Silesia, la regione del carbone polacca in cerca di un futuro

Silesia, la regione del carbone polacca in cerca di un futuro

In Polonia le miniere chiudono, ma il carbone continua a essere la fonte energetica primaria. Tra scelte politiche discutibili e minatori poco tutelati, la Silesia sta ancora pagando il prezzo di una transizione energetica mal programmata.

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Con il supporto del Journalismfund Europe

Mani forti, carisma magnetico e lo sguardo fiero di chi per quarant’anni ha lavorato nella stessa miniera. In Polonia Andrzej Chwiluk è soprannominato il green coal miner, ovvero il minatore ambientalista. Dalle parti di Katowice, grigia città industriale situata nel bacino carbonifero dell’alta Silesia, non è necessariamente un complimento. Qui il carbone è religione. Sin dalla rivoluzione industriale il settore minerario ha garantito un lavoro a centinaia di migliaia di silesiani, sfamando intere generazioni.

A un certo punto però, il combustibile fossile che ha contribuito maggiormente allo sviluppo industriale della regione, è diventato la fonte energetica più inquinante, da abbandonare il più velocemente possibile. Dalla Cop24 di Katowice, la conferenza sul clima nella quale il mondo ha conosciuto la figura dell’attivista svedese Greta Thunberg e gli stati avevano cominciato a darsi le prime regole per rendere operativo l’Accordo di Parigi, la Silesia non sembra ancora aver imboccato la strada di una transizione energetica giusta e ben pianificata.

“So che il carbone non durerà a lungo – disse Andrzej Chwiluk nel dicembre del 2018, a pochi giorni dall’inizio della conferenza – ma non possiamo assolutamente rinunciarci nei prossimi 20 o 25 anni”. A distanza di sei anni, Chwiluk, ex presidente del gruppo sindacale Zzg Makoszowy, sembra aver cambiato idea. Oggi è uno dei pochissimi minatori a battersi per trovare un compromesso tra il Green deal europeo, che ambisce a un rapido phase out del carbone, e l’industria mineraria polacca, da sempre contraria alle politiche climatiche di Bruxelles.

“Sono favorevole ad abbandonare il carbone il prima possibile, ma a due condizioni: deve essere garantita la sicurezza energetica nazionale e ai minatori vanno offerte opzioni di reinserimento nel mercato del lavoro. Per evitare che finiscano per strada, come accaduto finora”.

Andrzej Chwiluk


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La dipendenza dal carbone complica la transizione polacca

In Polonia circa il 45 per cento del fabbisogno energetico nazionale proviene dalla combustione del carbone. Una pratica che contribuisce al rilascio in atmosfera di circa 150 milioni di tonnellate di anidride carbonica all’anno. In Europa, solo Germania e Italia emettono più della Polonia. Nonostante la notevole crescita dell’eolico e del fotovoltaico degli ultimi anni, anche la produzione di elettricità è fortemente dipendente dal carbone (60 per cento), il quale viene in buona parte importato da paesi come Sudafrica, Australia, Colombia e Indonesia.

“Estrarre il carbone in Polonia non è economicamente competitivo, è più conveniente importare da paesi extracomunitari dove la forza lavoro costa meno”.  

Bernard Swoczyna, analista del think tank Instrat

Secondo l’esperto di energia Marcije Giers dell’istituto Wise Europe, l’industria mineraria non realizza profitti ma sopravvive solo grazie ad ingenti sussidi statali. “Ma la verità è che non sarà facile sostituire il carbone velocemente”, puntualizza Giers in un caffè di Varsavia.

In Polonia l’abbandono del carbone è un tema parecchio divisivo. La data, stabilita da un patto stretto nel 2021 tra il governo e il sindacato dei minatori, è fissata al 2049. Poco prima del fatidico 2050, anno in cui l’Europa promette di conquistare la neutralità climatica. In Polonia spegnere le centrali significa chiudere anche le miniere. Le compagnie sono le stesse. “La data fissata dall’ex governo non è realistica, commenta Patryk Białas, attivista e membro del consiglio comunale di Katowice, estrarre e bruciare carbone non sarà più economicamente fattibile già a partire dal 2030”.

È sulla stessa lunghezza d’onda la nuova inviata del clima Urszula Zielińska, nominata il dicembre scorso dopo l’insediamento del governo europeista di Donald Tusk. Zielińska si è presentata a Bruxelles promettendo di ridurre le emissioni del novanta per cento entro il 2040 e anticipare il phase out del carbone.


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Il cortocircuito sul carbone metallurgico

In Silesia non viene estratto solamente carbone termico, ovvero quello utilizzato per la produzione di elettricità e calore. La regione è anche ricca di coking coal, un carbone metallurgico più pregiato e difficilmente sostituibile. È così importante da rientrare ancora nella lista delle materie prime critiche stilata dalla Commissione europea nel marzo del 2023. “Il bacino carbonifero della Silesia è l’unica area in Europa dove sono presenti depositi di coking coal, spiega Janusz Jureczka, presidente dell’Istituto geologico della Silesia. Ne produciamo circa 11 milioni di tonnellate all’anno, un terzo della domanda europea. Ci servirà anche dopo il 2049”.

Ne è convinto anche Jerzy Buzek, ex primo ministro dal 1997 al 2001, che aveva twittato: “Ci siamo riusciti! Il coking coal è rimasta una materia prima critica nell’Unione europea”. Ma è proprio durante il suo “programma di ristrutturazione del settore minerario” che furono chiuse oltre 22 miniere. Tra queste c’è il giacimento di Nowa Ruda, località collinare della bassa Silesia poco distante dalla Repubblica Ceca. “Fu una decisione politica”, commenta Edward Sledz, sindacalista della compagnia mineraria locale, “nonostante estraessimo del carbone essenziale per l’industria pesante, il governo non ci ascoltò e liquidò la miniera nel 2000”.


