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L’orso è una specie resiliente nei confronti del nemico: l’essere umano
L’orso è una delle specie più resilienti del pianeta in virtù della sua intelligenza e adattabilità. Ha però un nemico: noi umani.
L’ultima notizia di cronaca non è delle migliori. Un altro orso – una femmina – è morto, perito per l’imperizia umana e la sua scarsa tolleranza all’esistenza di specie diverse dalla nostra. La cronaca è impietosa. Si tratta di una femmina, uccisa in Trentino durante le operazioni di cattura in val Concei per un intervento necessario alla sostituzione del radio-collare che portava dal luglio 2021. L’orsa veniva definita F43 – già la sigla dà un’idea della materialità e della riduzione di un essere vivente a una cosa inanimata, priva di identità – ed è morta in seguito alla posizione assunta nella “trappola tubo” usata per catturarla, nel momento in cui l’anestetico ha fatto effetto. Non è la prima volta che un’orsa viene uccisa in nella regione durante le operazioni di cattura. La vittima più nota è Daniza, che lasciò orfani i suoi cuccioli. Era il 2014. Questo nuovo episodio tragico avviene in concomitanza con la pubblicazione di una ricerca che definisce gli orsi una delle specie più resilienti del pianeta. Una bella cosa, certo, se non si scontrasse con l’essere umano e le sue regole, spesso assurde.
L’orso è un animale intelligente e resiliente
Ci siamo abituati a vedere immagini di orsi polari su iceberg pericolanti nei mari artici. Animali in cerca di prede, affamati e in pericolo di morte, vittime di un clima impazzito che ne sta decretando la rapida estinzione. In controtendenza, invece, ecco una recente ricerca scientifica pubblicata su eLife che dimostra come questi plantigradi, specialmente gli orsi grizzly, non sarebbero animali che subiscono problematiche gravi per i cambiamenti climatici in corso. Al contrario, stando ai risultati dello studio, si tratta di una delle specie più longeve e resilienti del nostro pianeta. Gli studiosi hanno raccolto i dati sulla variazione della popolosità di 157 specie di mammiferi di varia taglia e li hanno correlati alle condizioni del clima dei loro habitat in un periodo di tempo di almeno 10 anni. Lo studio si è focalizzato principalmente sugli effetti causati da lunghi periodi di siccità o di piogge e ha analizzato la reazione delle popolazioni (in termini di numero di individui e capacità di figliare) alle condizioni climatiche estreme. Il tutto ha messo in evidenza uno schema: gli animali che vivono a lungo e hanno pochi figli sono meno vulnerabili rispetto a quelli che vivono per poco tempo e sono particolarmente prolifici. Ne sono un esempio i lama e gli elefanti rispetto ai topi, agli opossum e ad alcuni marsupiali come il woylie.
“È assodato che l’orso è uno degli animali con la maggiore intelligenza deduttiva. È in grado, infatti, di risolvere problemi nuovi attraverso il ragionamento e sfruttando quello che l’ambiente gli mette a disposizione”, spiega Mauro Belardi, biologo e presidente della cooperativa Eliante che opera nel campo della sostenibilità ambientale. “Sul piano comportamentale – prosegue Belardi – riesce a mettere in atto una vastissima gamma di strategie e, nonostante sia una specie molto studiata, stupisce ancora gli esperti. Sappiamo, per esempio, che non esistono barriere fisiche in grado di impedire l’accesso a un orso deciso a superarle, ma anche che le barriere psicologiche (scossa elettrica, cani a protezione, aspettativa di una faticosa e lunga manipolazione) funzionano quasi sempre, proprio perché l’orso ragiona prima di agire. Tra gli aspetti meno evidenti della sua intelligenza c’è anche la capacità estrema di gestire la propria immensa forza, che usa in modo molto prudente e solo quando necessario, mostrando anche delicatezza e manualità finissima. Un orso è in grado di abbattere un cavallo con una zampata, ma anche di prelevare acini d’uva da una vigna uno a uno. Il fatto che sia una specie longeva, di solito vive meno di 25 anni in natura, aumenta la sua capacità di immagazzinare esperienze”. E quindi anche il modo diverso di affrontare il clima impazzito e le sue conseguenze.
