Un’indagine dell’Istituto superiore di sanità rivela una scarsa aderenza degli italiani alla dieta mediterranea: “scelte sempre più occidentalizzate e globalizzate”.
Lierre Keith. Cosa mi ha insegnato essere vegana
Lierre Keith, studiosa e attivista ambientalista, ha scritto un libro che mette in discussione la scelta vegana e il concetto stesso di agricoltura.
Ambientalista e scrittrice, femminista radicale, vegana: Lierre Keith è stata per vent’anni il ritratto dell’attivista schierata a difesa della natura, degli animali e delle donne. Oggi è ancora come un tempo, tranne che per quell’ultimo aggettivo: vegana. Dopo esserlo diventata da adolescente, ha iniziato ad entrare in crisi constatando che il regime alimentare che pensava fosse il migliore possibile per gli animali, la natura e se stessa, le provocava numerosi e seri problemi di salute.
- La denuncia degli allevamenti intensivi e dell’uso di antibiotici
- Perché l’agricoltura è stata la cosa più distruttiva fatta alla Terra
- Come abbiamo stravolto gli equilibri della natura pensando di sfamare tutti
- Sovrappopolazione e perdita di fertilità del terreno, la strada per uscirne
- Cos’è la policoltura perenne e perché è il solo modo per salvarci
- La salvezza è nella pastorizia
- Perché ho smesso di essere vegana e quali sono i rischi per la salute
Partendo da questa domanda, e senza perdere la propria sensibilità per la natura, Lierre Keith ha iniziato a studiare in modo approfondito, servendosi di fonti scientifiche autorevoli, il metabolismo umano e, parallelamente, l’impatto che le coltivazioni agricole hanno sulla fertilità del suolo e sulla biodiversità.
Dopo anni di studi è nato così Il mito vegetariano, un libro in cui non solo l’autrice fa a pezzi l’impianto ideologico della scelta vegana su tutti i fronti, etico, nutrizionale, ambientale, ma pone anche in in discussione una pratica che ha favorito lo sviluppo della civiltà umana: l’agricoltura. Che per Lierre Keith è la vera grande responsabile dei danni arrecati dall’uomo alla natura, animali compresi.
La denuncia degli allevamenti intensivi e dell’uso di antibiotici
Il 71 per cento degli antibiotici venduti ogni anno in Italia viene somministrato agli animali da macello. Una percentuale che pone l’Italia al terzo posto in Europa per consumo di antibiotici destinati agli animali da allevamento, e che supera di tre volte il consumo della Francia e di cinque quello del Regno Unito. Tutto questo avviene mentre ogni anno in Italia muoiono fra le 5.000 e le 7.000 persone per resistenza agli antibiotici.
Ci può spiegare il nesso che esiste tra il benessere dell’animale e la qualità del cibo che mettiamo sulle nostre tavole?
L’unica ragione per la quale c’è bisogno di somministrare antibiotici agli animali è perché vivono in condizioni di sovraffollamento, e perciò si ammalano. Un’altra ragione per cui si danno antibiotici, specialmente al pollame, è che così crescono più in fretta (in Europa, a differenza degli Usa, sono vietati gli ormoni della crescita, ndr). Tutto questo ha a che fare col capitalismo, ovvero guadagnare più soldi e più in fretta, e niente a che fare con l’etica e la morale. Ho conosciuto persone che hanno avuto infezioni resistenti agli antibiotici, ed è terribile, perché puoi morire.
È realizzabile il benessere degli animali in un allevamento intensivo? Quali sono i requisiti minimi che dovrebbe avere una stalla?
Non penso che sia possibile avere animali sani e felici in un allevamento intensivo
Non è possibile per le mucche e ancor meno per le galline, che impazziscono e si beccano tra loro fino a ferirsi a morte. Non è possibile, dobbiamo semplicemente smetterla di allevare gli animali così.
