L’Italia prepara la stretta sui Pfas nelle acque potabili. Ma si può fare di più

In un nuovo decreto previsti limiti più stringenti per queste molecole chimiche eterne, ma ancora superiori a quelle indicate dalle agenzie ambientali.

  • Arriva in Senato il decreto legislativo che introduce limiti più stringenti la presenza dei composti chimici nelle acque.
  • I nuovi limiti prevedono 20 nanogrammi per litro per 4 molecole tra le più nocive.
  • Si tratta però valori massimi ancora insufficienti secondo l’Efsa e l’Agenzia europea per l’ambiente.

Limiti più stringenti, finalmente, per l’inquinamento da Pfas, composti chimici utilizzati in numerosi processi industriali e prodotti di largo consumo, noti per la loro persistenza nell’ambiente, sono infatti conosciuti come conosciuti come forever chemicals, e i potenziali effetti sulla salute umana.

Con il nuovo decreto legislativo varato dal governo qualche giorno fa e ora arrivato al Senato, l’Italia si propone di adottare misure più restrittive per regolare la presenza di Pfas nelle acque destinate al consumo umano, allineandosi alle direttive europee. Anche se per associazioni ambientaliste come Greenpeace, “si può ancora migliorare”. Il decreto introdurrà un limite alla presenza di Pfas nelle acque potabili di 4 molecole pari a 20 nanogrammi per litro. Il nuovo valore limite riguarda la somma di 4 Pfas, ovvero molecole (Pfoa, Pfos, Pfna e Pfhxs) di cui è già nota la pericolosità per la salute umana, tra cui la cancerogenicità in particolare per Pfoa e Pfos.

Tutti i limiti (contrastanti) sui Pfas nelle acque

Il limite di 20 nanogrammi per litro andrà ad aggiungersi a quello fissato dall’Unione europea, pari a 100 nanogrammi per litro ma calcolato sulla somma di 24 molecole, che entrerà in vigore in Italia dal 12 gennaio 2026. Un limite che però l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) e l’Agenzia europea per l’ambiente considerano troppo lasco, inadeguato per proteggere la salute umana.

Il nuovo limite è uguale a quello introdotto in Germania, anche se, ricorda Greenpeace, “ben lontano da valori più cautelativi per la salute umana introdotti da altri Paesi come la Danimarca (2 nanogrammi per litro) o la Svezia (4 nanogrammi per litro)”.

I Pfas sono stati associati a una serie di problemi di salute, tra cui alterazioni del sistema immunitario, disturbi ormonali e aumento del rischio di alcune patologie. Inoltre, la loro persistenza nell’ambiente li rende difficili da eliminare, con il rischio di contaminazione a lungo termine delle falde acquifere. In Italia sono diversi i procedimenti aperti contro aziende accusate di non aver rispettato gli obblighi, rilasciando nei suoli e nelle acque quantità di Pfas sopra i limiti consentiti, come la ex Solvay e Miteni.

L’adozione di questi nuovi limiti imporrebbe quindi un cambio di rotta nella gestione delle risorse idriche, con l’introduzione di sistemi di filtraggio avanzati e un maggiore monitoraggio della qualità dell’acqua. Il decreto stabilisce inoltre che le informazioni sulla presenza di Pfas dovranno essere comunicate in modo trasparente ai cittadini, anche attraverso bollette e strumenti digitali. L’attenzione pubblica e la pressione da parte della comunità scientifica e delle associazioni ambientaliste continueranno a giocare un ruolo chiave nel determinare le prossime mosse della politica ambientale. Secondo Greenpeace infatti “se è vero che il provvedimento rappresenta un risultato importante per la tutela della salute di cittadini e cittadine, le forze politiche devono al più presto trovare un accordo per ridurre ancora di più i limiti consentiti avvicinandoli all’unica soglia sicura, lo zero tecnico”. L’obiettivo finale, dunque, è “che arrivi al più presto a una legge che vieti l’uso e la produzione dei Pfas”.

Lo stesso auspicio fatto in questi giorni dall’altra grande associazione ambientalista italiana, Legambiente, nel seguire da vicino gli sviluppo del processo a Miteni, che procede spedito con le udienze verso la sentenza di primo grado: da qui al 15 maggio sono ben 7 le sedute programmate per ascoltare le difese degli imputati, 15 manager dell’ex stabilimento chimico di Trissino, in provincia di Vicenza, su cui pende l’accusa dello sversamento di sostanze perfluoroalchiliche nella falda sottostante al sito dell’azienda. Legambiente, che è parte civile nel processo, è intervenuta in aula il 20 marzo chiedendo “ecogiustizia e un futuro libero dai veleni. Da oltre dieci anni denunciamo con vertenze, azioni e manifestazioni l’inquinamento da Pfas e il diritto negato alla salute e a un ambiente salubre”.

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