Fino all’ultimo ruggito

Fino all’ultimo ruggito

Nel mondo si stima siano rimaste più tigri in cattività che in natura. E la crescente domanda di parti e sottoprodotti non fa che alimentare il mercato parallelo di questa specie, ormai in declino.

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“Ho provato ad entrare in una delle gabbie in cui si trovavano gli animali. E ho letteralmente pianto. Non c’era modo di girarsi, di alzare la testa, non c’era la possibilità di alimentarli o dare loro dell’acqua. Non c’era nulla lì. Se un animale viene trasportato in queste condizioni, non c’è altra intenzione se non quella di essere praticamente certi che muoia”. È stata questa una delle prime impressioni di David van Gennep, amministratore delegato di Animal advocacy and protection (Aap), ong internazionale che lavora per il benessere degli animali e che gestisce due santuari in Europa, una volta entrato in una delle gabbie in cui le dieci tigri partite dall’Italia sono state soccorse al confine tra Polonia e Bielorussia.

David van Gennep, direttore dell’organizzazione per il benessere degli animali Aap, con una delle tigri sequestrate durante il viaggio verso il Daghestan nel 2019 © Aap

Lo scorso ottobre 2019 infatti il nostro paese è salito agli onori della cronaca internazionale per un sequestro di tigri che sarebbero dovute giungere in uno zoo in Daghestan, repubblica della Federazione Russa. Un caso che ha aperto una profonda discussione tra il mondo animalista, la politica e l’opinione pubblica sulla gestione dei felini nati e cresciuti in cattività. Un caso che, secondo le associazioni animaliste, dimostra come esista in Europa un mercato più o meno sommerso di tigri vive e di loro derivati che alimenta il commercio illegale.

Un cucciolo di tigre siberiana (Panthera tigris altaica) © Elisabetta Zavoli

Una specie in pericolo

Nessuno sa esattamente quante tigri ci siano in Europa. Nonostante la tigre selvatica (Panthera tigris) sia considerata una specie a rischio di estinzione ed inserita nella Lista rossa delle specie a rischio della Iucn (Unione internazionale per la conservazione della natura), e quindi strettamente protetta, oggi si stima ci siano più tigri in cattività che in natura (Wwf “Tiger Traffic Europe”, dicembre 2020). All’inizio del secolo scorso si contavano circa 100mila tigri selvatiche, tuttavia nelle ultime tre generazioni la popolazione è diminuita di circa il 50 per cento e, secondo l’ultima stima, la popolazione mondiale si attesta in circa 3.900 individui (Sanderson et al., 2006; Fraser, 2010; Goodrich et al., 2015; Wwf, 2016). Perdita e frammentazione dell’habitat, ma soprattutto il bracconaggio, stanno mettendo a rischio uno dei simboli della “natura selvaggia”. Potente, temibile, inaccessibile.

Si stima che in natura siano rimaste solamente 3.900 tigri selvatiche

A livello globale sarebbero circa 8.000 le tigri allevate in cattività

Una tigre morta può valere fino a 40 volte il costo di una tigre viva

La mancanza di dati certi sul numero di tigri allevate in cattività, non permette alle autorità di avere un adeguato controllo sullo sfruttamento commerciale di questa specie, e questo non fa che alimentare il commercio legale ed illegale di tigri vive, ma anche di sottoprodotti come pelli, ossa, carne, soprattutto per coprire la domanda asiatica. Secondo una nostra fonte una tigre morta può valere fino a 40 volte il costo di una tigre viva.

I regolamenti internazionali

La tigre selvatica rientra nell’Appendice I della Convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e fauna selvatiche minacciate di estinzione (Cites), che ne vieta il commercio e mira a garantire che quest’ultimo non abbia implicazioni sulla sopravvivenza della specie. All’interno dell’Unione europea le tigri sono elencate nell’Allegato A dei Regolamenti sul commercio di fauna e flora selvatica, che generalmente vieta l’uso commerciale della specie; tuttavia si applicano alcune esenzioni per scopi educativi, di ricerca o di riproduzione, anche per quegli esemplari nati e allevati in cattività. 

