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“È sempre una corsa contro il tempo”, parla Domenico Pugliese, comandante della Life support di Emergency che salva i migranti nel Mediterraneo
La Life support di Emergency ha già salvato centinaia di persone. Il comandante Domenico Pugliese racconta il suo ruolo e l’esperienza a bordo.
La Life support di Emergency, la nave di ricerca e soccorso dell’ong italiana, ha da poco concluso la sua quinta missione nel Mediterraneo centrale. Dall’inizio della sua attività ha salvato 619 persone provenienti da diversi Paesi come Burkina Faso, Ciad, Costa d’Avorio, Eritrea, Etiopia, Gambia, Guinea Conakry, Liberia, Mali, Nigeria, Palestina, Sudan, Sud Sudan, Somalia.
Al comando della Life support
Al comando della Life support, per tre missioni consecutive, c’è stato Domenico Pugliese. Diplomato all’Istituto tecnico nautico di Procida nel 1991, ha lavorato come comandante per oltre dieci anni sui supply vessel per assistenza a piattaforme petrolifere, rimorchi e posizionamento perforazioni; oggi invece racconta qual è il ruolo del comandante su una nave di ricerca e soccorso in mare, come funzionano le operazioni in mare e la sua esperienza a bordo.
Come mai ha deciso di iniziare questo percorso? Cosa faceva prima?
Sono un marittimo da quando ho iniziato a lavorare, ho intrapreso la carriera come ufficiale con l’aspirazione di fare il comandante. Diversi anni fa una società di navigazione mi ha offerto la prima possibilità di essere al comando di una loro nave e ho accettato volentieri, con tutte le mie paure che man mano ho gestito. L’opportunità di imbarcarmi su una unità Rescue, qual è la Life support, si è presentata per caso: da alcuni anni sono in contatto con una importante società di reclutamento e gestione marittimi, che Emergency ha contattato per formare parte dell’equipaggio della Life support, la proposta è arrivata da lì. All’inizio ho cercato di capire di cosa si trattasse, mi sono preso una settimana per le mie considerazioni e valutazioni anche confrontandomi con la mia famiglia e, poi, ho deciso di fare questa esperienza.
Qual è il ruolo del comandante all’interno della nave e durante le operazioni di salvataggio?
Il comandante a bordo di una nave ha un ruolo di grande rilievo: è il fiduciario della società armatoriale, rappresenta la compagnia di navigazione nel mondo, è la figura di riferimento per l’equipaggio, la società, gli stati e le autorità. Si potrebbe rappresentare come un buon padre di famiglia: ha il compito di gestire nel migliore dei modi tutto l’equipaggio e le attività e, in questo caso, anche le attività di salvataggio. Figure come il Sar coordinator, gli ufficiali, i marinai e il personale speciale dedicato ai naufraghi, coadiuvano il comandante sia nell’attività di ricerca, che è molto impegnativa, sia nelle operazioni di recupero e gestione dei naufraghi dopo l’imbarco, facendo in modo che alle persone tratte in salvo vengano offerte le prime cure e beni di prima necessità.
Come avviene una operazione di salvataggio?
