
La mancanza di dati ufficiali è un problema per il controllo del mercato legale di animali, soprattutto per le catture di quelli selvatici.
Da millenni le piante vengono usate per le loro doti medicinali. Molte conoscenze però sono state tramandate solo nelle lingue indigene ormai in disuso.
Ci sono lingue che accomunano centinaia di milioni di persone, come il cinese mandarino (921 milioni di madrelingua) o lo spagnolo (471 milioni). C’è la lingua franca per eccellenza, l’inglese: sommando i 369,9 milioni di madrelingua con tutti coloro per cui è la seconda e terza lingua, si arriva a 1,35 miliardi di persone. Ma c’è anche molto altro. I membri dell’etnia Hmong nell’Himalaya comunicano fischiettando, così come un’altra settantina di popoli. Solo in Amazzonia si contano 330 idiomi, inclusi quelli dei Parintintin, dei Kanoe, dei Matipu e di altri popoli indigeni formati ormai da poche decine di persone. L’Unesco conteggia circa 6.500 lingue nel mondo, ma oltre 2.700 sono in pericolo. Se le lingue indigene spariranno per sempre, rischiano di far scivolare nell’oblio anche le conoscenze ancestrali dei loro popoli. Tra loro ci sono anche le proprietà delle piante medicinali.
Un nuovo studio scientifico prende in esame le 12.495 proprietà medicinali riconosciute nelle piante, associandole alle 230 lingue indigene parlate in tre regioni che godono di una ricca biodiversità tanto culturale quanto naturale. Queste regioni sono il Nordamerica, l’Amazzonia nord-occidentale e la Nuova Guinea. Nel complesso, i tre quarti di queste virtù medicinali sono note esclusivamente in una lingua. Ciò accade soprattutto in Amazzonia, dove si raggiunge una percentuale del 91 per cento, mentre in Nuova Guinea si attesta sull’84 per cento e nel Nordamerica sul 73 per cento. Il problema però sta nel fatto che la stragrande maggioranza di questi idiomi (o addirittura la totalità, come accade in Amazzonia) rischi di scomparire. Deprivando l’umanità di un preziosissimo patrimonio di conoscenze.
Alla scomparsa delle lingue indigene l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha dedicato prima il 2019 e poi l’intero decennio 2022-2032, assegnando all’Unesco il compito di coordinare i lavori da parte della task force istituita ad hoc. La risoluzione sui diritti dei popoli indigeni adottata nel mese di dicembre 2019 esprime “profonda preoccupazione” per “il grande numero di lingue in pericolo, in particolare lingue indigene”, sottolineando “l’urgente necessità” di preservarle, promuoverle e rivitalizzarle. A tracciare la via per il decennio che sta per cominciare è la dichiarazione di Los Pinos. Facendo perno sullo slogan “niente per noi senza di noi”, il documento mette nero su bianco il diritto dei popoli indigeni “alla libertà di espressione, all’educazione nella loro lingua madre e alla partecipazione alla vita pubblica usando il loro idioma”.
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