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Ludovico Einaudi. La musica, più di tutte le arti, riesce a smuovere l’umanità
Il noto compositore italiano Ludovico Einaudi crede nel potere della musica per smuovere le coscienze di fronte ai problemi globali, come la crisi climatica.
“Possiamo scattare qualche foto al pianoforte?”, chiediamo timidamente a Ludovico Einaudi dopo averlo intervistato al teatro Dal Verme di Milano, dove, fino al 18 dicembre, hanno avuto luogo i suoi concerti. Lui si siede al piano, sorride, e comincia a suonare. In un attimo capiamo che per lui è un gesto spontaneo, di cui non riesce a fare a meno; il richiamo dei tasti è troppo forte. Lo ascoltiamo rapiti, vivendo l’esperienza come un dono inaspettato. È difficile ascoltarlo senza chiudere gli occhi. Le note sembrano invadere tutto il corpo di chi ascolta, fino a raggiungere l’anima, facendola letteralmente danzare. Proprio così. Quella di Einaudi, uno dei compositori più noti al mondo, è musica che fa danzare l’anima.
Le sue melodie “ridono e piangono al tempo stesso, come la pioggia”, si legge in un commento su YouTube che si riferisce alla composizione intitolata Oltremare. Non a caso, il maestro trae notevole ispirazione dalla natura. Qualcosa che, fin da giovane, ha sentito il bisogno di proteggere. Tanto che ora cerca di sfruttare la sua visibilità – e il linguaggio universale della musica – per parlare al grande pubblico di temi come l’emergenza climatica. Per questo ha organizzato, insieme all’attivista Francesco Cara, una rassegna cinematografica dal titolo Climate Space, che ha voluto arricchire il suo tour con la proiezione di alcuni cortometraggi d’autore sulle tematiche ambientali.
In che modo la natura è per lei una fonte di ispirazione?
La natura è sempre stata un elemento che ha saputo entrare in relazione con il mio lavoro musicale, in modi molto diversi. Da un lato, attraverso le ispirazioni letterarie: una delle prime opere che ho realizzato, una serie di composizioni di pianoforte intitolata “Le onde”, traeva spunto da un libro di Virginia Woolf in cui le onde rappresentavano una metafora della vita. Il fatto che la natura potesse diventare anche metafora di altre cose mi ha molto colpito.
L’osservazione della natura poi, anche attraverso opere pittoriche come quelle di Cézanne, che ha ripetuto all’infinito il dipinto della stessa montagna cambiando solamente la luce, mi ha sempre fatto pensare a delle relazioni fra la musica e la luce, alla possibilità di esplorare delle armonie musicali in relazione al cambiamento della luce, ai colori.
Infine, anche l’osservazione della natura da un punto di vista scientifico, l’osservazione degli elementi, della tavola periodica, la classificazione dei minerali, è stata una fonte d’ispirazione. A volte sono delle cose esterne alla musica quelle di cui uno ha bisogno per uscire da sé stesso, per osservare anche la musica con un occhio diverso. Provare a cambiare la prospettiva, inserendo nella musica un elemento che non le appartiene, a volte permette di compiere delle scoperte che sono molto interessanti.
Qual è il ruolo della musica nella diffusione delle questioni globali?
Penso che la musica, come l’arte, possano contribuire con una voce diversa, che sicuramente spiega meno nei dettagli le cose per come sono veramente, però forse la musica, più di tutte le arti, riesce a smuovere l’umanità dal punto di vista emotivo. La forza che può avere un suono nell’indirizzare un’idea può essere molto potente.
Di questo me ne sono reso conto nel 2016 partecipando, con un’esecuzione in mezzo ai ghiacciai, al progetto di Greenpeace chiamato “Save the Arctic”. Nonostante loro avessero già intrapreso diverse strade per promuovere la campagna, quel video ha scatenato qualcosa di molto potente dal punto di vista della comunicazione, proprio perché il messaggio arrivava forse attraverso la musica in modo molto più diretto.
Qual è l’obiettivo di Climate Space?
L’obiettivo di Climate Space è di continuare a dare un contributo, per quello che mi è possibile, a questa emergenza del clima che stiamo vivendo. In qualche modo, pensandoci, ho cominciato a interessarmi alla questione quando ero solo un bambino. Anche se allora non si parlava ancora di emergenza climatica, mi ricordo quasi il dolore che cominciavo a provare intorno ai tredici anni vedendo mutare i luoghi che nella mia infanzia erano ancora intoccati, con i mari puliti e pieni di animali che adesso non si vedono più, come i cavallucci marini. Sembrava però che questo deterioramento fosse contenuto, invece ha continuato a peggiorare finché non è arrivato a riguardare l’intero Pianeta ed essere quasi irreversibile.
Adesso che sono cresciuto e, grazie alla mia professione, ho una visibilità superiore rispetto a quando ero bambino, ci tengo ancora di più forse a far sì che io possa dare un contributo. Climate Space è nato dalla possibilità che ho di sfruttare questo bel teatro per quindici concerti. C’è uno spazio adiacente alla sala principale in cui ogni giorno proiettiamo filmati che raccontano la crisi climatica o anche delle iniziative positive di persone che la combattono in giro per il mondo. Insieme a questi filmati abbiamo inserito anche dei contributi musicali, per cui è una cosa che lega in qualche modo la musica a questo tema che continuiamo a esplorare attraverso le voci dei protagonisti dei vari documentari. Vedo che la gente segue con molta attenzione, c’è una bellissima atmosfera, quindi sono molto contento e spero che si possa replicare in futuro.
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