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Tra i vincitori del Goldman environmental prize 2020 c’è anche Leydy Pech, apicoltrice che ha difeso i territori dei maya dalle mire dell’agroindustria.
A seguito della sua vittoria del Goldman environmental prize 2020, il cosiddetto “Nobel per l’Ambiente”, la stampa internazionale ha scoperto la straordinaria storia di Leydy Pech. Un’apicoltrice maya che si è messa di traverso ai piani del colosso dell’agrochimica per eccellenza, Monsanto. E alla fine ha avuto la meglio.
Per le comunità maya che abitano nello stato messicano del Campeche, l’apicoltura ha una tradizione millenaria e una forte valenza identitaria. Sul miele e sulla cera delle api Melipona (xunan kab, nell’idioma locale) si impernia un sistema economico da cui dipendono circa 25mila famiglie, e che fa del Messico il sesto produttore globale di miele. Le comunità locali hanno tutto l’interesse a prediligere pratiche agricole sostenibili: è proprio la ricchissima biodiversità delle foreste tropicali, infatti, a creare condizioni così favorevoli per le api.
Si dedica giorno dopo giorno alle api anche Leydy Pech, 55 anni, nata e cresciuta a Hopelchén. Fa parte della coalizione Koolel Kab / Muuch Kambal, fondata nel 1995 e già vincitrice nel 2014 dell’Equator Prize assegnato dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp). Una realtà a guida prevalentemente femminile che tutela le terre e le risorse naturali dei maya dalle minacce dovute alla deforestazione e all’uso dei pesticidi.
La sopravvivenza di questi ecosistemi così delicati è messa a repentaglio dall’agricoltura intensiva che, negli ultimi anni, ha causato un’impennata del tasso di deforestazione. Solo nel Campeche sono già andati distrutti 380 chilometri quadrati di foresta.
Il Messico è al centro dei piani di sviluppo del colosso dell’agrochimica Monsanto – poi acquisito dalla casa farmaceutica Bayer – che nel 2000 vi ha introdotto le prime coltivazioni di soia geneticamente modificata, abbinata all’erbicida Roundup. Il principio attivo spruzzato sulle colture è il glifosato, ampiamente adottato in tutto il mondo già dagli anni Settanta, ma al centro di numerosi studi scientifici che ne mettono in luce i potenziali rischi per la salute umana.
Dopo oltre dieci anni di sperimentazioni, nel 2012 il governo centrale ha dato il via libera alle coltivazioni di soia ogm in sette stati, compresi il Campeche e lo Yucatán. Omettendo, però, di consultare le comunità indigene. Passaggio che invece era previsto dalla Costituzione e dalla Convenzione 169 dell’Organizzazione mondiale per il lavoro (Ilo).
A questo punto è entrata in gioco Leydy Pech che ha riunito apicoltori, ambientalisti e ong nella coalizione Sin Transgenicos e ha intrapreso un’azione legale contro il governo messicano. Nel frattempo si è messa in contatto con l’Università nazionale autonoma del Messico che, tramite uno studio scientifico, ha accertato la contaminazione del miele locale da parte della soia ogm. Insieme al Programma per lo sviluppo delle Nazioni Unite (Undp), l’Ateneo ha anche trovato tracce di glifosato nell’acqua bevuta dagli abitanti di Hopelchén e nelle loro urine. Dati alla mano, Pech ha organizzato una serie di laboratori, incontri, petizioni e manifestazioni, coinvolgendo la popolazione locale.
A novembre 2015 è arrivato il verdetto unanime della Corte suprema messicana: il governo non può autorizzare la coltivazione di ogm senza aver prima consultato le comunità indigene. A settembre 2017 l’autorità messicana per l’alimentazione e l’agricoltura ha revocato i permessi di Monsanto.
Ora la dedizione di Leydy Pech viene riconosciuta e celebrata agli occhi del mondo. “Oggi è una giornata storica per il popolo maya”, ha dichiarato ricevendo il Goldman environmental prize. “Questo premio mi dà l’opportunità di dire al mondo che le terre dei popoli indigeni vengono loro strappate a causa delle mire dei grandi progetti estrattivi, dell’agroindustria, del turismo e di tutti coloro che rafforzano un modello di capitalismo che mette a repentaglio le risorse naturali e il nostro stile di vita. Chiedo a tutti i governi e i leader politici di creare modelli di sviluppo olistici che rispettino e riconoscano i diritti umani, l’autonomia e l’autodeterminazione dei popoli indigeni e del loro patrimonio ancestrale”.
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