Il 15 dicembre una petroliera russa si è spezzata a metà e un’altra è rimasta incagliata, riversando combustibile nello stretto di Kerch.
Libia, raggiunto un accordo per il cessate il fuoco a Tripoli
Dopo numerosi giorni di violenti scontri tra milizie rivali in Libia, le Nazioni Unite hanno convinto le parti ad accettare un cessate il fuoco.
Aggiornamento 5 settembre – Al termine di un lungo negoziato tra le parti in causa, sotto l’egida delle Nazioni Unite, è stato raggiunto l’accordo per un cessate il fuoco a Tripoli. A confermarlo è la missione Onu in Libia Unsmil, che ha specificato i termini dell’intesa.
Under the auspices of SRSG @GhassanSalame, a ceasefire agreement was reached + signed today to end all hostilities, protect civilians, safeguard public and private property + reopen Meitiga Airport in #Tripoli #Libya pic.twitter.com/0J5bu4OsLq
— UNSMIL (@UNSMILibya) 4 settembre 2018
In particolare, nella capitale libica dovranno cessare tutte le ostilità, essere protetti i civili, salvaguardate le proprietà pubbliche e private, nonché riaperto l’aeroporto di Meitiga, attorno al quale si è combattuto fino a martedì 4 settembre.
SRSG @GhassanSalame speaking at #Tripoli security meeting: today does not aim to fix all the #Libya’n capital’s security problems; it seeks to agree on a broader framework on the way to start addressing these issues. pic.twitter.com/AQsAMPd51A
— UNSMIL (@UNSMILibya) 4 settembre 2018
Occorrerà ora verificare se il cessate il fuoco sarà rispettato dalle milizie che si contendono il potere sul territorio di Tripoli. Non a caso, le diplomazie di Italia, Francia, Stati Uniti e Regno Unito hanno già diffuso una nota congiunta nella quale esprimono la loro soddisfazione per l’accordo e invitano le parti a lavorare per un percorso di pace.
Dopo un anno e mezzo di calma apparente, la Libia sembra precipitare di nuovo nel caos. Domenica 2 settembre, il consiglio presidenziale libico guidato da Fayez al Sarraj – organismo esecutivo di “unità nazionale” – ha deciso di decretare lo stato d’emergenza nella capitale e nelle zone limitrofe. Ciò dopo sei giorni di violenti scontri tra le milizie rivali presenti sul territorio, che avrebbero comportato decine di vittime, anche tra la popolazione civile.
#Libia A #Tripoli si spara ormai da una settimana e i combattimenti tra brigate rivali hanno già causato almeno 40 morti. Ieri un albergo è stato colpito da un razzo che appariva diretto verso l’ambasciata italiana. https://t.co/5K3knYhLtN
— Agi Agenzia Italia (@Agenzia_Italia) 2 settembre 2018
Domenica 26 agosto i primi scontri tra le milizie rivali
Nella mattinata di lunedì, la situazione appare particolarmente complessa. La ripresa degli scontri tra i gruppi di combattenti mostra da un lato la loro volontà di tornare a tentare di guadagnare potere. Dall’altro, evidenzia la debolezza del governo: esso, benché sostenuto dalla comunità internazionale, non riesce evidentemente a controllare il proprio territorio. https://www.youtube.com/watch?v=SaYiaEMdtx0 I primi colpi d’arma da fuoco sono risuonati a Tripoli nella notte tra domenica 26 e lunedì 27 agosto, provocando le prime vittime. Immediatamente, la missione delle Nazioni Unite in Libia aveva lanciato a tutte le parti, invano, un appello “a cessare immediatamente ogni azione militare”. Sottolineando la preoccupazione “per l’introduzione indiscriminata di armi pesanti nelle zone residenziali, densamente popolate da civili”.
