Come ogni anno, Reporter senza frontiere ha valutato le condizioni della libertà di stampa in 180 paesi nel mondo. Il quadro che ne emerge è problematico.
Reporter senza frontiere ha pubblicato l’edizione 2023 del suo Indice della libertà di stampa.
Nel 70 per cento dei 180 paesi analizzati, la situazione viene ritenuta problematica, difficile o molto seria.
L’Italia in un anno sale dalla 58ma alla 41ma posizione.
Addirittura la Dichiarazione universale dei diritti umani, che risale al 1948, sancisce a chiare lettere che ciascuno ha il diritto di informare e informarsi, liberamente, con tutti i mezzi che ritiene opportuni. A più di sette decenni di distanza, però, il rispetto di questo principio fondamentale rappresenta l’eccezione. Non la regola. È quanto emerge dai dati dell’organizzazione no profit Reporter senza frontiere che anche quest’anno, in occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa del 3 maggio, ha pubblicato la sua analisi sulle condizioni del giornalismo in 180 paesi del mondo.
I paesi migliori (e quelli peggiori) per la libertà di stampa
Attraverso una serie di indicatori, Reporter senza frontiere dà una valutazione allo stato della libertà di stampa in ciascun paese. La prima in classifica ancora una volta è la Norvegia, seguita da Irlanda, Danimarca, Svezia, Finlandia, Paesi Bassi, Lituania ed Estonia. Questi sono gli unici stati colorati in verde sulla mappa, a indicare una situazione in cui la libertà di stampa è garantita.
L’Italia è in 41ma posizione, con un visibile balzo in avanti rispetto alla 58ma che occupava nel 2022. I nostri giornalisti lavorano perlopiù in un clima di libertà, sostiene il report, ma a volte tendono ad auto censurarsi per conformarsi alla linea editoriale della testata o per evitare cause per diffamazione. A temere per la propria incolumità sono soprattutto coloro che indagano su criminalità organizzata e corruzione.
Impossibile non notare come la maggior parte della mappa sia colorata di rosso. Lo stato della libertà di stampa è ritenuto problematico in 55 paesi, difficile in altri 42 e molto serio in altri 31. A conti fatti, dunque, in sette stati del mondo su dieci questo diritto umano non è garantito. Il fanalino di coda rimane la Corea del Nord, governata da un regime autoritario restrittivo e volutamente isolato. Ma al penultimo posto ci si imbatte nella seconda potenza economica mondiale, la Cina. Lì, in questo momento, 101 giornalisti sono dietro le sbarre per avere fatto il loro lavoro.
La disinformazione minaccia il giornalismo
In ben 118 paesi sui 180 monitorati, le persone intervistate da Reporter senza frontiere sostengono che gli attori politici siano coinvolti, in modo frequente o addirittura sistematico, in campagne di disinformazione o propaganda. È vero che la propaganda è sempre esistita, ma le nuove tecnologie fanno sì che abbia una pervasività e un’efficacia diversa.
Già i social media avevano permesso alla fake news di circolare in modo incontrollato; ora sono le piattaforme basate sull’intelligenza artificiale a preoccupare, per la loro capacità di confezionare contenuti impossibili da distinguere da quelli autentici. Un esempio è Midjourney, il software che ha confezionato le foto di Papa Francesco che indossa un piumino e dell’arresto di Donald Trump. Immagini perfettamente realistiche di episodi mai accaduti.
Midjourney just released v5.1! 🚀
The most significant improvement? Its ability to closely adhere to prompts.
In a recent project, I couldn't get the Pope to shake the robot's hand, no matter how hard I tried.
“Si sta sfumando la differenza tra vero e falso, tra reale e artificiale, tra fatti e artifici, mettendo a repentaglio il diritto all’informazione”, si legge nello studio. “La capacità senza precedenti di manomettere i contenuti viene utilizzata per indebolire coloro che incarnano il giornalismo di qualità e il giornalismo stesso”.
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