Oltre le mutilazioni genitali femminili

Oltre le mutilazioni genitali femminili

Le storie dei giovani che portano avanti un cambiamento profondo, attraverso il dialogo, la conoscenza e la gentilezza.

Tempo di lettura: 11 min.

La voce di Bitania Lulu Berhanu arriva calda e avvolgente mentre spiega che il suo compito, come direttrice del Y-Act movement, è quello di impegnarsi e assicurarsi che siano i giovani a guidare il cambiamento in Africa, costruendo le capacità per cambiare la politica e la percezione delle comunità rispetto ai diversi problemi che i vari contesti si trovano ad affrontare. Tra questi, la prevenzione e la lotta alle mutilazioni genitali femminili (Mgf) in Italia, che non sono solo una violazione dei diritti umani, ma anche una forma di violenza di genere che colpisce donne e ragazze nella loro sfera sessuale, sanitaria, individuale e sociale.

Sono 230 milioni le donne nel mondo che hanno subito questa pratica, effettuata in più di trenta paesi, e circa 4 milioni di bambine sono a rischio ogni anno.

L’inizio di un viaggio faticoso ma necessario

In occasione della Giornata mondiale di tolleranza zero alle mutilazioni genitali femminili, celebrata annualmente il 6 febbraio, si è tenuto presso il Parlamento europeo a Bruxelles l’evento ‘SPEAK up: voce alle giovani generazioni per la prevenzione delle Mgf’, in cui è stata data voce al progetto Y-Act italiano che, ispirato al movimento africano, ha l’obiettivo di prevenire e combattere le mutilazioni genitali femminili anche nel nostro paese.

I suoi protagonisti, in dialogo con dieci attiviste europee e africane, sono intervenuti a Bruxelles per raccontare l’attivismo e le iniziative del progetto a Roma, Milano, Torino e Padova, e presentare il Manifesto delle comunità per l’abbandono delle Mgf. “Forniamo ai giovani gli strumenti per sviluppare le capacità per fare advocacy e dialogo intergenerazionale”, spiega Bitania. “Loro creano maggiore consapevolezza sulle sfide e si impegnano per un mondo equo dal punto di vista del genere”.

Il progetto Y-ACT, nato nel continente africano, ha l’obiettivo di prevenire e combattere le mutilazioni genitali femminili anche in Italia, ed è cofinanziato dall’Unione europea (Cerv-Daphne), con capofila Amref Italia e come partner l’Associazione Le Reseau, il Coordinamento nazionale nuove generazioni italiane (Conngi) e l’Università di Milano Bicocca.

I giovani come leader del cambiamento

I giovani coinvolti nel progetto, con background migratorio e membri delle comunità target individuate, hanno un dialogo con i leader della comunità, quelli religiosi, ma anche con istituzioni, organizzazioni e servizi territoriali per influenzare le azioni politiche e legali sulle Mgf, continua a raccontare Bitania mentre la sala si riempie per l’evento.

Si tratta di rendere più consapevoli le differenti comunità, i singoli, che le Mgf sono pratiche dannose per le donne, che in futuro avranno complicazioni a livello di salute. E rendere i giovani dei leader del cambiamento che desiderano vedere nelle loro comunità.

Alle donne che sopravvivono è giusto ridare il potere di riappropriarsi della loro storia.

Un lavoro che negli anni ha portato a chiedere miglioramenti in Europa, con i diversi modelli sviluppati in Africa che sono stati presi come modello di apprendimento o di progetto anche in Italia. Il che significa che i diversi approcci che funzionano in Africa possono essere replicati anche in Europa, oggi più diversificata e caratterizzata da culture complesse e differenti tra loro, con le modifiche necessarie per adattarsi ai singoli contesti.

Per Bitania questo è l’inizio di un lungo viaggio, faticoso ma necessario, dove è fondamentale “comprendere da dove provengono le comunità che praticano le Mgf”, per dialogare, educare e creare maggiore consapevolezza sul fenomeno, ancora oggi stigmatizzato e di cui non si conosce la reale portata.