Perché l’agricoltura sta distruggendo la terra
Perché ogni giorno scompaiono 200 specie tra animali e piante? Perché i gas a effetto serra sono cresciuti così tanto da provocare il riscaldamento globale? In anni di studi seguiti alla mia “crisi di coscienza” vegana ho cercato di risalire alla radice di tutto ciò.
Perché nei primi due milioni e mezzo di anni su questo pianeta siamo stati degli umili partecipanti, e ci siamo poi trasformati in mostri distruttori? Che cosa è cambiato? Da vegana pensavo di averlo capito, ma mi sbagliavo. La conclusione cui sono giunta è che l’agricoltura è stata la cosa più distruttiva fatta al pianeta.
Perché?
Perché in pratica…
L’agricoltura non è altro che questo: prendere un pezzo di terra, e man mano spazzarne via ogni forma di vita
…batteri inclusi, per far spazio per qualche stagione ad una sola coltura. Il terreno così perde via via fertilità, inaridendosi. Ne abbiamo già persa tantissima. E con questo sistema, il modo di sfamare una popolazione in crescita è coltivare sempre più terra. E questo secondo me vuol dire che ci stiamo scavando una fossa sempre più profonda. Ci siamo messi all’angolo da soli, e lo abbiamo fatto diecimila anni fa, inventando l’agricoltura.
L’agricoltura industriale sicuramente accelera questi processi, ma non è il problema di per sé. Inoltre l’agricoltura ha provocato enormi problemi di organizzazione sociale: militarismo, genocidi, imperialismo. È stato nelle società agricole che sono comparsi re, sacerdoti, e la casta dei militari, mentre il 90 per cento della popolazione viveva in schiavitù. Tutto ciò non avviene nelle popolazioni di cacciatori e raccoglitori, che tendono ad essere molto egualitarie. Per la prima volta la fame è diventata “istituzionale”, con periodiche carestie.
Perché mai, dunque, è stata inventata l’agricoltura?
Una delle ipotesi che secondo me ha più senso è che alcune piante danno dipendenza. Quello che sappiamo è che in particolare la marijuana, ma anche la maggior parte dei cereali, contengono sostanze chiamate esorfine che nel nostro corpo funzionano come la morfina. Si attaccano ai recettori della morfina nel cervello e danno un senso di euforia e benessere. Questa secondo me è la possibile spiegazione.
Alcune piante danno dipendenza, in particolare la marijuana, ma anche la maggior parte dei cereali
Da vegana mi confrontavo col problema degli allevamenti industriali. Con una prospettiva più ampia ho scoperto qualcosa che è ancora peggio. Per dare una cifra, la coltivazione di cereali per una stagione spazza via il terriccio fertile che si è formato in duemila anni. Quando gli europei arrivarono negli Stati Uniti, lo strato di terreno fertile arrivava a quattro metri di profondità; ora lo si misura in centimetri.
Come abbiamo stravolto gli equilibri della natura pensando di sfamare tutti
La situazione è peggiorata a partire dagli anni Cinquanta, con la green revolution (l’industrializzazione dei processi agricoli e l’uso massiccio di prodotti chimici, ndr). L’unico motivo per il quale non c’è stata la fame di massa è che gli scienziati hanno trovato il modo di produrre fertilizzanti derivati dal petrolio. A quel punto la popolazione umana è quadruplicata, peggiorando così i problemi che dovremo affrontare.
Le antiche popolazioni di cacciatori e raccoglitori, al contrario, erano molto abili nel mantenere bilanciata la quantità di popolazione. Gli adulti capivano immediatamente quanti bambini ed anziani riuscivano a mantenere, in base alle risorse messe a disposizione dalla natura (selvaggina, verdure e frutti spontanei). Erano così in grado di riprodursi naturalmente al giusto tasso di rimpiazzo della popolazione.