Tigre siberiana
Una tigre siberiana (Panthera tigris altaica) © Elisabetta Zavoli

In Italia la tigre rientra tra le specie animali considerate pericolose per la salute e l’incolumità pubblica ai sensi dell’articolo 6 della legge 7 febbraio 1992, n. 150 e del Decreto ministeriale del 19 aprile 1996. La detenzione di esemplari di tali specie è quindi consentita solamente a strutture ritenute idonee dalle prefetture o a circhi e giardini zoologici. La loro movimentazione transfrontaliera deve essere autorizzata con il rilascio di licenze di importazione o esportazione (rilasciate dal ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale) o di certificati di riesportazione o spostamento, mentre il loro sfruttamento commerciale deve essere autorizzato con il rilascio di certificati rilasciati dai Nuclei Carabinieri Cites.

I conti che non tornano

Secondo i dati raccolti da Four Paws, associazione internazionale che lavora per il  benessere animale, nell’ultimo rapporto Europe’s second class tigers pubblicato a marzo 2020, il numero di tigri ufficiali all’interno del territorio europeo e presenti negli zoo, nei parchi faunistici e nei circhi sarebbe 913. “Questi numeri non rappresentano la realtà – scrive Four Paws nel rapporto – poiché 19 paesi (di cui 15 Stati membri dell’Ue) non sono stati in grado di condividere i numeri. Attraverso quanto riportato dai mezzi di informazione, i [nostri] monitoraggi e l’intelligence dei partner locali è chiaro che il numero effettivo di tigri in cattività in Europa è molto più alto”. 

Uno dei cuccioli nati nel 2020 al Parco Natura Viva © Elisabetta Zavoli

Se contiamo che solo nelle strutture accreditate all’interno dell’European association of zoos and aquaria (Eaza) erano registrati, nel 2018, 511 individui (suddivisi in 234 tigri siberiane, 119 tigri di Sumatra, 14 tigri malesi e 144 tigri ibride), e che solo nel nostro paese nelle strutture accreditate nell’Unione italiana zoo e acquari (Uiza) si contano 13 individui (con 3 nascite nel 2020, nel Parco Natura Viva di Verona), risulta piuttosto evidente che a livello europeo il numero esatto degli esemplari presenti nelle strutture accreditate, nei circhi e in altri centri faunistici, non sia completo.

Questo è uno dei più grandi problemi legati alla gestione della fauna esotica in Europa. Non tutti i paesi hanno dati aggiornati, e l’Italia li ha pesantemente incompleti.

Andrea Casini, Lav

La nostra inchiesta ci ha permesso di aggiornare i dati italiani: secondo l’allora ministero dell’Ambiente (oggi ministero della Transizione ecologica) infatti: “presso i giardini zoologici provvisti di licenza ai sensi del Decreto lesiglativo 73/05 sono ospitati 36 individui, mentre 39 individui sono ospitati presso giardini zoologici per i quali il rilascio della licenza è in corso di valutazione o in fase finale d’istruttoria”. Un totale di 75 tigri dunque. Un numero ancora piuttosto basso rispetto alle cifre stimate.

“Questo è uno dei più grandi problemi legati alla gestione della fauna esotica in Europa. Non tutti i paesi hanno dati aggiornati, e l’Italia li ha pesantemente incompleti”, spiega Andrea Casini, responsabile animali esotici della Lega antivisezione (Lav). “Le cifre tra il reale e i dati ufficiali si scosta di centinaia di esemplari. Semplicemente basandoci sui nostri archivi le tigri sarebbero almeno 160 nei circhi, senza contare tutte quelle presenti negli zoo italiani o in mano ai privati”. Secondo Casini si tratta di uno “scenario fuori controllo, qualsiasi cosa succeda agli animali non è conoscibile perché di fatto non esiste un registro unificato tra i vari soggetti controllori. Una gestione pressoché impossibile: non avendo dati precisi, si aprono le porte a quello che è il traffico di questa specie”. 