Gracefield Afanga è tra i giovani coinvolti nel progetto Y-Act © Lavinia Nocelli
Gracefield Afanga è tra i giovani coinvolti nel progetto Y-Act © Lavinia Nocelli

Gracefield Afanga è tra i giovani coinvolti nel progetto Y-Act. Sotto i riflessi di un placido sole racconta che ha iniziato a fare attività di sensibilizzazione per difendere i diritti delle donne e delle ragazze in Nigeria all’età di sedici anni. “Sono arrivata a Roma tre anni fa per studiare Global humanities alla Sapienza”, spiega, unendosi all’iniziativa di Amref dopo averne sentito parlare tramite passaparola. “Nonostante sia una pratica conosciuta, molte persone non ne conoscono i pericoli e gli effetti”, racconta. Una mancanza di consapevolezza che interessa anche i più giovani e che tiene viva la tradizione, che continua a essere effettuata tra pressioni sociali e scarsa informazione.

Severi verso la pratica, ma rispettosi verso la cultura

“Ne parlo con la mia famiglia, mia madre, che a sua volta ne parla con le amiche, che lo diranno ad altri”. spiega Grace, perché ognuno ha un suo ruolo nel cambiamento, e “dobbiamo iniziare da qualche parte”. Non è facile riformare la cultura, essendo parte integrante di quello che siamo. “Generazione dopo generazione questo è stato trasmesso”, continua Grace, “succede e basta, perché il livello di segretezza su questo argomento è molto alto. Le donne non hanno scelto volontariamente di sottoporsi a questo intervento, e dobbiamo essere gentili, severi verso la pratica, e allo stesso tempo rispettosi verso la cultura d’appartenenza”.

Gracefield Afanga è tra i giovani coinvolti nel progetto Y-Act © Lavinia Nocelli
Gracefield Afanga è tra i giovani coinvolti nel progetto Y-Act © Lavinia Nocelli

“Nessuno deve sentirsi sbagliato”, puntualizza Grace. “Mia madre è stata mutilata all’età di 5 anni dalla sua bisnonna”, è molto comune che sia uno della famiglia a farlo, “ma ha aspettato che crescessi per dirmelo perché sentiva che ero troppo giovane per comprendere, e che solo da adulta avrei potuto accogliere la sua vulnerabilità”. La speranza è avere un futuro con più diritti per le donne: sul loro corpo, che le protegga e le guidi. E una società sicura.

Sono 24 i Paesi dell’Africa sub-sahariana che hanno legiferato norme contro le mutilazioni genitali femminili, e nonostante in alcune aree si sia osservato un calo della pratica, questa rimane ancora largamente diffusa.

David Agbonifo © Lavinia Nocelli

Anche David Agbonifo studia Global humanities alla Sapienza, ed è grazie a sua madre che è venuto a conoscenza del progetto Y-Act, “sa che stavo facendo una ricerca sulle mutilazioni”, spiega sotto un cielo cupo che minaccia pioggia, ed è stato coinvolto. “È un processo più comune nei villaggi rurali che in città, a cui si assiste fin da piccoli. Soprattutto gli anziani sono favorevoli alla pratica, ma quando gli spieghi i problemi che ne derivano, il dolore, e le differenti conseguenze psichiche, capiscono che è qualcosa che deve cambiare”.

Ma quando gli spieghi i problemi che ne derivano, capiscono che è qualcosa che deve cambiare.

Si procede passo per passo, spiega David, perché le conseguenze non sono sempre note, “sia tra gli uomini, che tra le donne”. Oggi ci sono molti ragazzi che mettono in discussione questa pratica, pensiero che si scontra con quello degli anziani, “più legati alla tradizione”.

Gli uomini sono parte del movimento

Tante comunità non vogliono sentire un uomo che è contro le mutilazioni genitali femminili, e all’inizio è stato difficile: “Eravamo solo in due uomini nel gruppo di Roma”, in un contesto composto per la maggior parte da donne che avevano praticato o subito la pratica. “Lavorare al progetto mi ha fatto vedere le cose da una prospettiva diversa, in modo molto più vivido, come qualcosa appena letto in un libro. Ho capito che ci sono diversi problemi e controversie, molti uomini pensano che sia come una circoncisione maschile”, ma c’è molta più violenza, “e approfondendo il tema ho capito come avvicinarmi e convincerli che questa è una pratica che dovremmo combattere, non sostenere”.

Gran parte delle comunità in Africa si basa su strutture patriarcali, “ciò significa che le leggi, le usanze e le tradizioni praticate sono per lo più create da uomini che in realtà non capiscono i pericoli di questi stili e tradizioni che hanno messo in atto, e che dovrebbero essere attuate con le donne”.