Cacciatori e raccoglitori erano molto abili nel mantenere bilanciata la quantità di popolazione
Questo non è più vero per gli agricoltori, perché per coltivare i campi è necessaria molta manodopera, quindi fare figli serviva ad avere più aiuto nei campi. Il problema è che con l’agricoltura si è perso il legame immediato con la disponibilità di risorse naturali; infatti per un periodo c’era l’illusione di avere una produzione di cibo in grado di sfamare una popolazione in crescita, ma poi tutto questo collassava a causa della perdita di fertilità del terreno. Ed è stato questo il percorso che si è ripetuto durante tutta la civilizzazione umana.
Quando parliamo di civiltà pensiamo ad aggregazioni umane fondate su delle leggi e un certo ordine. Ma a ben vedere le civiltà nascono quando gli uomini vanno a vivere insieme nelle città; e questo comporta che hanno bisogno di più risorse di quelle che il loro territorio possa offrire. Cibo, acqua ed energia dovevano arrivare da qualche altra parte.
Dalla nascita delle città in poi, tutta quella gente dipendeva da un sistema basato su militarismo, imperialismo, colonizzazione e genocidi. Perché le risorse per vivere dovevano essere conquistate altrove. Nel corso della storia, nel mondo, si sono avvicendate 32 civiltà, tutte scomparse dopo un periodo compreso tra gli ottocento e i duemila anni al massimo. Ovvero dopo che il terreno da cui dipendevano aveva completamente perso la sua fertilità.
Quindi? Come possiamo sopravvivere in oltre 7 miliardi di persone facendo a meno dell’agricoltura?
La risposta è che non possiamo. Non c’è niente che possiamo fare. All’inizio dell’era dei combustibili fossili, nel 1800, eravamo un miliardo di persone su questo pianeta. Da allora abbiamo dapprima incominciato a meccanizzare il lavoro dei campi, e poi abbiamo introdotto i fertilizzanti di sintesi. E ora siamo in più di sette miliardi. È un problema di fronte al quale non possiamo girare la testa.
Tuttavia, se le autorità decidessero di affrontarlo molto seriamente, potrebbe non essere ancora troppo tardi, ma prima bisogna comprendere la natura del problema. Potrebbe essere visto come le persone (7 miliardi) contro un solo pianeta.
La soluzione secondo me va invece vista come ‘le persone più il pianeta, insieme’
La prima cosa che fa diminuire la popolazione, e questo è stato studiato, è insegnare alle bambine a leggere. Un maggior grado di istruzione fa sì che le donne abbiano più potere sulla propria vita e decidano di fare meno figli. Di solito in questo caso la media scende a due figli per coppia In natura, senza condizionamenti esterni, non siamo diversi dalle altre specie, e tendiamo a riprodurci al tasso necessario a mantenere costante la popolazione.
L’altro fattore che influenza il tasso di nascite è la povertà. Dobbiamo chiederci perché la gente è povera, ed essenzialmente lo è perché è derubata dai ricchi, e tutto ciò ha a che fare col capitalismo, in particolare col comportamento predatorio di alcune grandi imprese che ha peggiorato così il capitalismo stesso. Di questo naturalmente nessuno vuol sentir parlare negli Stati Uniti, dove non abbiamo una Sinistra credibile dagli anni Trenta.
Finché i maschi non la smetteranno di avere il potere sulle femmine, e i ricchi di rubare ai poveri, niente di tutto questo finirà
Comunque sia, salvare animali e piante ci serve perché né io né te siamo in grado di produrre ossigeno, e due respiri su tre che facciamo sono possibili grazie a quello prodotto dal plancton negli oceani, che però sta riducendosi a causa del riscaldamento globale. Gli oceani finora hanno assorbito molto dell’eccesso di anidride carbonica nell’aria, ma a forza di assorbirlo stanno diventando asfittici, e questo uccide il plancton. Se andiamo avanti così in cento anni non avremo più ossigeno.
Sovrappopolazione e perdita di fertilità del terreno, la strada per uscirne
Che catastrofe! Dunque, non abbiamo alcuna possibilità di salvarci?