Proprio a seguito del sequestro avvenuto alla fine del 2019 tra il confine polacco e bielorusso, il ministero dell’Ambiente ha conferito al Raggruppamento Cites dell’Arma dei Carabinieri una ricognizione sull’esatto numero di tigri presenti sul nostro territorio. Secondo quanto riferito dal Capo della sezione operativa centrale e comandante del Nucleo Cites di Roma, nel nostro paese sono presenti 93 tigri (2 delle quali ibride tra leone e tigre) nelle strutture zoologiche, nei Centri di recupero e negli allevamenti. Mentre sarebbero solamente 68 quelle presenti nei circhi. Una discrepanza tra i numeri ufficiali e quelli stimati di almeno un centinaio.

La nostra (più recente) analisi

Secondo #WildEye, un tool sviluppato da Oxpeckers Investigative Environmental Journalism per il monitoraggio del traffico di specie selvatiche, Francia e Italia sono due dei principali punti caldi del traffico di tigri nel continente. Mentre le parti del corpo – pelle, ossa, denti, artigli e zampe – sono una merce popolare (e vengono principalmente inviate nel sud-est asiatico), questi animali sono principalmente tenuti come animali domestici esotici o per scopi di intrattenimento. Circhi o strutture ricreative (come quelle che offrono ai visitatori l’opportunità di scattare selfie o tenere in braccio i cuccioli di tigre) sono comuni in tutta l’Europa occidentale e orientale.



Sebbene i dati in nostro possesso siano costituiti da quasi il 50 per cento da sequestri, ci sono alcuni casi in cui questi hanno portato ad arresti e alla condanna. In Francia, ad esempio, la polizia ha sequestrato un cucciolo in un appartamento alla periferia di Parigi e il suo proprietario, un uomo di 30 anni che aveva cercato di vendere l’animale online, è stato condannato a sei mesi di reclusione. 

I risultati dell’inchiesta sono in linea con un’indagine di sei settimane condotta dal Fondo internazionale per il benessere degli animali (Ifaw) nel 2018: mentre gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno rappresentato la maggior parte delle vendite online, la Francia si è classificata al quarto posto, con quasi 400 annunci trovati, che costituiscono un totale del 5,4 per cento di tutti gli annunci monitorati.

Più recentemente, nel 2020, in Francia si sono verificati tre importanti sequestri. Nel primo, una coppia ha acquistato un cucciolo di tigre nel 2018. Successivamente si sono consegnati e dopo due anni di indagine, la polizia è riuscita ad arrestare nove persone in relazione alla vendita. Nel secondo caso, la polizia ha sequestrato tigri e leoni da un santuario chiamato Caresse de Tigre, rimasto aperto al pubblico tutto l’anno nonostante non avesse i permessi necessari per farlo (potevano essere aperti solo per sette giorni all’anno). Qui gli ospiti potevano nutrire gli animali con “formaggio Camembert e panna montata” e potevano pagare un extra per coccolare i cuccioli. Nel dicembre 2020, le autorità hanno sequestrato quattordici grandi felini e posto fine all’operazione.

Nell’ultimo incidente registrato sempre lo scorso anno, la polizia ha sequestrato dieci tigri del Bengala da un addestratore a Les Landrons. Il fatto è accaduto a seguito di una denuncia presentata mesi prima dall’ong One Voice. Si è poi scoperto che le tigri venivano tenute in gabbie troppo piccole e non potevano uscire in nessun momento della giornata.

Francia e Italia sono due dei principali punti caldi del traffico di tigri nel continente

In Francia, al Caresse de Tigre, gli ospiti potevano nutrire gli animali con “formaggio Camembert e panna montata”

Lo scorso anno, la polizia francese ha sequestrato dieci tigri del Bengala: gli animali venivano tenuti in gabbie troppo piccole e non potevano uscire in nessun momento della giornata

In Italia, in quattro anni, sono stati effettuati cinque sequestri. In uno di questi la persona coinvolta teneva una tigre in giardino, in pessime condizioni

In Italia invece, nel periodo 2014-2018, sono stati registrati 5 sequestri, di cui uno piuttosto emblematico: nel 2013 D.G.M è stato trovato in possesso di una tigre (ribattezzata Angela) nel suo giardino, in cattive condizioni. Quando l’animale è stato sequestrato dalle autorità, era “coperto di feci […] con acqua sporca e senza cibo […]”. D.G.M. è stato processato nel 2016 e successivamente condannato a pagare una multa di 18mila euro.

