In Bielorussia Lukashenko rieletto senza rivali, proteste dell’opposizione all’estero

È stato confermato per la settima volta con quasi l’87 per cento dei voti. E minaccia ritorsioni contro i parenti rimasti in Bielorussia di coloro che hanno manifestato contro di lui a Varsavia.

L’ultima volta che si era presentato alle elezioni presidenziali, nel 2020, il leader della Bielorussia, Aleksandr Lukashenko, si era trovato davanti a una situazione inaspettata: candidati avversari che potevano vincere. Poi, di fronte a un risultato elettorale già deciso, segnato dall’esclusione dei rappresentanti dell’opposizione, il popolo aveva risposto con manifestazioni di protesta senza precedenti, accusando Lukashenko di manipolazione del voto.

Oggi questo rischio è stato eliminato alla radice: alle elezioni presidenziali che si sono tenute domenica scorsa, 26 gennaio, sono stati ammessi solo altri quattro candidati oltre a lui, tutti sostenitori di Lukashenko o comunque vicini al potere. Alla fine Lukashenko – ribattezzato “l’ultimo dittatore d’Europa” – è stato confermato per la settima volta al potere con quasi l’87 per cento dei voti. Un risultato fortemente contestato dall’opposizione bielorussa in esilio. Che nel giorno delle elezioni è scesa in strada a protestare a Varsavia.

Le congratulazioni e le critiche

La vittoria di Lukashenko, che guida questo paese di nove milioni di persone con il pugno di ferro dal 1994, era data per scontata da tutti. L’Unione europea e gli Stati Uniti hanno criticato l’esito del voto, parlando di elezioni né libere, né giuste, visto che i mezzi d’informazione indipendenti sono stati vietati in Bielorussia e tutte le principali figure politiche d’opposizione sono state incarcerate o costrette all’esilio.

Le congratulazioni, invece, sono arrivate dal presidente russo Vladimir Putin e dai leader di Uzbekistan, Tagikistan, Kazakistan, Azerbaigian e Cina.

L’Alta rappresentante per gli Affari esteri dell’Ue Kaja Kallas ha definito queste elezioni “una farsa”, aggiungendo che “Lukashenko non ha alcuna legittimità”. E pochi giorni prima delle presidenziali, il Parlamento europeo aveva addirittura adottato una risoluzione per rafforzare le sanzioni contro Minsk e non riconoscere la legittimità di Lukashenko, al potere da trent’anni.

La commissione elettorale della Bielorussia ha fatto sapere che l’affluenza è stata dell’85,7 per cento, con 6,9 milioni di persone che avevano diritto di voto. A non aver avuto diritto di voto, però, sono stati i cittadini bielorussi residenti all’estero, visto che fuori dai confini nazionali non sono stati allestiti seggi.

“Non c’è stata una scelta vera: tutto ciò che abbiamo, è questa facciata farsesca di candidati che provengono da partiti filogovernativi – ha dichiarato Katia Glod, originaria della Bielorussia, ricercatrice presso il Center for European Policy Analysis di Washington –. È come in Russia: non ci sono candidati che possano rappresentare una visione alternativa”.

Manifestazioen Bielorussia agosto 2020
Agosto 2020. Sono duecentomila ad essere scesi in strada a Minsk alla grande Marcia per la libertà, culmine di una settimana di proteste per la rielezione di Lukashenko © Misha Friedman/Getty Images

Le reazioni dei bielorussi all’estero

Tra i più forti critici di queste elezioni ci sono stati per l’appunto i cittadini bielorussi all’estero, che nel giorno del voto hanno protestato a Varsavia. A guidare la manifestazione, Svetlana Tikhanovskaya, leader dell’opposizione fuggita a seguito della brutale repressione dopo le presidenziali del 2020.

“Non usate la parola elezioni per descrivere questa farsa. È una messa in scena per aggrapparsi al potere a qualsiasi costo”.

Svetlana Tikhanovskaya

Con i media imbavagliati e gli oppositori in carcere o in esilio, il risultato elettorale non poteva essere diverso. Ma per Lukashenko era comunque importante dimostrare al paese, e al suo principale alleato Vladimir Putin, che i tumulti del 2020 si sono ormai placati.

I rapporti di Minsk con la Russia e l’Occidente

Ora sarà interessante vedere cosa farà Lukashenko per destreggiarsi tra Oriente e Occidente. Per mantenersi in equilibrio tra la Russia e l’alleanza euroatlantica. Perché se è vero che Minsk è un fedele alleato di Mosca, è anche vero che ultimamente il presidente bielorusso sembra aver lanciato qualche timido segnale di apertura verso Ovest, con l’esenzione temporanea del visto in ingresso per i cittadini di vari paesi europei, compresa l’Italia, e la concessione della grazia a diversi detenuti incarcerati per le proteste del 2020: una mossa che alcuni analisti hanno interpretato come un tentativo per allentare le sanzioni occidentali ai danni del paese. Questo segnale però non sembra essere stato colto né da Washington né da Bruxelles, che anzi continuano a criticare le politiche repressive di Lukashenko.

Al contempo Lukashenko continua ovviamente a spalleggiare la Russia: ha fatto sapere che in Bielorussia si trovano armi nucleari del Cremlino e che presto schiererà anche l’Oreshnik, il nuovo missile balistico ipersonico con cui Mosca a novembre ha colpito l’Ucraina.

Ma al di là dei risultati elettorali e degli equilibri di potere, ci sono un paio di cose interessanti che sono emerse da queste elezioni: innanzitutto, la decisione di Lukashenko di non allestire seggi elettorali all’estero è stata applaudita da Mosca, con il capo della commissione elettorale della Federazione Russa, Ella Pamfilova, che l’ha definita una scelta “giusta”, viste le “ingerenze” che i russi, a detta sua, avrebbero subito all’estero durante le elezioni presidenziali russe dello scorso marzo.

E poi, c’è il fatto che Lukashenko ha minacciato di punire i parenti rimasti in Bielorussia di coloro che hanno partecipato alla manifestazione di protesta organizzata a Varsavia nel giorno delle elezioni.

E vista la sintonia e l’unità di vedute tra Aleksandr Lukashenko e Vladimir Putin, viene da chiedersi se queste sue iniziative non possano essere presto implementate anche dal Cremlino.

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