A Milano un murale intitolato “Respiro” ha l’obiettivo di dare un tocco di verde in più alla città e non solo.
Letizia Battaglia. Voglio ritrarre le donne comuni, simboli di vita e di bellezza
La nostra intervista alla fotografa Letizia Battaglia, che ha documentato le stragi di mafia ed è al lavoro su un progetto dedicato al corpo femminile.
Negli anni Settanta Palermo sembrava un campo di battaglia, in cui quasi ogni giorno qualcuno veniva ammazzato per strada. In mezzo alla folla di giornalisti, sulla scena del delitto si presentava sempre una donna, una sola, con la sua macchina fotografica. Puntualmente i cordoni di polizia provavano ad allontanarla. Pur di portarsi a casa le immagini, era costretta a mettersi a gridare: “Perché fate passare la Rai e non me? Perché fate passare gli uomini e non me?”. Urlava a tal punto da riempire di imbarazzo gli agenti, che alla fine si rassegnavano e le lasciavano fare il suo lavoro. Era Letizia Battaglia, la prima fotografa donna assunta da un quotidiano italiano.
Mi ero innamorata di quello che potevo esprimere con la macchina fotografica e non riuscivo a esprimere scrivendo. Letizia Battaglia
Nei suoi diciannove anni al servizio del giornale L’Ora di Palermo, Letizia Battaglia ha immortalato decine di cadaveri delle vittime delle stragi di mafia, ma anche i loro carnefici, facendoli apparire non come boss carismatici ma come personaggi rozzi e sciatti (“Pensa a come si sentivano i mafiosi a essere fotografati da una donna”, commenterà più avanti). Più volte i suoi scatti sono diventati prove fondamentali per i processi. Non stupisce quindi che per lungo tempo sia stata perseguitata da lettere anonime, minacce di morte, sputi per strada. E non stupisce il fatto che oggi, dopo venticinque anni dagli omicidi dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, di mafia non parli più volentieri.
La mia vita è stata una lotta senza saperlo. Letizia Battaglia
Le foto che ama di più, però, sono quelle delle persone comuni e delle bambine dei quartieri popolari di Palermo. Scatti di una rara intensità, scaturita sì dal soggetto ma anche dalla capacità dell’autrice di creare empatia e immergersi nella realtà senza pregiudizi.
L’intervista a Letizia Battaglia
Oggi Letizia Battaglia è una lucidissima ed esuberante ottantaquattrenne con il caschetto rosa e la sigaretta sempre accesa tra le dita. L’abbiamo incontrata al WeWorld Festival, dove ha presentato il documentario Shooting the mafia, che ripercorre la sua vita legandola a doppio filo a uno dei periodi più tragici della storia italiana. Presentato al Sundance, alla Berlinale e al London Film Festival, il film è diretto dalla britannica Kim Longinotto e sarà nelle sale italiane a partire dal 1° dicembre.
Oggi vedremo il documentario Shooting the Mafia, una delle prime occasioni in cui lei non è quella che racconta, ma quella che viene raccontata. Com’è stata quest’esperienza?
Imbarazzante. È stato imbarazzante e in parte non mi convince. Però è un documentario utile soprattutto per le nuove generazioni: serve vedere che c’è una donna così, che non sono io… ma sono io.
“Shooting the Mafia”, inaugurata la mostra fotografica di Letizia Battaglia a #WeWorldFestival pic.twitter.com/TlK0eKvNvJ
— WeWorld Onlus (@WeWorldOnlus) November 23, 2019
Qual è il valore della fotografia al giorno d’oggi?
La fotografia ha lo stesso valore che metti nella vita, nel mangiare, nel camminare, nello scegliere di vedere una mostra. Tutto ha valore nella vita. Io non do più valore alla fotografia perché mi ha reso famosa, anzi: do più valore all’amore, al rispetto. Non bisogna lasciarsi incantare dal successo o dalle parole degli altri, bisogna continuare a vivere, a fare, a produrre. Io mi voglio inventare la vita sempre, non posso rimanere legata alla fotografia. Va bene, ho fotografato, le mie foto sono conosciute e sono servite (forse) a raccontare quello che abbiamo sofferto in Sicilia, ho lavorato tanto, però non posso rimanere incatenata alla fotografia. Io voglio fare altro, voglio continuare a vivere. Io ho un futuro, anche a 84 anni.
Oggi ci troviamo a un festival dedicato alle donne. Lei ha sempre fotografato tantissime donne e bambine e anche il suo prossimo progetto sarà dedicato a loro. Ci può raccontare di cosa si tratta?
Nei prossimi di due anni spero di fare un progetto che si chiama Palermo Nuda, rappresentando le donne nude. Non solo quelle belle, ma le donne come simbolo di vita, di terra, di bellezza; non di sessualità, perché quella è una cosa più privata. Mi fanno schifo le fotografie che alludono alla sensualità in maniera banale, perché è una cosa profonda, legata alla psiche e al vissuto personale, che non può essere rinchiusa in uno scatto. Se poi da una persona viene fuori un erotismo è un’altra cosa, ma la mia fotografia deve rispettare il privato delle donne. Non mi piace fotografare gli uomini, perché credo di più nelle donne e ho più empatia nei loro confronti. Per me gli uomini sono un po’ falsi, traditori, non chiari, e alcuni ci ammazzano pure: perché dovrei fotografarli?
Lei vive felicemente a Palermo. Una città che si porta dietro una storia pesante, che lei ha contribuito a documentare, ma che sta anche cambiando molto.
Palermo sta cambiando molto, alcuni non vogliono ammetterlo ma sta marciando. Non tutto è risolto, ma sta camminando. C’è più vitalità, più voglia di non essere prigionieri di mafia e tabù. Non abbiamo risolto ogni problema, ma abbiamo un bravo sindaco da tanti anni e questo ha aiutato molto, perché la mafia non è più entrata al Comune a fare affari – e prima li faceva. Questo è già tanto. Poi la gente esce di notte, le ragazze vanno in giro da sole, non è più come ai miei tempi.
Dal 5 dicembre 2019 al 19 gennaio 2020, le sale di Palazzo Reale a Milano ospiteranno la mostra “Storie di strada“, con oltre trecento fotografie (molte delle quali inedite) che ripercorreranno la storia professionale della grande artista siciliana. Si tratta del primo appuntamento della rassegna “I talenti delle donne”, voluta dal Comune di Milano, che per tutto il 2020 proporrà iniziative e spettacoli legati alle donne protagoniste della cultura.
L’edizione 2019 del WeWorld Festival
Con la proiezione di Shooting the mafia e il dibattito tra Letizia Battaglia e Danilo De Blasio (direttore del Festival dei diritti umani) si è chiusa la decima edizione del WeWorld Festival, che si è tenuta al Teatro Litta di Milano il 23 e il 24 novembre. Anche quest’anno, WeWorld Onlus ha voluto celebrare la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne con un evento aperto a tutti e ricchissimo di contenuti.
Ospite d’onore lo scrittore Roberto Saviano, che ha portato in scena un monologo inedito dedicato alle donne e ai bambini che l’Italia si sta lasciando indietro, tra dispersione scolastica e prevaricazione. Si sono alternati sul palco anche Ledi Meingati, attivista che combatte le mutilazioni genitali femminili e i matrimoni precoci in Kenya; l’attrice Donatella Finocchiaro, con il suo monologo sulla cantastorie siciliana Rosa Balistreri; il collettivo satirico Terzo Segreto di Satira, che ha presentato la webseries realizzata in Mozambico con WeWorld Onlus; e molti altri.
Foto in apertura © WeWorld Onlus
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