In realtà ci sono alcune statistiche ottimistiche. Ma prima facciamo un passo indietro; in tutto il mondo l’agricoltura ha distrutto tutte le distese erbose, perché questo è il tipo di terreno che vuole, dato che si basa sulle piante annuali. Quello che hanno fatto è stato prendere le piante perenni, spazzarle via e mettere al loro posto quelle annuali; questo è l’habitat per l’agricoltura.
Se ripristinassimo tutti questi terreni a prati erbosi in 15 anni potremmo sequestrare tutta l’anidride carbonica rilasciata fin dall’inizio dell’era industriale.
Ci vorrebbero solo 15 anni, anche solo col 75% dei terreni. I prati possono ancora farlo, non è troppo tardi! Questo è ciò che fanno le piante erbacee, creano lo strato superficiale del terreno, che è fatto di carbonio.
Questo può essere fatto, non è troppo tardi. E non abbiamo bisogno di super tecnologie perché ci porterebbero ancora più dentro a questi problemi. La tecnologia di solito crea più problemi di quelli che risolve. È la natura della tecnologia, e non ne abbiamo bisogno. Perché ce l’abbiamo già, e si chiama “piante erbacee e foreste”. E riusciranno a sequestrare la CO2. Ma dobbiamo lasciarglielo fare. E questo significa che dobbiamo tirarci indietro e farle tornare.
Un’altra cosa che dobbiamo capire è come queste creature collaborano per creare una comunità vitale e autosufficiente, le piante non sono mai sole, neanche l’erba. Solo che tutto ciò avviene nel sottosuolo, dove entrano in gioco i batteri, ma noi non ce ne rendiamo conto perché non lo vediamo.
Eppure basta pensare a quando d’estate l’erba si secca, in realtà non è morta, continua a vivere sottoterra. Sono i batteri a mantenere il ciclo nutritivo delle piante, qualsiasi tipo di pianta, in tutto il mondo. I batteri fanno il lavoro alla base del ciclo della vita, anche se non lo vediamo: un cucchiaio di terriccio fertile contiene più di un miliardo di forme di vita. È straordinario! Sono loro a riciclare i nutrienti di base che ci permettono di vivere.
Dopo di loro, il ruolo più importante per mantenere il suolo fertile è svolto dai ruminanti, perché i loro corpi sono l’habitat perfetto per la sopravvivenza dei batteri. Pensate ai bisonti in libertà: animali giganteschi che si spostano anche per migliaia di chilometri, brucando l’erba, che nel loro stomaco diventa nutrimento per i batteri, e una volta digerita torna ad essere a disposizione del terreno scomposta nei suoi elementi base.
Senza questi batteri i campi si convertirebbero presto in deserto
E, in un certo senso, il midwest americano lo sta diventando. Distese enormi di campi coltivati industrialmente dove non vive nessuno.
Ma c’è speranza, come ho detto. Possiamo catturare il carbonio facendo tornare i prati e le foreste; e se diamo un po’ di potere alle donne la popolazione può calare. Possiamo decelerare un po’!
C’è un Paese che ha trovato un suo percorso per ridurre il tasso di natalità, e non mi riferisco all’orrenda politica del figlio unico praticata in Cina. Mi riferisco a un Paese dove hanno capito cosa sta succedendo ed hanno provato a sostenere i diritti di donne e ragazze; dove hanno fatto delle incredibili campagne di alfabetizzazione, e hanno messo la salute nelle mani delle donne. Mi sto riferendo alla campagna per il controllo delle nascite fatta in Messico, che ha avuto grande successo. In meno di cinque anni hanno ridotto il tasso di natalità a due figli per coppia. Quindi non è così difficile. Se applicassimo queste politiche in tutto il mondo potremmo limitare la popolazione ad un numero sostenibile entro la fine del secolo.
Ma, non ho capito. Se dobbiamo convertire tutti i campi coltivati in praterie, poi come mangiamo?
(Ride) C’è molto più cibo disponibile di quello che pensi che può provenire dalla piante perenni e molto più nutriente ad esempio dei cereali (che in fondo sono quasi del tutto carboidrati).