“Guardando invece alle caratteristiche ecologiche dell’orso – continua Belardi – dobbiamo però parlare di una specie meno resiliente di altre come potrebbe essere, per esempio, il lupo. L’orso, infatti, non è in grado di colonizzare rapidamente areali nuovi: le femmine si spostano molto lentamente dal luogo in cui sono nate e complessivamente alcune loro esigenze ecologiche, perlomeno nella fase riproduttiva, ma anche nella fase del letargo e del pre-letargo, non sono da sottovalutare. Tanto che non possiamo dire con esattezza che questo grande plantigrado si trovi in buono stato di conservazione e fuori pericolo in gran arte d’Europa“. A questo proposito, comunque, è da notare che in Italia la situazione sulle Alpi è decisamente positiva e ci si avvicina al numero “ideale” di 100 soggetti.
“Il problema principale è rappresentato in Italia dal fatto che le femmine sono ancora confinate quasi totalmente nel Trentino occidentale, in un’area assai limitata. Il futuro dell’orso sulle Alpi si gioca quindi sulla capacità di accettazione della specie fuori dal Trentino. In Appennino l’orso marsicano sembra invece stabile e staziona intorno ai 40-50 individui, mostrando interessanti spinte di colonizzazione verso l’esterno dell’areale storico”, conclude l’esperto. I problemi principali rimangono per i plantigradi il bracconaggio, gli investimenti provocati da automobili o mezzi pesanti, e la difficile gestione di alcuni individui confidenti come è accaduto, purtroppo, con Daniza e l’orsa morta da poco durante la cattura.
Quando il nemico numero 1 siamo noi
Una specie resiliente, quindi, quella dell’orso che è in grado di adattarsi a cambiamenti climatici e a condizioni ambientali avverse. Ma, forse, è proprio questa sua estrema adattabilità a renderlo una delle vittime principali dell’uomo. In Trentino, purtroppo, Daniza e l’orsa F43 non sono state le prime vittime fra i plantigradi presenti nella regione. Tutti colpevoli di essere troppo confidenti con gli umani, magari attirati – come del resto succede con altri selvatici, cinghiali in testa – dai rifiuti lasciati incustoditi, dalle abitazioni aperte, dai tentativi ingenui delle persone di approcciarsi a un animale selvatico. “È importante mantenere accesi i riflettori sull’orso M49, che viene costretto proprio in Trentino a condurre una vita incompatibile con il termine di benessere animale. E stiamo parlando di un animale esploratore, abituato a percorrere grandi distanze e con ritmi naturali difficili da replicare in cattività. Su questi “ergastoli” dati agli animali selvatici definiti “confidenti” o “problematici” bisognerebbe venisse costituito un comitato etico, perché la vita in cattività potrebbe essere peggio della morte e sarebbe opportuno prendere strade compatibili con la loro natura, pensate secondo scienza e coscienza e non secondo convenienza, come troppo spesso accade”, nota Ermanno Giudici, scrittore e blogger.
Juan Carrito, un orso come testimonial
Ma sulla via della pacifica convivenza fra specie diverse, selvatici in testa, arriva alla fine una notizia positiva che trasforma l’orso cacciatore e invadente in un testimonial gratuito della bontà di un prodotto. Ci ha pensato l’Apicoltura Colle Salera che ha eletto il giovane Juan Carrito (il nome gli deriva dal fatto che fu avvistato con la mamma e i fratelli vicino a Carrito, frazione di Ortona dei Marsi), orso pasticcione e un po’ ladro, spesso visitatore del comune abruzzese di Roccaraso, a testimonial del suo miele biologico.
Juan Carrito è stato più volte sorpreso con le zampe nel miele. Ma, da questa sua passione, l’azienda ha pensato bene di trarne un vantaggio, senza demonizzare la natura e i suoi abitanti. Anzi, cercando di stabilire un ponte ideale fra le esigenze umane e quelle, tutte naturali, degli orsi. E c’è da giurare che con il ladruncolo in vista, le vendite saliranno alle stelle, almeno fra coloro che amano questi resistenti plantigradi golosi del dolce nettare prodotto dalle api.
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