Il 9 maggio è arrivato nelle sale italiane la pellicola “Il segreto di Liberato”. Una pellicola indipendente che racconta la vita dell’artista napoletano senza volto.
Il fenomeno Liberato spiegato in un podcast
È il 13 febbraio 2017, quando in rete impazza il video musicale Nove Maggio di un cantante pop sconosciuto a nome Liberato. Dopo poco più di due anni, undici singoli – diventati nel frattempo un album – accompagnati dai video con milioni di visualizzazioni del regista Francesco Lettieri, e una manciata di esibizioni dal vivo
È il 13 febbraio 2017, quando in rete impazza il video musicale Nove Maggio di un cantante pop sconosciuto a nome Liberato. Dopo poco più di due anni, undici singoli – diventati nel frattempo un album – accompagnati dai video con milioni di visualizzazioni del regista Francesco Lettieri, e una manciata di esibizioni dal vivo tra Milano, Torino, Napoli e Barcellona oltre all’imminente debutto romano, facciamo il punto su Liberato in un podcast disponibile su Spreaker, Spotify e Apple Music.
Insieme a chi scrive, partecipano alla discussione il produttore Borut Viola (Bawrut), Alessio Bertallot, Tricky, l’esperta discografica Francesca Dascola, la responsabile Italia Music Export Nur Al Habash, il critico cinematografico Luca Pacilio, i giornalisti Antonella Di Biase e Francesco Abazia. Oltre ad alcuni ascoltatori.
Il progetto Liberato
Certo siamo ancora qui a parlarne, ma ci interessa meno sapere chi si nasconda dietro l’anonimato. Chi sia il responsabile di questo caso musicale, accostato più volte a quello letterario di Elena Ferrante. Con tutta probabilità Liberato non è un singolo artista, ma un progetto corale che ha dato vita al fenomeno musicale italiano più fresco, discusso e intrigante, anche se non necessariamente innovativo, da decenni. È un fatto, e come tale non può essere evitato.
Liberato è un progetto discografico studiato nei minimi dettagli che sfrutta, e unisce fra loro, diversi linguaggi espressivi: la musica, che può essere di volta in volta o tutta insieme urban, pop, neomelodica e dance; il cinema, con i riferimenti ai simboli geografici, culturali e calcistici di Napoli; infine la comunicazione, fatta di marketing, social media e branding, che scommette sull’anonimato, sull’assenza di un volto.
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Perché piace tanto? Perché è una combinazione attuale, in salsa millennial, di tradizione napoletana, data dal cantato in dialetto e dall’immagine-cartolina della città che emerge nei video, e contemporaneità, grazie alle sonorità internazionali e al “meticciato” di strofe in lingue diverse. Che peraltro arriva nel pieno rilancio di Napoli, dal turismo alle serie tv che la celebrano, come Un Posto Al Sole e Gomorra.
La musica di Liberato
Dal punto di vista musicale questa mescolanza è piuttosto originale, ma non troppo, se pensiamo a un brano come Karmacoma che gli Almamegretta realizzarono con i Massive Attack nel lontano 1995. Per non citare Pino Daniele. E non è nemmeno l’unica nel panorama globale, se guardiamo artisti come Omar Souleyman, che trasporta le canzoni siriane da matrimonio nell’elettronica, o l’emergente Rosalìa, che rivisita la musica tradizionale spagnola con i ritmi moderni. Ma quella di Liberato è senza dubbio l’unica proposta del genere, al momento, in Italia.
Le sue canzoni raccontano avventure romantiche, melodrammatiche, così come i video di Lettieri che diventano dei veri e propri cortometraggi, o meglio stories. Musica e video sono inseparabili.
Se però ci soffermiamo solo sulla musica, senza considerare cosa ci sia dietro quella rosa in copertina rubata a Shlohmo, senza domandarci chi si nasconda dentro quel bomber con il carattere rivisitato degli ultras, senza cercare ulteriori analogie (dopo un’accurata analisi spettrografica) con la voce di Livio Cori o i testi di Emanuele Cerullo, insomma senza congetture e senza le altre infrastrutture del progetto Liberato, cosa troviamo?
Troviamo che la sua musica non suona mainstream, ma neanche indie. È un ibrido che nasce dal basso ma strizza da subito l’occhio alle hit d’oltreoceano e, come tale, si fissa in testa prestandosi a ripetuti ascolti. I riferimenti più espliciti sono Drake, The Weeknd, Childish Gambino, ma anche Disclosure, Jai Paul e Diplo (con o senza Major Lazer). Oltre a Nino D’Angelo, ovviamente. Effetti vocali, uso smodato di autotune, sospiri, clapping e drum-machine che dettano il ritmo, spesso in levare, sono gli elementi comuni a quasi tutti i suoi pezzi.
Nove Maggio è il primo e tuttora imbattuto singolo dell’incappucciato, forte della sua melodia tra pop, rap e trap. La componente latina si fa invece sentire nell’electrocumbia di Guagliò, che ha un finale jungle a sorpresa, nel reggaeton meno riuscito di Oi Marì e nella ritmica di Gaiola Portafortuna, riproposta nell’album come Gaiola, una versione scarnificata solo piano e voce per accentuare l’effetto melò.
Tra le canzoni più audaci troviamo Me Staje Appennenn Amò, con la cassa in quattro e i suoni house anni ’90 che la portano dritta in pista da ballo. Ma, soprattutto, Nunn’a voglio ‘ncuntrà, una cavalcata che cresce dal secondo coro della lavandaie alla dance più spinta, rallenta e poi riparte. Il canto popolare, del resto, Liberato lo aveva già inserito in un mashup, mischiando La Tammurriata Nera con Bad Girls di M.I.A. Matangi e altro ancora. Una musica, in definitiva, non memorabile ma molto godibile, ben prodotta e, soprattutto, che oggi funziona. Domani chissà.
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