Ma non è solo questo. Ti faccio un esempio: negli Stati Uniti, prima che li sterminassero, c’era un ecosistema che faceva vivere in equilibrio 60 milioni di bisonti, e noi lo abbiamo distrutto per allevare 40 milioni di vacche malate. Oltre allo scempio della natura significa avere meno cibo!
Quindi dovremmo tornare a mangiare più carne?
Sì. Ma deve arrivare da animali che mangiano erba, in posti dove stanno cercando di rimettere le cose a posto. Se invece sono stati alimentati in stalla con mais, non facciamo che aggiungere distruzione.
Ci sono però per fortuna allevatori che stanno inserendo gli animali in sistemi di policoltura perenne: “policoltura” vuol dire tante piante tutte insieme , “perenne” vuol dire piante che vivono più di una stagione. Questo è l’unico modello che ha creato la natura ed è l’unico modello che riconosce. Gli “animali monocereali” non hanno senso in natura. Se invece ci si approvvigiona presso questo tipo di fattorie si contribuisce al restauro dell’ecosistema.
Che cos’è la policoltura perenne e perché è il solo modo per salvarci
“Policoltura perenne”, quindi. Ma cosa pensa dell’agricoltura biologica e biodinamica? Non possono essere la scelta giusta per il futuro?
Dipende da cosa intendiamo per agricoltura. Io la definisco come monocoltura di piante annuali. Se parliamo di un sistema basato sulle piante perenni, allora può essere sostenibile. Quindi, ciò che io definisco “policoltura perenne” per me è sostenibile. Come la permacultura. Inoltre, anche la pastorizia può essere sostenibile per me. Se gli animali sono liberi e mangiano l’erba questo è un ciclo naturale della vita che fornisce cibo agli uomini; i suoli infatti restano fertili proprio grazie ai ruminanti.
Ora, se tutto ciò è rispettato, è ovvio che sia necessario che l’agricoltura sia biologica. Non so chi abbia avuto l’idea di spruzzare veleno su vasti appezzamenti di terra per poi mangiarne i prodotti, ma di sicuro ci ha provocato grossi problemi. E penso al bio-accumulo di queste sostanze, al loro effetto sui nascituri; ma anche alla moria delle api (in cui per me hanno un ruolo i pesticidi) che non impollinano più le piante che mangeremo.
In Cina ci sono intere zone dove i fiori non vengono più impollinati, bisogna farlo a mano. Ora secondo me è assurdo aver spazzato via 500mila anni di evoluzione perché abbiamo avvelenato le api e fermato l’impollinazione. Quindi non dovremmo nemmeno stare a discutere sul fatto di spruzzare o meno veleno sul cibo che mangiamo. Però, di base, per me non basta che l’agricoltura sia biologica. È l’intero sistema che va rivisto.
Ci spiega meglio i concetti alla base della policoltura perenne?
Le piante annuali sono quelle che vivono solo per una o pochissime stagioni. E il loro scopo, come per tutti gli esseri viventi, è riprodursi. Lo fanno attraverso i semi, e avendo poco tempo a disposizione, hanno sviluppato un loro modo per farlo in modo efficace: i loro semi sono più grandi (altre piante non hanno semi e si riproducono in altri modi, ma hanno più tempo per farlo). Ora, essendo i loro semi più grandi, è più facile per gli uomini raccoglierli con la mietitura. Ed è così che loro si riproducono, con tanti semi che cadono o che noi uomini seminiamo. Pensa alla differenza con una pianta perenne come quella delle fragole, i cui semi a stento si vedono. Infatti non si riproducono solo attraverso quelli, ma anche per via sotterranea.
In natura anche le piante annuali avrebbero ovviamente un loro ruolo, ma noi coltiviamo solo quelle! Il loro ruolo in natura in realtà è molto importante: quando i semi cadono a terra non trovano sempre le condizioni adatte per germogliare, normalmente infatti in terreni fertili c’è abbondanza di piante perenni che assorbono le risorse. Quando però il terreno è sconvolto da un incendio, un’inondazione o un terremoto, ecco che i semi dormienti delle piante stagionali rivelano la loro importanza: sono infatti i primi a risvegliarsi e a far tornare alla vita quella terra ferita.