Mentre, secondo i dati più recenti (vedi tabella #WildEye) fornitici dal Nucleo Cites di Roma, tra il 2018 e il 2020, sono state esportate in Tunisia 4 individui, 10 in Russia (carico poi sequestrato al confine tra Polonia e Bielorussia) e altri 10 in Arabia Saudita. Durante lo stesso periodo sono stati effettuati altri 3 sequestri (2 nel 2019 e 1 nel 2020), tutti reati legati a problemi di identificazione dell’individuo.

Il caso polacco e il recupero delle tigri sequestrate

Nell’ottobre 2019 un carico di 10 tigri partito da Latina viene fermato alla dogana europea tra Polonia e Bielorussia per cinque giorni, in quanto sprovvisto dei documenti necessari per il proseguimento del viaggio. Una delle tigri viene trovata morta, mentre le altre nove mostravano chiari segni di sofferenza. La vicenda ha posto numerose questioni, dovute anche all’incongruenza dei documenti ufficiali: un viaggio in apparenza di 20,7 ore che è durato più di 60. La destinazione indicata, che in apparenza avrebbe dovuto essere uno zoo nel paese della Federazione Russa, che invece è risultata essere una ditta di trasporti russa, autorizzata al trasporto di carne e alcolici. Dove erano dirette dunque quelle tigri?

“Secondo noi questo è il tipico caso in cui diverse aspetti si uniscono tra di loro, dato che la comunità circense alleva costantemente animali”, spiega van Gennep. I cuccioli infatti possono essere impiegati per offrire servizi fotografici alle persone al costo di qualche decina di euro. “L’altro aspetto è che per avere una tigre che possa essere adeguatamente addestrata, c’è bisogno di un gran numero di animali tra cui scegliere. Quindi questo significa che c’è un surplus di giovani animali nei circhi, che alimenta un enorme scambio di esemplari”.

Non ho mai visto animali così spaventati e aggressivi come questi.

Davin van Gennep, Aap

Il caso ha portato la Lav a depositare una denuncia verso ignoti secondo il regolamento dell’Unione europea (Ce) n. 1 del 2005, “Sulla protezione degli animali durante il trasporto e le operazioni correlate”, nonché secondo il Decreto legislativo 25 luglio 2007, n. 151, che prevede le relative disposizioni sanzionatorie, vari articoli su standard e benessere animali e idoneità di trasporto, e presunte violazioni alle norme speciali che risulterebbero integrabili con i reati previsti e puniti dagli articoli 544 ter e 727del codice penale. Ad oggi sappiamo che l’udienza è stata posticipata a ottobre 2021, dopo un rinvio lo scorso febbraio 2021. 

Come stanno oggi le tigri sequestrate

“Non ho mai visto animali così spaventati e aggressivi come questi”, racconta van Gennep, che ha partecipato personalmente al recupero di cinque delle nove tigri, mentre le altre quattro sono state ospitate dallo zoo di Poznan, in Polonia, che fin da subito aveva partecipato al primo intervento e si era reso disponibile ad accoglierle. “E lo sono ancora”.

Oggi Merida, Aqua, Toph, Softi e Sanson si trovano nel Primadomus Wildlife Refuge a Villena, a circa 50 chilometri da Alicante. Le tigri stanno bene, sono costantemente monitorate e lentamente stanno recuperando una sorta di quotidianità all’interno della struttura. Mostrano ancora un’eccessiva aggressività nel momento in cui è necessario spostarle nei tunnel o in altri recinti “ma lo sarei anch’io dopo essere stato trasportato in quelle condizioni”, sottolinea van Gennep. “Sono animali molto giovani, ma abbiamo trovato numerose malattie in questo gruppo”. Molti di loro infatti sono positivi al virus Fiv (Immunodeficienza felina), simile al virus Hiv che può provocare l’Aids negli esseri umani. “Una malattia molto contagiosa che può eventualmente portarli alla morte”.

