I dati emersi dall’ultimo rapporto Ismea, l’ente pubblico che analizza il mercato agro-alimentare, ci obbligano a riflettere sul costo del cibo e su come buona parte del prezzo pagato non arrivi agli agricoltori.
Parmigiano Reggiano, delizia di latte crudo che racconta il territorio
È un prodotto storico, eccellenza e simbolo del made in Italy alimentare. Il Parmigiano Reggiano mette in tavola i sapori del luogo d’origine, un territorio grande se visto dall’Italia, ma estremamente piccolo e specifico se visto in un’ottica globale.
È il formaggio italiano più conosciuto (e imitato) al mondo. Da oltre 800 anni il Parmigiano Reggiano è fatto con latte vaccino crudo, senza alcun additivo e con una stagionatura di almeno un anno. In occasione di Cheese 2017, edizione dedicata proprio al latte crudo, abbiamo intervistato il direttore del Consorzio del Parmigiano Reggiano, Riccardo Deserti.
Questa edizione di Cheese è dedicata ai formaggi a latte crudo, che in alcuni paesi, di tanto in tanto, sono al centro di polemiche da parte di chi ritiene che vadano fatti solo con latte pastorizzato, perché altrimenti potrebbero creare problemi igienico sanitari. Eppure, come ci ha ricordato Carlo Petrini, il Parmigiano Reggiano è fatto così da molti secoli. Avete mai avuto problemi sotto questo aspetto?
In Italia no, perché abbiamo un’esperienza che si tramanda di generazione in generazione che ci insegna che non c’è alcun problema se il formaggio è stagionato. Negli Stati Uniti c’è la lobby dei formaggi industriali che ha interesse ad evocare presunti rischi legati al latte crudo, per questo credo sia veramente molto importante il lavoro fatto in questi anni da Cheese, soprattutto in questa edizione in cui il paese partner sono proprio gli Stati Uniti.
Anche lì ci sono piccoli produttori artigianali di formaggi a latte crudo, e l’obiettivo è far capire ai consumatori americani che questi non comportano nessun rischio per la salute se si seguono i metodi produttivi tradizionali e corretti. In questo modo ne hanno vantaggio anche i produttori italiani che esportano negli Usa i loro formaggi di qualità, legati al territorio e senza fermenti aggiunti.
La minaccia evocata periodicamente negli Stati Uniti (ma fenomeni del genere poi potrebbero propagarsi anche in altri mercati) è quella di introdurre dei divieti sui formaggi a latte crudo per presunti rischi per la salute umana. Cosa che la tradizione millenaria del nostro prodotto, e di tanti altri dell’eccellenza italiana ed europea, dimostra non essere un problema.
Ricordo infatti che la stagionatura oltre i sessanta giorni esclude ogni rischio per il consumatore, e anche per i formaggi molto freschi non si parlerebbe in ogni caso di rischi gravi per la salute. Nel caso del Parmigano Reggiano la stagionatura minima è di 12 mesi, ma nella media è di 24 e oltre.
Ci ricordi dove viene prodotto il Parmigiano Reggiano.
Il territorio abbraccia completamente le province di Parma, Reggio Emilia e Modena; e sottolineo che c’è sia la componente della pianura che quella della montagna. C’è poi una parte della provincia di Bologna (la zona sinistra Reno) e una parte della provincia di Mantova (destra Po). Questo è il territorio; grande se lo guardiamo dall’Italia ma estremamente piccolo e specifico se lo vediamo in un’ottica globale.
E quali sono le caratteristiche che distinguono il Parmigiano Reggiano da formaggi “simili”?
I punti distintivi sono: l’uso del latte crudo e il fatto che non si possano usare additivi chimici per la fermentazione. Questo perché le vacche possono mangiare solamente fieno ed erba (integrata con mangimi in grado di bilanciare l’apporto dei vari nutrienti della dieta – ndr), quindi sono vietati i foraggi insilati, che, per la contaminazione delle spore che avviene con la fermentazione, richiederebbero poi l’uso di tecniche industriali o l’aggiunta di additivi per contrastare le fermentazioni anomale.
E per quanto riguarda le caratteristiche organolettiche, come si differenziano i vari tipi di Parmigiano Reggiano?
Sono proprio le differenze a renderlo unico. Non possiamo dare un giudizio a priori e dire qual sia il migliore. Ce ne sono tanti. Noi invitiamo il consumatore, che magari conosce il Parmigiano Reggiano solo di una certa stagionatura o di un determinato caseificio, o di una certa zona (montagna o pianura, di Parma o bolognese…) a provare ad assaggiarne anche altri.
È chiaro che con una stagionatura più elevata si raggiungono degli aromi, delle intensità di sapore che sono molto più spiccate. I formaggi giovani sono nettamente più dolci, hanno più aromi lattici. È difficile classificarlo in maniera univoca. Il migliore è quello che piace di più a seconda dell’uso che se ne fa (come ripieno, da pasto, a scaglie…)
Ci sono produttori biologici all’interno del Consorzio del Parmigiano Reggiano?
La produzione biologica è uno dei trend importanti. Su una produzione annuale di 3.500.000 forme siamo quasi a centomila forme di biologico. Apparentemente è poco, perché parliamo di un 3 per cento, ma in quantità assoluta centomila forme di Parmigiano, con tutto il latte necessario, significano numeri molto più grandi già di diverse Dop italiane. Questo dimostra l’importanza di un fenomeno in crescita, trainato molto dei mercati esteri.
Cosa avete presentato a Cheese 2017?
Sono presenti qui otto caseifici. Per noi questa è una ribalta importante sulla quale ognuno viene a raccontare la propria storia; perché è importante raccontare le differenze che esistono dentro il formaggio: la mano e il lavoro casaro e degli allevatori che reggono questa filiera sono parte della comprensione dell’unicità del prodotto. E tutti i 330 caseifici del consorzio del Parmigiano Reggiano lavorano su basi artigianali.
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