I giovani legati al progetto non sono i leader di domani, ma di oggi, specifica David, perché sono la soluzione per affrontare ed eliminare le mutilazioni genitali femminili.

Oltre le mutilazioni genitali femminili, Esraa Newir © Lavinia Nocelli/LifeGate
Esraa Newir © Lavinia Nocelli/LifeGate

Consapevolezza, non vittimizzazione

Esraa Newir soffia su una tazza di thè bollente cercando di raffreddarlo. Milano è stretta in una morsa gelida che non lascia spazio neanche alla luce del giorno, soffocata dal grigiore degli ultimi scoppi d’inverno prima dell’arrivo della primavera.

“Nella mia famiglia diverse donne sono state praticate. Lo facevano per credenza religiosa”, spiega. “Si pensava che l’Islam incoraggiasse la cosa, ma poi hanno scoperto che non era così”. Esraa, studentessa d’ingegneria delle tecniche per la salute all’Università di Bergamo, spiega che sua madre non prova rabbia, “così come le altre donne della prima generazione con cui ho parlato. Io la proverei, ma è importante non etichettare le persone che l’hanno subita come vittime”. Perché non tutte si sentono tali.

“Sanno che è sbagliato, e non la portano più avanti. Molte donne riescono anche a vivere una vita sessuale tranquilla, perché ci sono molte tipologie di Mgf. Non tutte hanno le stesse conseguenze”, spiega Esraa dietro i suoi occhi scuri.

Il cambiamento deve passare attraverso la consapevolezza, una coscienza della tradizione profonda.

Oltre le mutilazioni genitali femminili Esraa Newir © Lavinia Nocelli/LifeGate
Esraa Newir © Lavinia Nocelli/LifeGate

“Bisognerebbe avere degli spazi sicuri in cui le donne possano aprirsi ed esprimersi, e penso che quelle della prima generazione ne abbiano più bisogno perché sono completamente ignorate”. Favorire un dialogo ed un ascolto senza giudizio, perché chi pratica le mutilazioni non è pienamente consapevole dei danni che queste possono portare. Ma anche il linguaggio è importante: “in Egitto, dove si pratica a ridosso della pubertà, a dodici, tredici anni, la prassi viene chiamata طهارة (ṭahāra), che vuol dire purezza. Se non lo faccio c’è qualcosa che non va in me, sono sporca”, aggiunge Esraa. Ed è per questo che il cambiamento deve passare attraverso la consapevolezza, una coscienza della tradizione profonda. “Arriverà, piano”, ma arriverà.

Un attivismo di perseveranza gentile

Jasmina El Shouraky si accomoda al sole, il primo da giorni, appoggiando la schiena al muretto d’ingresso dell’Università Cattolica di Milano, dove studia psicologia. “È delicato come tema, e andrebbe affrontato con un attivismo di perseveranza gentile”.

Oltre le mutilazioni genitali femminili Jasmina El Shouraky © Lavinia Nocelli/LifeGate
Jasmina El Shouraky © Lavinia Nocelli/LifeGate

Bisognerebbe evitare di porre l’accento sulla gravità della pratica, perché corriamo il rischio di far sentire quelle donne meno di altre, o vittime e basta“, spiega Jasmina mentre si aggiusta il rossetto. “Ma rimane una violenza di genere”, e alle persone che sopravvivono è giusto ridare potere per riappropriarsi della loro storia, “mettendosi davvero in ascolto della comunità per capirla da dentro, analizzandola con occhi diversi”. Esistono altri modi per appartenere a una cultura, “senza restringere sessualmente una donna, ed è necessario decostruire l’immagine della sofferenza femminile”, perché ogni comunità vive le sue tradizioni in maniera differente.

L’Mgf è visto come un rito di passaggio in alcuni contesti, è festeggiato, e questo va tenuto a mente. Il senso di appartenenza deve trovare nuove strade che non implichino la sofferenza, “perché la donna è un soggetto libero”, non un oggetto.

Per questo bisognerebbe rompere il silenzio, parlare del fenomeno e dare spazio alle donne praticate, ma anche coinvolgere gli uomini.

“Perché se parliamo di diritti e non li includiamo è tutto inutile”, perché il cambiamento può essere attuato solo attraverso un discorso collettivo, che richiami tutti ad un processo attivo di trasformazione radicale.

Oltre le mutilazioni genitali femminili

Si possono seguire gli aggiornamenti del progetto Y-Act qui.