Greenpeace ha esaminato quasi 4mila analisi sull’acqua ad uso potabile potabile condotte in Lombardia dal 2018 in poi: il 18,9 per cento rileva i Pfas.
L’unità investigativa di Greenpeace Italia ha esaminato le analisi condotte su quasi 4mila campioni di acqua ad uso potabile in Lombardia.
Il 19,8 per cento conteneva Pfas, sostanze chimiche artificiali nocive per la salute.
Non sempre è specificato se si tratti di acqua di pozzo o di acqua che esce dai rubinetti.
La replica dei gestori del servizio idrico: “L’acqua che esce dai rubinetti non è affatto pericolosa”.
Nell’acqua ad uso potabile in Lombardia ci sono i Pfas, sostanze che provocano innumerevoli danni alla salute umana. E non stiamo parlando di episodi occasionali ma di una contaminazione evidenziata nel 18,9 per cento di quasi 4mila analisi condotte dal 2018 in poi. Quasi una su cinque. È quanto emerge dalla prima indagine sul tema, condotta da Greenpeace Italia. Ma i gestori del servizio idrico integrato replicano: “L’acqua che esce dai rubinetti non è affatto pericolosa”. La contaminazione, sostengono, sarebbe nelle acque grezze di falda, quindi prima del trattamento di potabilizzazione.
Cosa sono i Pfas e quali danni provocano
I Pfas (composti poli e perfluoroalchilici) sono migliaia di sostanze chimiche artificiali, largamente usate dall’industria perché rendono i materiali impermeabili all’acqua e ai grassi. Negli ultimi decenni sono stati usati nella fabbricazione di innumerevoli prodotti di largo consumo, tra cui capi di abbigliamento antipioggia, padelle antiaderenti, imballaggi in carta.
Vengono chiamati forever chemicals, sostanze chimiche eterne, perché non si degradano nell’ambiente e si accumulano nell’organismo. Ed è qui il fulcro del problema. Perché gli studi scientifici condotti nel tempo li hanno associati a una lunga serie di conseguenze negative sulla salute, tra cui danni alla tiroide, al fegato, al sistema immunitario, alla fertilità e allo sviluppo fetale, oltre che forme tumorali. Nonostante ciò, in Italia – paradossalmente – non c’è una legge che vieti di produrli e usarli. E i Pfas non sono nemmeno tra i parametri obbligatori da monitorare nell’acqua potabile.
Cosa emerge dall’analisi di Greenpeace Italia
Sappiamo che la contaminazione da Pfas in Italia è la più estesa d’Europa. Ma quanto sono presenti nelle acque lombarde e dove? E i cittadini ne sono consapevoli? Per rispondere a queste domande, tra ottobre 2022 e gennaio 2023 l’unità investigativa di Greenpeace Italia ha inviato numerose richieste di accesso agli atti alle Ats (Agenzie di tutela della salute) e agli enti gestori delle acque lombarde.
Hanno quindi potuto visionare e rendere pubbliche, per la prima volta, circa 4mila analisi effettuate sui campioni di acqua destinata a uso potabile. Nel 18,9 per cento sono stati rilevati Pfas. In molti casi, non è possibile sapere se l’acqua prelevata sia di pozzo oppure se sia immessa nella rete post trattamento (cioè se sia quella che finisce nei rubinetti di casa). Nel primo caso il dato sarebbe meno preoccupante, perché sarebbe precedente ai trattamenti di potabilizzazione. Nel secondo caso, i cittadini lombardi avrebbero bevuto acqua con presenza di Pfas e l’avrebbero usata per cucinare, irrigare i campi e i giardini. Greenpeace sostiene che le autorità, conoscendo questi dati, non abbiano ritenuto opportuno avviare campagne informative rivolte alla popolazione.
La prima mappa che mostra i Pfas nell’acqua ad uso potabile in Lombardia
Greenpeace Italia ha ricevuto le analisi realizzate tra il 2018 e il 2022 su quasi 4mila campioni. Ben 738 contenevano Pfas: stiamo dunque parlando del 18,9 per cento. Una stima parziale, perché le analisi sono state consegnate solo da alcuni comuni e, anche quando esistono, raramente sono capillari e sistematiche.
La maglia nera spetta alla provincia di Lodi, dove i Pfas sono stati rilevati nell’84,4 per cento dei campioni. Completano il podio le province di Bergamo e Como, a quota rispettivamente 60,6 per cento e 41,2 per cento. La provincia di Milano è a metà classifica con il 20,8 per cento di campioni contaminati (uno su cinque), ma in termini numerici è al primo posto, perché le analisi effettuate sono ben 966, contro le 46 di Lodi, le 213 di Bergamo e le 68 di Como.
I valori più elevati sono stati registrati nei comuni di Crema (1.386 nanogrammi per litro a settembre 2021), Crespiatica, in provincia di Lodi (1.146 a settembre 2021 e 1.020 a maggio 2022) e Pontirolo Nuovo, in provincia di Bergamo (1.014 ad agosto 2022). Il primo valore che fa espressamente riferimento ad acqua di rete è sempre a Pontirolo Nuovo, con 559 nanogrammi per litro a settembre 2022. Nel comune di Milano, i Pfas sono rilevati nel 31,1 per cento dei 367 campioni, soprattutto nelle aree di Crescenzago, Cantore, Anfossi, Assiano, Lambro e via Padova.