Le piante annuali sono un po’ il cerotto che la natura ha pronto per riparare le ferite del terreno
Quando è il momento queste piantine spuntano dal nulla, anche dopo anni che i loro semi erano lì, dormienti. Quando il terreno ha ripreso la sua fertilità grazie alle piante stagionali, ecco che ritornano quelle perenni, con i loro vasti apparati radicali e i loro corpi solidi; a quel punto in natura le annuali scompaiono per ritornare al loro stato dormiente, fino all’emergenza successiva.
A noi umani piacciono le piante annuali, di cui mangiamo solo i semi, anche perché sono veloci da coltivare. Le perenni invece hanno bisogno di anni per crescere. Tuttavia anch’esse ci servono, sono infatti le uniche che possono fornirci i minerali, che ci sono indispensabili per vivere. Noi non possiamo mangiare le rocce, le piante sì, con le loro radici e l’azione dei batteri; ma solo quelle perenni, ecco perché ci servono anche loro.
Le piante perenni sono le uniche che possono fornirci i minerali
L’agricoltura, arando il terreno, ci priva di queste piante perenni e dei minerali che ci forniscono. E inoltre crea un pericolo in caso di forti piogge, perché se il terreno è nudo la pioggia lo devasta, lo riduce a un pantano. Ma non solo, trascinando via con sé il terriccio, la pioggia inquina i corsi d’acqua, mettendo a rischio ad esempio i pesci.
Se invece su un terreno ci sono le piante perenni, questi con le loro radici creano delle vie di fuga sotterranee per l’acqua, che viene così assorbita.
Anche perché oltretutto le radici delle perenni assorbono l’acqua, come delle spugne. C’è di più, perché in caso di stagioni piovose seguite da periodi di siccità, è l’acqua rilasciata dalle radici delle piante perenni a tenere in vita l’ecosistema.
Un terreno con piante perenni può assorbire anche 30 centimetri d’acqua in un’ora, un campo con piante annuali praticamente zero
La salvezza è nella pastorizia
Nel suo libro Il mito vegetariano spende parole positive su carne e cibi animali fatti crescere con la giusta alimentazione e allo stato brado. Ce ne parla?
Prendiamo in considerazione un pezzo di terra, e immaginiamo due scenari. Nel primo scenario ci sono tante piante perenni diverse che vivono tutte insieme; tu decidi di convertirlo in terreno agricolo, perciò elimini tutte le piante e ci semini dei cereali. Come abbiamo visto, così facendo il suolo perde fertilità di anno in anno (oltre agli altri problemi cui abbiamo fatto cenno) e anche la resa della tua coltivazione di cereali diminuirà.
Inoltre puoi prendere parte dei cereali che produci e farli mangiare ad una mucca chiusa in una stalla, che non li avrebbe mangiati se non fosse stata costretta, perché sono troppo acidi per il suo stomaco e le danneggiano il fegato.
Alla fine questa mucca poco in salute viene macellata e data in pasto agli umani. Ma c’è qualcosa che non va in questa carne, come il livello troppo elevato di acidi grassi omega-6 e troppo scarso di omega-3, e questo scompenso può provocare seri problemi di salute.
Un animale che mangia solo cereali dà carne con troppi acidi grassi omega-6 e scarsi omega-3
Stiamo parlando di acidi grassi “essenziali”, si chiamano così perché il nostro corpo non può produrli da solo, ma deve assumerli col cibo. Inoltre vanno assunti di pari passo col consumo che ne facciamo, non possiamo accumularli da qualche parte.
Ora, i cereali hanno troppo grassi di tipo omega-6 e pochi di tipo omega-3 rispetto a quelli che servirebbero al nostro organismo. Negli Stati Uniti, nelle analisi del sangue degli agricoltori, gli omega-3 sono praticamente assenti, a causa dei cereali mangiati direttamente, o attraverso la carne degli animali alimentati con i cereali.
