Chiesta la pena di morte per i sei responsabili della morte dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio in Congo. Contraria la famiglia.
Sull’assassinio di Luca Attanasio verrà fatta giustizia, ma non quella che l’ambasciatore italiano nella Repubblica Democratica del Congo e la sua famiglia avrebbero voluto. La procura militare di Kinshasa ha infatti chiesto la pena di morte per i sei uomini sotto processo per l’omicidio del diplomatico, avvenuto nel febbraio del 2021. Sabato è attesa la sentenza dei giudici. Nel frattempo, la famiglia di Attanasio si è dichiarata profondamente contrariata della richiesta avanzata dall’accusa, perché “Luca non si sarebbe mai schierato dalla parte della morte”.
Il processo per l’uccisione di Luca Attanasio e della sua scorta
La decisione dei giudici congolesi rientra nel processo per l’uccisone dell’ambasciatore, del carabiniere Vittorio Iacovacci e del loro autista Mustapha Milambo. Cinque persone identificate come i presunti responsabili della vicenda sono state arrestate a gennaio dell’anno scorso e sono attualmente detenuti nel carcere militare di Ndolo. Per loro e per il presunto capo del commando che assaltò l’automobile in cui viaggiava Attanasio, che è ancora latitante, è stata chiesta la pena capitale. Nel scorse delle udienze l’accusa aveva descritto gli imputati come membri di una banda criminale votata soprattutto alla rapina, che spesso colpiva i conducenti delle automobili in transito nella provincia di Kivu Nord, vicino al parco nazionale dei Virunga.
Il gruppo non avrebbe dunque premeditato di uccidere l’ambasciatore, ma l’intenzione sarebbe stata quella di assaltare il convoglio del Programma alimentare mondiale (Pam) su cui viaggiava Attanasio per rapirlo e chiedere un riscatto. Gli imputati hanno comunque negato tali ricostruzioni durante tutto l’arco del processo. Domani sono attese le arringhe della parte difensiva, dopodiché i giudici emetteranno la sentenza. Qualora fosse accolta, la richiesta di pena di morte potrebbe non essere tuttavia eseguita dal momento che la magistratura del Congo non applica de facto da carica vent’anni, commutando sistematicamente le condanne di questo tipo in ergastolo.
La reazione della famiglia alla richiesta di pena di morte
Nel frattempo, la famiglia di Attanasio si è dichiarata profondamente contrariata della richiesta avanzata dall’accusa: “Luca era un credente e non sarebbe mai stato dalla parte della pena di morte, non avrebbe mai voluto vedere degli uomini giustiziati”, ha detto il padre Salvatore Attanasio. La famiglia di Attanasio, che all’epoca della sua uccisione aveva 43 anni, è originaria di Saranno. Luca si era formato all’Università Bocconi di Milano, per poi essere nominato a capo della sezione economica e commerciale dell’ambasciata di Berna, in Svizzera, dal 2006 al 2010. Quindi, fino al 2013, è stato console generale a Casablanca, in Marocco. Dopo una parentesi lavorativa a Roma, è stato quindi nominato consigliere presso l’ambasciata italiana in Nigeria nel 2015, prima di ricoprire il ruolo di ambasciatore a Kinshasa. Noto per il suo impegno verso i più fragili, Attanasio aveva ricevuto il premio Nassiriya per la pace nel 2020, in virtù del “suo impegno in favore della pace tra i popoli” e “per aver contribuito alla realizzazione di importanti progetti umanitari, distinguendosi per il suo altruismo, per la sua devozione e per lo spirito di servizio a sostegno delle persone in difficoltà”.
Se questa è giustizia
Nel 2020 – secondo gli ultimi dati disponibili, diffusi da Amnesty International – sono state 483 le esecuzioni in tutto il mondo. Concentrate in particolare in Iran, Egitto, Iraq e Arabia Saudita. Si tratta, tuttavia, di un dato in calo del 26 per cento rispetto all’anno precedente, e del 70 per cento rispetto al picco di 1.634 casi registrati nel 2015. Ma, precisa l’organizzazione non governativa i un comunicato, “nel conteggio sono esclusi Cina, Corea del Nord, Siria e Vietnam, paesi che classificano i dati sulla pena di morte come segreti di stato o per i quali sono disponibili informazioni limitate”. Il numero complessivo potrebbe dunque essere estremamente più alto, dal momento che la sola Cina si stima proceda a migliaia di esecuzioni ogni anno.
Gli sviluppi giudiziari in corso in Congo e la reazione così lucida e argomentata della famiglia dell’ambasciatore, riaccendono i riflettori sul tema della pena di morte nel mondo, un tipo di sanzione penale che agli occhi delle società occidentali resta un palese ossimoro. Perché non è possibile far rientrare in nessun perimetro, né giuridico, né tantomeno morale, la soppressione volontaria e istituzionalizzata della vita altrui per affermare un qualunque criterio di giustizia.
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