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I minatori abbandonati a loro stessi

All’inizio del nuovo millennio si contavano oltre 160 organizzazioni sindacali, con idee e interessi spesso contrastanti. I sindacati più influenti aprivano un canale privilegiato con i gruppi politici locali che grazie all’appoggio dei minatori potevano fare affidamento su un bacino di elettori notevole. Il risultato era una cooperazione di carattere clientelare che risparmiava dalla chiusura alcune miniere a discapito di altre.

“Durante il governo di Buzek il processo decisionale nel chiudere le miniere era paragonabile alla roulette”, ci racconta il sindacalista Jerzy Hubka nel suo ufficio nella miniera ottocentesca Makoszówy a Zabrze, paesino a una manciata di chilometri da Katowice. “Non venivano valutate le risorse minerarie oppure la profittabilità di una compagnia. Era diventato un gioco politico”.

Miniera di carbone di Makoszowska. La miniera è parzialmente chiusa. La miniera era una delle più importanti per il quantitativo di carbone estratto © Alfredo Bosco (Ronin)

Secondo Hubka, anche la Makoszówy, la compagnia mineraria per cui ha lavorato per quasi quarant’anni – fu chiusa nel 2016 per questioni politiche. “Nonostante fosse ricca di carbone metallurgico e avesse vinto il premio come miniera più sicura del paese, la prima ministra Beata Szydło decise di ignorare il nostro piano di salvataggio. Eppure durante le elezioni la definì come il cuore pulsante della Silesia”.

Ogni chiusura, accorpamenti aziendali e taglio al personale si traduceva in migliaia di posti di lavoro a rischio. Così Jerzy Buzek annunciò nel 1998 il primo pacchetto “paracadute” per i minatori licenziati o in esubero. Sostenuta anche dall’organizzazione sindacale Solidarność, la riforma doveva sostituire la fallimentare strategia basata sul blocco delle assunzioni. Mentre ai minatori più anziani la compagnia offriva la pensione anticipata, ai lavoratori più giovani fu proposta un’indennità di quarantamila zloty (circa diecimila euro).  Questi soldi sarebbero serviti ai minatori per aprire nuove attività o acquisire competenze per lavorare in altri settori.

“Tanti minatori li hanno sperperati comprando auto e vacanze”, afferma Jerzy Hubka, “poi alcol e depressione hanno preso il sopravvento, distruggendo molte famiglie. Si è registrato anche un numero elevato di suicidi”. A fine riforma (2002), costata circa 2,4 miliardi di dollari, il 35 per cento dei trentamila minatori che accettarono l’indennità non ha poi trovato lavoro. “Ancora oggi la maggior parte dei minatori non ha le conoscenze e gli strumenti per aprire un’attività imprenditoriale” commenta Andrzej Chwiluk, “sono spesso abbandonati a loro stessi”.


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Le città minerarie della Silesia provano a rinascere

Tra i progetti fallimentari di transizione giusta sentiamo spesso nominare Bytom, uno dei numerosi hub minerari che circondano Katowice. Una decina di anni fa episodi di edifici collassati non facevano neanche notizia. A causa dei tassi di disoccupazione triplicati, la città durante la seconda metà degli anni novanta si era velocemente spopolata. Oggi, camminando per le vie del centro, sono ancora visibili diversi edifici ottocenteschi abbandonati, quasi sul punto di crollare. 

In Polonia negli ultimi trent’anni sono state chiuse due terzi delle miniere e dagli oltre quattrocentomila lavoratori si è passati a poco più di ottantamila. Un lento ma inesorabile declino che ha sfilacciato il tessuto economico e sociale di numerosi centri urbani che prosperavano esclusivamente grazie al carbone. Dal 1999 al 2006 l’ondata di chiusure ha fatto schizzare il tasso di disoccupazione regionale al venti per cento, provocando una crisi economica in diverse città della bassa e dell’alta Silesia. Proprio come Bytom, anche Wałbrzych ha vissuto momenti bui. A seguito della raffica di chiusure nazionali iniziata nel 1995, oltre 14mila minatori persero il lavoro. Nonostante tassi di disoccupazione ancora alti, dopo vent’anni Wałbrzych mostra segnali di ripresa economica. Uno dei simboli di questo rinascimento è il Centrum Nauki i Sztuki Stara Kopalnia, la più grande attrazione turistica post industriale del Paese. Si tratta di una vecchia miniera di carbone riconvertita a museo d’arte dove si può ammirare la storia mineraria locale.

Nel 2022 la Commissione europea ha stanziato 2,4 miliardi di euro per supportare la transizione ecologica della Silesia e della Małopolska occidentale. Sono previsti finanziamenti per accelerare lo sviluppo di fonti energetiche pulite, riparare i danni ambientali causati dalle attività minerarie e decontaminare quasi tremila ettari. La sfida energetica che attende la Polonia rimane mastodontica.

Mentre a Katowice si chiedono tra quanto tempo le fonti rinnovabili sostituiranno il carbone, le miniere chiudono e nelle centrali elettriche si continua a bruciare il combustibile fossile più inquinante. Prima il carbone estraeva in casa, oggi, per questioni economiche e ambientali, si compra da Paesi extracomunitari. A breve, però, entrerà in vigore un sistema di tassazione chiamato Cbam, che penalizzerà l’importazione in Europa di prodotti ad alta impronta carbonica, tra cui il carbone.