Ad affrontarsi sono soprattutto due gruppi formalmente alle dipendenze del governo
I particolare i quartieri di Salah Eddine e di Qasr Ben Gheshir sono stati teatro di violenti combattimenti, cominciati quando la milizia dei “Rivoluzionari di Tripoli”, guidata da Haitham Tajouri, e i suoi alleati hanno attaccato le posizioni controllate dalla 7ma brigata del reggimento fanteria. Quest’ultima è composta da ex lealisti del regime di Gheddafi, oggi vicini a Khalifa Haftar, potente generale che tenta di allargare il proprio controllo sulla capitale. Tajouri è invece un ex ufficiale della polizia libica trasformatosi in un temuto signore della guerra. Guida oggi nove gruppi armati, riuniti appunto sotto il nome di “Rivoluzionari di Tripoli”. Non si conoscono con certezza né le sue posizioni politiche né le sue mire: c’è chi afferma che sia al soldo “di chi lo paga di più”. Ha già organizzato i rapimenti di numerose persone, compresi alcuni ministri.
#Libia A #Tripoli si spara ormai da una settimana e i combattimenti tra brigate rivali hanno già causato almeno 40 morti. Ieri un albergo è stato colpito da un razzo che appariva diretto verso l’ambasciata italiana. https://t.co/5K3knYhLtN
— Agi Agenzia Italia (@Agenzia_Italia) 2 settembre 2018
Ma per comprendere fino a che punto la situazione in Libia sia complessa, basti pensare entrambe le milizie sono – formalmente – sotto l’autorità del consiglio presidenziale. Una dipende infatti dal ministero dell’Interno, l’altra da quello della Difesa. Eppure il capo di stato maggiore della Libia occidentale, Abderrahmane Twil, ha affermato di non sapere chi abbia dato alla 7ma brigata l’ordine di attaccare Tripoli. Secondo quanto indicato dalla stampa internazionale, il generale “nega anche che la brigata appartenga allo stato. Eppure, è quest’ultimo che paga i salari dei suoi membri”.
Sarraj richiama la milizia di Misurata per tentare di organizzare un cessate il fuoco
Proprio per evitare tale situazione, le Nazioni Unite si auguravano da parte di Sarraj una unificazione delle milizie nel quadro di un esercito unitario. Ma ciò non è mai avvenuto: il risultato è che il governo non è riuscito ancora a garantire al paese nordafricano né stabilità, né sicurezza, né una ripresa economica. Ora il rischio principale è che possa riprodursi la situazione del 2014, quando i gruppi di combattenti si sostituirono di fatto allo stato. Alcuni di essi, da sabato, hanno approfittato del caos per rimettere piede a Tripoli.
Il tutto potrebbe avere come obiettivo, tra l’altro, anche il fallimento del progetto di organizzare elezioni legislative e presidenziali in Libia entro la fine dell’anno. Intanto, come riferito dall’agenzia Ansa, nella serata di domenica i portavoce militari della 7ma brigata “hanno annunciato la conquista di centri strategici lungo l’asse verso l’aeroporto, chiuso da due giorni dopo il lancio di alcuni razzi e colpi di mortaio verso lo scalo. Proprio in quest’area, stando a quanto si apprende, si sarebbero consumati feroci combattimenti. La milizia avrebbe conquistato un’accademia di polizia e una sede del ministero.
Hundreds of Prisoners Escape Libya Prison Amid Clashes Between Armed Militias https://t.co/ujCXYfVT5T — sciencenewsfacts (@sciencenewsfact) 3 settembre 2018
Sarraj ha così deciso di dare mandato alla milizia “Forza anti terrrorismo” di Misurata, guidata dal generale Mohammed Al Zain, di entrare nella capitale per organizzare un cessate il fuoco. Nel frattempo, temendo un attacco, inoltre, circa 400 detenuti del vicino carcere di Ain Zara sono fuggiti.
Ambasciata italiana ancora aperta ma “con presenza più flessibile”
L’ambasciata italiana, infine, ha fatto sapere con un tweet nel pomeriggio di domenica di voler “rimanere aperta al fianco della popolazione in questo momento difficile”, nonostante la sede sia stata sfiorata sabato da un colpo di mortaio. Tuttavia, la Farnesina ha precisato poi che la struttura “resta operativa ma con una presenza più flessibile, che si sta valutando sulla base delle esigenze e della situazione di sicurezza”. E nella mattinata di lunedì si parla di personale diplomatico evacuato con navi italiane.
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