Un lavoro, quello del recupero, che ha impegnato il gruppo di keepers ben più di quanto ipotizzato. Al momento infatti la struttura ospita circa 35 grandi felini, ma le cinque tigri “occupano la metà della giornata lavorativa dello staff”, sottolinea van Gennep. “Alcune di loro si nascondono nella boscaglia e non le vediamo per giorni”. Segno che probabilmente soffrono ancora dell’esperienza vissuta ormai più di un anno fa.

Un cucciolo di tigre siberiana (Panthera tigris altaica) che gioca con la madre © Elisabetta Zavoli

Un’altra idea di cattività

Ma c’è chi ha un’idea diversa della cattività. In Italia esiste una struttura (che ha chiesto di rimanere anonima) all’interno della quale vengono allevate tigri ibride e altri felini, come previsto dalla legge, impiegati nei settori cinematografici, pubblicitari o per essere addestrati. In questa struttura sono presenti 18 tigri, più leoni ed altri felini (in totale 36 grandi felini). Visitandola ci si rende conto come gli animali abbiano stretto una relazione con gli addestratori e custodi. Sembrano in buona salute, attivi, non presentano segni di stress, sono addirittura avvicinabili sempre sotto l’egida dell’addestratore. Le gabbie sono a norma di legge (80 mq), anche se non presentano arricchimenti, naturali o artificiali che siano.

“Per il singolo non è importante sapere quante tigri ci siano. Il punto fondamentale è sapere a cosa servono queste tigri in cattività”, spiega Giacomo Ferrari, uno dei soci della struttura. Per l’addestratore, che lavora nel campo da più di dieci anni, la cattività ha essenzialmente due significati: il primo è quello di conservazione, ovvero serve per avere una linea genetica che permetta agli animali di rimanere in salute. Il secondo invece è legato alla divulgazione e all’opportunità di creare una sorta di conoscenza ed empatia nei confronti dei grandi felini. “La cattività deve avere un significato, ovvero quello di far appassionare la gente, di avvicinarsi a questo mondo e di far loro comprendere come un animale, tolto lo stress, la fame e la paura sia un animale come tutti gli altri e come tale vada rispettato”.

All’interno della struttura è possibile fare solo visite guidate per osservare da vicino i grandi felini. Mentre un leone alle nostre spalle ruggisce, il proprietario spiega la sua idea di addestramento. Un lavoro come un altro, che deve avere un ritorno economico. “La violenza non paga, perché non ci si guadagna”, racconta. “Chi ancora oggi usa violenza per addestrare gli animali semplicemente lo sta facendo contro il suo interesse economico perché viene da un retaggio antico”. L’addestramento così inteso non è solamente quello ludico, ma anche medico: le stesse tecniche vengono infatti utilizzate per il prelievo di campioni biologici, che veterinari e biologi possono impiegare per conoscere lo stato di salute degli animali o per condurre ricerche più approfondite. 

Conferma inoltre di essere in stretto contatto con il settore circense, con il quale scambia gli individui per avere un patrimonio genetico migliore. “Il mio interesse è far sì che i miei animali siano il più possibile sani, belli ed equilibrati”. Ma che ruolo ha dunque l’Italia nel commercio di tigri a livello internazionale? Il proprietario nega che il nostro paese sia coinvolto. “L’Italia non esporta tigri. Semplicemente perché non abbiamo un numero sufficiente per poter rifornire un mercato”. Francia, Germania, ma soprattutto l’Europa dell’est sarebbero i veri hotspot degli allevamenti. Resta il fatto che la domanda per i sottoprodotti e derivati da tigri continua a crescere, come confermato dagli ultimi rapporti e dai sequestri effettuati in questi ultimi anni.

Un addestratore cinese con le sue tigri in un circo privato presso Harbin, Cina © Kevin Frayer/Getty Images

Come agire dunque? “Ad oggi non è possibile fermare questo mercato perché la domanda è troppo alta”, sostiene. La strada è quella di fare in modo che le persone si appassionino agli animali e capiscano che è sbagliato pensare che un animale possa curarci. Questo è il segreto”.

