione e tutti hanno torto: è vero che il M5s ha votato un emendamento sul quale c’era un accordo di maggioranza che prevedeva il no; è vero anche che i soli voti di M5S (82 in tutto) non sarebbero bastati se anche nel Pd più di qualcuno non avesse cambiato idea.
Le due strade per le elezioni
Approvare la legge elettorale entro l’estate era fondamentale per poter andare alle elezioni anticipate all’inizio dell’autunno: era questo il piano del Partito democratico, in particolare di Matteo Renzi che puntava a tornare al governo dopo la vittoria alle primarie del suo partito. Con l’intesa naufragata, le vie rimaste sono due.
La prima è stabilire le regole elettorali tramite un decreto del presidente della Repubblica, e andare comunque al voto. Questa era l’idea iniziale di Renzi, propugnata anche dalla Lega Nord subito dopo lo stop al modello tedesco. “Chiediamo al primo ministro Gentiloni di prendere atto della situazione, di dimettersi e di chiedere a Mattarella di fare un decreto legge in modo che ci sia una legge elettorale per andata a votare il prima possibile”, ha dichiarato il capogruppo Giancarlo Giorgetti.
Ma dal Quirinale è arrivata l’indisponibilità a una mossa del genere: in tutti i paesi democratici, del resto, la legge elettorale la fa il parlamento.
La seconda strada è quella di andare avanti fino alla fine della legislatura, ovvero fino alla primavera del 2018. Alfano, ministro degli Esteri e leader di Ap, assicura: “Sulla legge elettorale il fallimento è stato clamoroso e le responsabilità sono chiare a tutti, ma il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio sappiano di potere contare, in questa fase così delicata, ancora una volta, su Alternativa popolare come una forza politica seria, affidabile per le istituzioni e che ha a cuore l’interesse nazionale, a partire dalle grandi questioni di politica economica”. Questo nonostante Renzi avesse detto che l’alleanza con Alfano, dopo le divisioni sulla legge elettorale, era finita.
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