Le operazioni di salvataggio partono nel momento in cui si avvista o si riceve un segnale da parte di una barca in difficoltà. Il comandante invia una prima comunicazione agli enti preposti, cioè Mrcc (Maritime rescue coordinator centre) dei vari stati rivieraschi coinvolti, dichiarando di aver ricevuto un possibile distress. Se non si è già in contatto visivo con la barca in difficoltà, si procede alla sua ricerca. Una volta che la barca in difficoltà viene avvistata, il comandante comunica di nuovo agli enti preposti che il caso di emergenza precedentemente comunicato è confermato e fa richiesta di coordinamento. Se la risposta di coordinamento non arriva, il comandante invia un’altra comunicazione confermando che egli stesso prende in carico il coordinamento e interviene nel soccorso per la salvaguardia della vita umana in mare. A questo punto il team del comandante, ognuno per i propri ruoli, si prepara. Ogni membro dell’equipaggio ha avuto giorni di addestramento teorico e pratico per affrontare queste situazioni. Una volta che tutto il team è pronto, la nave si ferma a distanza di sicurezza dall’imbarcazione in difficoltà, vengono ammainati i due gommoni veloci con i loro equipaggi e attrezzature di salvataggio che si dirigono verso la barca per un primo contatto e una valutazione generale sulle condizioni del natante e dei naufraghi, che vengono comunicate al comandante. In base a questa prima valutazione il comandante decide, insieme al suo team in plancia di comando, come meglio procedere limitando i rischi al minimo per portare tutte le persone in salvo. Prima del trasbordo, ad ogni naufrago viene passato un giubbotto di salvataggio, poi avviene il trasferimento sui gommoni. Da lì, a gruppi, le persone vengono portate sulla nave dove ha inizio l’altra fase del recupero: ad attenderli ci sono altri componenti del team come logisti, medici e infermieri che accolgono le persone con una prima assistenza individuale.
Qual è l’iter che viene seguito una volta concluse le operazioni e le persone sono salite a bordo?
Le operazioni si concludono quando tutte le persone sono state salvate e tutto il team è a bordo. Il comandante comunica agli enti Mrcc che il salvataggio è stato terminato e fa richiesta per il Place of safety detto Pos. Una volta ricevuto il Pos, il comandante farà rotta verso quel porto dove la nave ormeggerà e le persone salvate in mare verranno identificate, visitate e accolte dai corpi e dalle istituzioni competenti.
Nelle cinque missioni che ha effettuato con la Life support nel Mediterraneo centrale, quante persone avete portato in salvo?
La Life Support e il suo equipaggio durante le prime tre missioni ha tratto in salvo 619 persone. 619 vite umane: uomini, donne, ragazzi e bambini a cui è stata data la possibilità di non morire in mare.
Ha mai avuto paura per l’incolumità delle persone che stavate per salvare?
Durante le operazioni di ricerca e soccorso la mia paura costante è di non trovare la barca che cerca aiuto. Di notte in mare è buio pesto, non vedi nulla e queste barche non sono attrezzate né per navigare di notte né di giorno. È sempre una corsa contro il tempo.
Cosa ha provato la prima volta che ha visto una barca in difficoltà piena di persone in mezzo al mare?
La prima volta era proprio di notte, erano diverse ore che facevamo attività di ricerca e ad un certo punto, a poche centinaia di metri, un segnale timido e debole appare al radar: ci siamo diretti adagio fino a poche decine di metri, da quel punto abbiamo poi intravisto un’ombra più scura nel mare. Con il nostro riflettore puntato abbiamo scoperto essere una barca di circa sette metri, affollatissima e in condizioni di galleggiabilità precarie. Se non fossimo arrivati noi in poche ore sarebbero colati a picco. Al momento ho provato subito una gioia per averla trovata, poi la mia mente è stata assalita dalle tante domande: perché tutto questo, perché tutte queste persone rischiano la vita, perché il Mediterraneo sta diventando un cimitero, perché non si fa di più? Sono questi alcuni degli interrogativi che mi pongo al termine del soccorso, quando vado a letto per riposare.
Vuole condividere con noi un momento delle sue missioni in mare che non dimenticherà?
Durante la prima missione, non potrò mai dimenticare il pianto disperato, in piena notte, di una bimba di appena due anni che, separata da sua mamma, di braccia in braccia, veniva trasbordata a bordo della Life support per essere messa in salvo. Aveva gli occhi sgranati, disperati, pieni di mille paure che raccontavano il dramma della sua tenera mente, della sua anima innocente. L’ho poi rivista scendere dalla scala reale della Life support, nel porto sicuro, accompagnata dalla sua mamma, entrambe con un timido sorriso ci hanno salutati. Questi momenti rimarranno impressi nella mia mente per sempre.
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