Questo sbilanciamento tra omega-6 e omega-3 provoca stati infiammatori un po’ dovunque; nel cervello, nel sistema cardiovascolare, nelle arterie, nel cuore… ecco dunque il responsabile per molte patologie cardiovascolari, infarti, Alzheimer…
Il problema del triptofano
La carne di una mucca che ha mangiato prevalentemente cereali risulta povera di un aminoacido chiamato triptofano, il precursore della serotonina. La serotonina, che regola il nostro umore, dipende dal triptofano, che noi possiamo assimilare solo mangiandolo. Nei cereali ce n’è pochissimo, in particolare nel mais. Se le mucche mangiano solo mais noi non assimiliamo triptofano mangiando la loro carne, e senza triptofano cadiamo in depressione. Questa secondo me è una delle ragioni dell’enorme epidemia di depressione che abbiamo negli Stati Uniti; deriva dallo scarso livello di triptofano presente nelle carni di animali cresciuti negli allevamenti intensivi.
C’è poi il secondo scenario, fatto sulla base di un sistema di policoltura perenne, dove si lascia l’erba al suo posto. Un habitat in cui sopravvivono rettili, anfibi ed uccelli; dove ci sono piccoli e grandi mammiferi. In cima a tutto ciò ci sono i ruminanti (bisonti, mucche…) felici di poter mangiare erba, e che nel frattempo concimano i prati. E la loro carne ha i livelli perfetti di omega-3, omega-6 e aminoacidi che servono alla nutrizione umana. Gli umani si sono evoluti nella savana mangiando la carne dei ruminanti, è un cibo naturale per la specie umana. Alla fine ci sarà più vita se il ciclo naturale è rispettato, ci sarà più terreno fertile e più biodiversità. Quindi ci sono un sacco di buone ragioni per scegliere allevamenti allo stato brado.
Qual è la parola chiave dell’alimentazione sostenibile secondo lei?
“Pasture raised” (si tratta di animali che sono cresciuto prevalentemente liberi al pascolo, non chiusi in stalla, ma è ammessa l’integrazione con granaglie quando l’erba nei campi non è disponibile, ad esempio perché coperta di neve, ndr) oppure “grass-fed” (in questo caso si certifica che gli animali abbiano mangiato solo erba o fieno, ma potrebbero averlo anche fatto chiusi in stalla, anche se questo di solito non avviene, ndr).
Non so se ci sia questa etichettatura qui. Negli Stati Uniti esiste, e di solito c’è la garanzia che gli animali abbiano vissuto bene, nel rispetto dell’ecosistema, e contribuendo a restituire fertilità al terreno. Insomma, nella maggior parte dei casi ci si può fidare. Certo che la cosa migliore sarebbe entrare in relazione diretta coi contadini.
Perché ho smesso di essere vegana e quali sono i rischi per la salute
Da ex vegana convinta, lei è tornata a mangiare i cibi animali. Per accettare questo ritorno ad essere onnivora, ha studiato tanto e alla fine ha rivalutato i cibi animali sotto tutti i punti di vista: nutrizionale, ambientale, etico.
Ci spiega a quali conclusioni è arrivata?
Quanto tempo ho per rispondere? (Ride) Beh, iniziamo da un punto di vista nutritivo. Io sono uscita da vent’anni di dieta vegana con dei danni permanenti al mio fisico. Quando sei vegano ciò che sei tende a contare più di ciò che mangi. Quindi il rischio è che ti trovi ad affrontare problemi di salute dovuti a scompensi nella tua dieta, ma fai fatica ad accettare informazioni in contrasto con la tua scelta.
Io ho iniziato la mia dieta vegana a 16 anni, già a 18 avevo seri problemi di stabilità della colonna vertebrale (la mia colonna era ridotta “come fossi caduta da un aereo”). Una delle cause è la mancanza di grassi animali, di conseguenza non si assimilano i minerali necessari allo sviluppo e al rinforzo delle cartilagini.