Due cuccioli durante un momento di attività quotidiana © Elisabetta Zavoli

Perché dobbiamo aprire un dibattito

Le testimonianze, i dati e i casi raccolti mostrano che esiste una cultura ben radicata dell’allevamento di questa specie in Europa e che manca una reale rete di controlli, europea e internazionale, che possa contrastare l’illegalità. Apparati burocratici farraginosi, regole poco chiare o la semplice mancanza di controlli, non fanno che alimentare il mercato, legale o illegale che sia. Sono spesso gli stessi organi di polizia – almeno per quanto riguarda i due paesi presi in esame – che non sanno dove portare gli animali sequestrati dato che non esistono strutture di questo tipo, a parte qualche raro esempio.

Giusto per dare un’idea, una tigre adulta consuma circa 40 chilogrammi di carne la settimana. Che sia per usi ricreativi o, nella peggior ipotesi, per soddisfare la domanda della medicina tradizionale, è chiara la necessità di aprire una discussione che porti i soggetti interessati, il legislatore e l’opinione pubblica a disciplinare chiaramente questa pratica, rispettando i dettami del benessere animale, già ampiamente regolamentato dall’Unione europea.

Una tigre in cattività
Una delle dieci tigri sequestrata ad un addestratore francese © Nikola Krtolica/One Voice

Resta il fatto che la tigre selvatica rischia di scomparire entro la fine del secolo, anche – o forse proprio – a causa dell’allevamento in cattività. La questione non è solamente etica, ovvero se un animale possa o meno essere allevato e addomesticato e avere una relazione più o meno serena con l’essere umano. Ma soprattutto conservazionistica. C’è chi infatti pensa che la cattività sia indiscutibilmente una pratica crudele, anacronistica, come viene considerata oggi la schiavitù. E di conseguenza non può accettare che un animale possa essere “oggettivizzato”, reso un oggetto, e trascorrere l’intera esistenza in una gabbia di poche decine di metri quadrati (nella migliore delle ipotesi), per garantire al “consumatore” qualche esperienza “emozionale”.

La discussione coinvolge anche l’ambito accademico. È possibile che l’allevamento di questa specie possa contribuire alla conservazione? In uno studio pubblicato su Bioscience da Dinerstein et al., gli allevamenti vengono profondamente criticati, per diversi motivi. Primo tra tutti è probabile che le tigri vittime di bracconaggio vengano vendute come “allevate” e questo porterebbe ad una pressione ancora maggiore sulla specie. Infatti ad oggi nessuna tecnica esistente consente ai biologi o alle forze dell’ordine di distinguere le parti di tigre allevate da quelle di tigri selvatiche. Non solo, ma è ancora elevata la credenza che le ossa delle tigri selvatiche offrano un effetto analgesico migliore rispetto alle ossa delle tigri d’allevamento.

A dimostrazione che la questione è tutt’altro che risolta, a quello studio i colleghi cinesi, Zhigang Jiang et al., hanno risposto con un’idea totalmente diversa, perché fortemente convinti che “il mercato di parti di tigre da cattività cancellerà il bracconaggio e il contrabbando, perché i prodotti legali saranno prontamente disponibili”. Ma è davvero questa l’unica soluzione, ovvero avere allevamenti di animali che soddisfino una pratica ampiamente dimostrata non avere alcun effetto sulla salute? Davvero l’unica via per salvare questa specie, come molte altre, è “legalizzarne” la vendita? E possiamo ancora permetterci di soddisfare la nostra “voglia di natura” rischiando che questa ci porti a vedere questi animali solamente dietro ad un vetro o, alla peggio, dietro a delle sbarre? Chi scrive, ovviamente, non ha alcuna risposta ma, semmai, altre domande.

Questa inchiesta è stata realizzata con il supporto del fondo Investigative Journalism for Europe (IJ4EU) in collaborazione con #WildEye, con il supporto di Oxpeckers Investigative Environmental Journalism e Earth Journalism Network