La replica delle aziende che gestiscono l’acqua pubblica: “È una fake news”
Subito dopo la pubblicazione dei dati di Greenpeace è arrivata la durissima replica di Water Alliance, la rete che unisce tredici aziende pubbliche del servizio idrico integrato in Lombardia. “È mio dovere rassicurare i cittadini lombardi, turbati da una clamorosa fake news. L’acqua che esce dai rubinetti della nostra regione non presenta alcun rischio per la salute”, afferma il portavoce Enrico Pezzoli.
I dati forniti dai tredici gestori del servizio idrico lombardo, sostiene, sarebbero stati “completamente travisati” perché si riferiscono “quasi esclusivamente alle acque grezze di falda. È però un grossolano errore confondere quest’acqua con quella che tutti noi beviamo! Prima di arrivare al rubinetto, come dovrebbe essere noto, essa viene infatti sottoposta a trattamenti di potabilizzazione precisamente regolati dalle norme in vigore”, continua. In particolare, spiega, per agire sui Pfas la quasi totalità delle acque viene trattata con sistemi di filtrazione a carboni attivi, sebbene i limiti di legge per queste sostanze non siano ancora entrati in vigore.
“Siamo sconcertati di fronte all’insinuazione che l’acqua da noi portata nelle case sarebbe pericolosa: è un messaggio sbagliato e fuorviante”, conclude Pezzoli. “Al contrario, bisogna incentivarne il consumo da parte dei cittadini: l’acqua del rubinetto è perfettamente sicura e contribuisce a ridurre sia il consumo di plastica, sia la spesa delle famiglie”.
Anche la regione Lombardiaribatte. descrivendo il proprio servizio idrico come “uno dei più efficienti e garantiti dell’intero paese”. “Dal 2016 al 2019 si sono realizzati investimenti per un totale di 1,5 miliardi di euro”, spiega l’assessore per l’Utilizzo della risorsa idrica, Massimo Sertori. “Nel triennio 2020-2023 gli interventi programmati ammontano a 2,2 miliardi dei quali buona parte sono già stati posti in essere. Per quanto attiene l’intera filiera dell’acqua potabile dalla fonte fino ad arrivare all’erogazione, i controlli e le analisi sono esercitati sia dalla società di gestione sia dall’Ats (Azienda Sanitaria) in modo molto puntuale e rigido”.
Di fronte alle polemiche, l’organizzazione ambientalista replica: “Greenpeace ha diffuso solo i dati che gli enti stessi hanno consegnato, usando la stessa dicitura ‘acqua a uso potabile’ che gran parte degli enti interpellati ha utilizzato. Se i gestori non hanno nulla da temere possono cominciare fin da subito a rendere disponibili alla collettività, e in modo trasparente, tutti i dati relativi alla presenza di Pfas nelle acque a uso potabile, cosa che oggi non sempre avviene. Sarebbe inoltre opportuno che gli enti pubblici si sforzassero di individuare la provenienza dei Pfas in concentrazioni elevate, adottando tutti i provvedimenti necessari”.
Quale concentrazione di Pfas può essere considerata sicura
I livelli di Pfas riscontrati in Lombardia, sottolinea Greenpeace, sono quasi ovunque inferiori a quelli registrati in Veneto nel 2013, quando scoppiò l’emergenza legata all’inquinamento rilasciato dalla fabbrica Miteni. Ma fino a che punto essere considerati sicuri? Su questo tema il dibattito è ancora aperto.
Al momento, in Italia non è vietato produrre e usare i Pfas. Dopo lo scandalo in Veneto, il ministero della Salute ha individuato come valore massimo nelle acque destinate al consumo umano i 300 nanogrammi per litro per i Pfos e i 500 ng/l pe Pfoa e altri Pfas, mentre l’Istituto superiore di sanità ha raccomandato di non superare i 500 ng/l per Pfba e Pfbs. La direttiva europea 2020/2184 pone invece un valore soglia di 100 nanogrammi per litro per la presenza complessiva di 24 di queste sostanze (che, ricordiamo, sono migliaia). L’Italia attua questa direttiva attraverso il decreto legislativo 18/2023 che è stato approvato a febbraio di quest’anno ma entrerà in vigore solo a partire dal 2026. Tra i campioni esaminati da Greenpeace, 75 superano la concentrazione di 100 nanogrammi per litro. Circa una quindicina fanno esplicito riferimento ad acqua immessa in rete o dopo il trattamento.
Nel momento in cui saranno attive queste nuove soglie, i cittadini saranno pienamente tutelati? Greenpeace sostiene di no, facendo riferimento ai più recenti dati elaborati dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efas) e a quegli stati, come la Danimarca e gli Stati Uniti, che per alcuni Pfas hanno posto limiti molto più stringenti (rispettivamente 2 ng/l per Pfoa, Pfos, Pfna e Pfhxs e 4 ng/l per Pfoa e Pfos). Secondo l’organizzazione ambientalista, l’unico valore accettabile nell’acqua potabile è zero.
Rispetto alla sua prima versione, questo articolo è stato modificato per includere le precisazioni fornite successivamente da Water Alliance e regione Lombardia.
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