Condannato nel 1977 per l’uccisione di due agenti, Leonard Peltier – ritenuto da molti un prigioniero politico – finirà di scontare la sua pena ai domiciliari.
- Nel 1975 l’attivista indigeno Leonard Peltier è accusato di avere ucciso due agenti dell’Fbi.
- Viene condannato in via definitiva dopo un processo che molti descrivono come irregolare.
- A ottant’anni, Peltier torna a casa grazie a un atto di clemenza voluto da Joe Biden.
Dopo mezzo secolo, Leonard Peltier è tornato a casa. Circa trecento i sostenitori che lo hanno accolto nella riserva indigena di Turtle Mountain, in North Dakota, il 19 febbraio. Il giorno prima era stato scarcerato da una prigione federale della Florida centrale, dove scontava la sua condanna per l’omicidio di due agenti federali. Permettere al leader indigeno di concludere la sua pena agli arresti domiciliari è stato uno degli ultimi atti di Joe Biden prima di lasciare la Casa Bianca. A raccontare il suo ritorno a casa e ripercorrere la sua storia è il New York Times.
La vicenda giudiziaria di Leonard Peltier
Siamo negli anni Settanta. Leonard Peltier fa parte dell’American indian movement, un’organizzazione attivista con cui i nativi americani difendono i propri diritti e la sovranità sulle proprie terre, denunciano gli episodi di sopraffazione da parte delle forze di polizia e si battono affinché migliori la qualità della vita nelle riserve. Nella riserva indiana di Pine Ridge, la situazione diventa talmente tesa che i militanti occupano con la forza il villaggio Sioux di Wonded Knee e ne mantengono il controllo per 71 giorni.
Due anni dopo, sempre nella riserva di Pine Ridge, due agenti dell’Fbi – Jack Coler e Ronald Williams – cercano di arrestare una persona sospettata di aver commesso un furto. Nasce una sparatoria e i due agenti, così come un attivista, restano uccisi. Le accuse ricadono su Leonard Peltier. Che ammette di aver sparato, ma solo per autodifesa e senza colpire nessuno.
Peltier fugge in Canada, ma viene estradato negli Stati Uniti e subisce un processo che da più parti viene descritto come viziato da un clima di repressione nei confronti dei nativi. Numerose le irregolarità denunciate. Vari i testimoni che ritirano le proprie dichiarazioni, spiegando di aver subito pressioni dall’Fbi. Delle oltre trenta persone presenti, Peltier è l’unico che subisce una condanna a due ergastoli. Numerosi i tentativi di fare ricorso in appello, tutti respinti.
Chi sostiene l’innocenza di Peltier e perché
Tra chi prende le difese di Leonard Peltier nel corso degli anni ci sono l’organizzazione non governativa Amnesty International e l’ex-presidente del Sudafrica Nelson Mandela. I nativi lo descrivono come un prigioniero politico che paga con la libertà la scelta di esporsi a difesa dei diritti indigeni. “Rappresenta chiunque sia stato maltrattato da un agente di polizia, profilato, abbia figli che sono stati molestati a scuola”, ha dichiarato Nick Estes, professore di Studi sui nativi americani all’università del Minnesota e membro della tribù Lower Brule Sioux. Man mano che il tempo passa, ai dubbi sulla regolarità del processo si aggiungono i timori per il suo stato di salute. Peltier, che compie ottant’anni in carcere il 12 settembre 2024, è diabetico e ha problemi cardiaci. Quando ritorna a casa, è quasi cieco e fatica a camminare in autonomia.
L’atto di clemenza decretato da Joe Biden non annulla la pena, ma permette semplicemente a Leonard Peltier di scontarla agli arresti domiciliari. È comunque abbastanza per suscitare polemiche tra chi, in virtù della sua condanna in via definitiva, continua a ritenerlo colpevole. Viceversa, si respira grande soddisfazione tra i nativi. “Non avevamo mai pensato che sarebbe uscito”, dichiara Ray St. Clair, della tribù Chippewa del Minnesota, che ha viaggiato fino alla Florida per assistere al rilascio di Peltier. “Questo dimostra che non bisogna mai perdere la speranza. Possiamo cominciare a riparare il danno che è stato fatto. Questo è solo l’inizio”.
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