Per vent’anni, inoltre, non ho avuto il ciclo, e credo che questo sia comune a molte vegane. In questo caso c’entrano gli ormoni, e dovete sapere che alla base della produzione di ormoni nel nostro organismo c’è una sostanza che normalmente viene demonizzata: il colesterolo. Abbiamo bisogno del colesterolo per dare integrità strutturale al nostro corpo.
Da vegana fai fatica ad accettare informazioni in contrasto con la tua scelta
Infine, adesso mi trovo in fase prediabetica, e sono perciò costretta a ridurre i carboidrati che posso mangiare. Come molti altri vegani ho fatto l’errore di sostituire le proteine animali con gli zuccheri. Nel corso degli anni ho dovuto man mano ravvicinare i pasti per tenere sotto controllo la glicemia. Nell’ultima fase dovevo mangiare qualcosa ogni venti minuti.
Ci sono altri squilibri derivanti da una dieta completamente priva di proteine animali, secondo lei?
Nell’evoluzione umana, gli apporti nutritivi derivanti dal consumo di carne sono stati fondamentali per lo sviluppo del cervello. L’Università di Oxford in uno studio ha misurato il volume del cervello in una popolazione mista di onnivori, vegetariani e vegani. In queste ultime due categorie, dopo 5 anni di osservazione, il volume del cervello si è ridotto del 5 per cento.
In vegetariani e vegani il volume del cervello si è ridotto del 5 per cento
C’è poi il problema del ferro, che è fondamentale per l’organismo, perché serve a sequestrare l’ossigeno. Il ferro è presente principalmente nella carne, come il triptofano, precursore della serotonina. Il triptofano risulta carente nelle analisi fatte su vegetariani e vegani. Io per vent’anni sono stata depressa e/o nervosa, a vari stati di gravità. Quando il triptofano viene reintrodotto nella dieta, l’umore migliora. Anche per me è stato così.
Ma non si è accorta che c’era qualche problema nella sua dieta?
Il fatto è che da ragazza ero così fervente nella mia scelta che non mi rendevo minimamente conto che i miei problemi potessero essere legati alla mia alimentazione.
Se questa era la cosa migliore per il pianeta, per salvare gli animali e per portare giustizia agli umani, come avrebbe potuto nuocermi?
Questo è un momento di crisi in cui passano molte persone vegane e vegetariane. Ci si rende conto che si hanno problemi di salute, all’inizio non si vuol vedere il nesso con la propria alimentazione; poi – invece di mettere in discussione quest’ultima – ci si interroga sul proprio scopo nella vita e sul significato dell’universo. Io ho interrotto la mia dieta vegana quando ormai i problemi di salute erano così gravi che sono stata costretta a farlo. Credo che se non lo avessi fatto probabilmente sarei morta.
Nel suo libro lancia anche un allarme sulla pericolosità della soia. Cosa provoca?
La soia è una pianta dall’alto apporto proteico, che perciò è ampiamente presente nella dieta vegana (io la vedevo un po’ come la mia salvezza, per poter assumere proteine senza ricorrere a quelle animali). In realtà ho scoperto che la soia ha moltissimi effetti negativi (non andrebbe data nemmeno agli animali) se non in piccolissime dosi, come condimento. Il problema della soia è che blocca l’assorbimento dello zinco da parte dell’organismo.
Per colpa della soia, che mi sovraccaricava la tiroide, ho sofferto di tiroidite di Hashimoto. Ora, vi siete mai chiesti perché proprio un medico giapponese abbia scoperto questa malattia? Secondo me c’entra con il largo uso di soia nella dieta giapponese.
Come è vista dalla comunità vegana adesso?
Mi vogliono morta. Non sto scherzando. Oltre alle torte in faccia (vedi il video qui sotto, ndr) ho ricevuto minacce di morte o di essere sfregiata con l’acido. A casa mia ho preso due cani grandi, e per precauzione mi sono presa anche il porto d’armi.
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