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Lining Yao, la designer che si ispira alla natura per rivoluzionare la moda outdoor
Dal Massachusetts Institute of Technology arriva un’innovazione tecnologica che applica la biologia al design. A parlarcene è stata l’ideatrice Lining Yao.
La natura può contribuire a trasformare l’industria tessile e dell’abbigliamento non solo fornendo la materia prima per la produzione di tessuti naturali ma anche fungendo da fonte di ispirazione per la realizzazione di prodotti più performanti e innovativi. “Utilizzare la vita per ricreare la vita“: questo è il concetto alla base della ricerca condotta dalla designer e docente di Human computer interaction, Lining Yao, all’interno del progetto bioLogic lanciato dal Tangible media group del Massachusetts institue of technology (Mit).
Durante un incontro organizzato a Milano da Meet the media guru, piattaforma dedicata all’innovazione e alla cultura digitale, la designer ha raccontato che “la biologia e la natura sono la miglior fonte di ispirazione per il design degli oggetti quotidiani. Basta pensare a certe macro strutture della materia come gli alveari, o al concetto mimetico proprio di molti animali, o a materiali che si espandono e si stringono con l’acqua come le pigne, o che si aprono e si chiudono con la luce come i fiori”. Da qui nasce il progetto che unisce biologia, tecnologia e design con l’intento di “creare oggetti d’uso programmabili, smart responsive, adattabili e trasformabili trasportando nel mondo artificiale il concetto dei materiali intelligenti che ci sono in natura, la loro capacità di comportamento e di generare emozioni”.
L’invenzione di Lining Yao per l’abbigliamento outdoor
Sperimentando con degli attuatori nano-viventi, nonché batteri bacillus subtilis presenti nel suolo e nelle piante, la designer ha dato vita alla t-shirt Second skin dotata di piccole fessure inserite nella trama del tessuto che sono in grado di aprirsi e chiudersi a seconda del calore sprigionato dal corpo. Posizionate in corrispondenza delle spalle e di altre zone particolarmente predisposte alla sudorazione, le fessure vengono innestate proprio dai batteri coltivati in laboratorio e applicati al tessuto attraverso un sistema di biostampa a risoluzione micronica.
“I batteri rispondono al sudore e alla luce, sono programmabili con multifunzioni, geneticamente modificabili per interagire con i materiali artificiali e credo abbiano una notevole potenzialità nel ridefinire certe funzioni degli oggetti di design”. Insomma, l’impiego di queste cellule viventi potrebbe rappresentare un’importante risorsa per l’industria della moda outdoor garantendo capi più traspiranti e adeguati allo sport e alle attività all’aria aperta.
Oltre la moda, altri scenari possibili
Nonostante la funzionalità di Second skin sia stata più volte testata da ballerini e atleti professionisti, attualmente l’utilizzo dei batteri è ancora in fase progettuale. Ciò che manca, per esempio, è un sistema che permetta di fissarli al tessuto in maniera tale da non comprometterne le performance dopo i lavaggi dei capi.
Come ha sottolineato Lining Yao, infatti, “molta sperimentazione del Mit non è pronta per il mercato ma apre nuove frontiere dell’innovazione in tanti campi, dallo sport che vede nei materiali responsive molte nuove opportunità, ai pannelli solari dove la capacità di ‘self folding’, ovvero di ripiegarsi e impacchettarsi da soli a seconda della luce e della temperatura, sarebbe utile anche soltanto per ridurne il volume e facilitarne il trasporto. Esattamente come stiamo sperimentando sui cibi: forme piatte che con l’acqua, la luce o il calore sono capaci di prendere una forma predeterminata. In termini di packaging e ingombro può far risparmiare il 60 per cento, per questo molti settori industriali sono fortemente interessati alle nostre ricerche che si ispirano alla biologia e alla natura” applicate alla tecnologia. Per la progettazione di oggetti intelligenti che renderanno le nostre vite sempre più confortevoli e hi-tech.
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