Il concerto milanese per Gaza, un successo di pubblico e raccolta fondi, è stata la presa di posizione più forte contro il genocidio della scena musicale italiana.
L’ultimo saluto di Ryuichi Sakamoto
Il compositore giapponese Ryuichi Sakamoto si è spento a 71 anni dopo una lunga malattia. La musica, il cinema, l’arte e l’attivismo perdono un visionario.
Ryuichi Sakamoto se n’è andato in punta di piedi, senza far rumore, con la stessa delicatezza con cui accarezzava i tasti del pianoforte. È morto il 28 marzo nella sua città natale, Tokyo, a 71 anni. Lo scorso giugno aveva annunciato di essere al quarto stadio di un tumore diagnosticato nel 2020. Da quel momento aveva sospeso ogni concerto e attività, ma non aveva mai smesso di comporre musica. Nemmeno durante i suoi ultimi istanti di (r)esistenza terrena.
Sakamoto era un innovatore silenzioso ma consapevole, mosso da una curiosità perpetua, dinamica, unica. Una curiosità che non si scontrava con il suo essere rigoroso e che, anzi, nutriva le sue fondamenta accademiche. La creatività, le composizioni e il pensiero di Sakamoto non solo anticipavano i tempi, spesso andando controcorrente, ma tracciavano sentieri a venire senza ripetersi. Come ha commentato il regista Iñárritu in merito alla raccolta di prossima uscita Travesía, “anche se ascolti Ryuichi da decenni, incontri ancora nuovi elementi quando ascolti il suo lavoro. La sua musica è come nuvole in continua evoluzione, sempre la stessa e mai la stessa”.
Dai primi, futuribili suoni con la Yellow Magic Orchestra alle toccanti colonne sonore dei film di Bertolucci, passando per le collaborazioni illuminate con David Sylvian e Alva Noto, senza contare i lavori più profondi e intimi composti da solo, ricurvo su un piano, fino alle prese di posizione coraggiose sul nucleare e sui temi ambientali, Sakamoto era davvero l’uomo in grado di “decostruire il passato, e il presente, per condurci nel futuro con uno sguardo più ampio”. Senza di lui, pensare al futuro non sarà semplice.
Ryuichi Sakamoto e Yellow Magic Orchestra pionieri della techno
Nato a Tokyo nel 1952 da padre editore letterario e madre designer, Sakamoto iniziò a suonare il pianoforte a sei anni, mentre a dieci scrisse le sue prime composizioni classiche, influenzate dalla musica di Bach e Debussy ma anche dall’avanguardia di John Cage e Iannis Xenakis. Crescendo scoprì il jazz moderno, studiò composizione ed etnomusicologia all’Università delle arti di Tokyo, dove cominciò a suonare i sintetizzatori come turnista e a comporre e produrre per alcuni gruppi pop locali.
Nel 1977 Ryuichi Sakamoto fu chiamato, insieme al batterista Jukihiro Takahashi, dal bassista Haruomi Hosono per contribuire a un lavoro solista di quest’ultimo. L’anno successivo il trio ormai formato pubblicò il primo album a nome Yellow Magic Orchestra, uno dei primi seminali dischi di musica synth e techno pop che miravano al dancefloor attraverso brani quali Firecracker (Computer Game negli Stati Uniti). Al tempo soltanto il nostro Giorgio Moroder, i Kraftwerk – a cui la YMO si ispirava come immaginario – e gruppi inglesi tra cui The Human League e Cabaret Voltaire potevano vantare simili attitudini.
Tuttavia, come puntualizza il critico musicale Simon Reynolds su Pitchfork, a differenza degli altri gruppi che all’epoca ruotavano attorno ai sintetizzatori, solo la YMO pubblicava pezzi interamente strumentali, oltre a poter utilizzare in anteprima strumenti elettronici – tastiere, sintetizzatori, campionatori – prodotti in Giappone prima che si diffondessero nel resto del mondo. Due elementi chiave per comprendere come la musica techno, la cui paternità è generalmente associata alla scena di Detroit nei primi anni Ottanta, in realtà possa essersi originata qualche anno prima in Giappone grazie a Sakamoto e alla Yellow Magic Orchestra.
Gli anni Ottanta di Sakamoto, tra album solisti e colonne sonore da Oscar
Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, Sakamoto produsse diversi album solisti parallelamente all’attività di gruppo con la YMO. Sempre in equilibrio tra sonorità elettroniche e ritmi globali, titoli come Thousand knives del 1978 e B-2 unit del 1980 suonano molto attuali ancora oggi. La traccia di matrice afrobeat Riot in Lagos, per esempio, fu campionata e condizionò successivamente sia il circuito rap newyorkese sia quello techno di Detroit. Ma non solo, visto che David Sylvian dei Japan lo chiamò per collaborare nei suoi progetti avant-pop tra il 1980 e il 1983.
Il 1983 fu un anno di rottura e nuova creatività per Sakamoto: da un lato si avviava a conclusione il ciclo Yellow Magic Orchestra, dall’altro si apriva per lui una nuova finestra nel mondo del cinema. Debuttò come attore al fianco di David Bowie nel film Merry Christmas, Mr. Lawrence (Furyo, in Europa), di cui realizzò anche la colonna sonora. Quelle musiche lo proiettarono nelle grazie di Bernardo Bertolucci, che lo volle per sonorizzare le sue memorabili pellicole L’Ultimo imperatore nel 1987 (per cui l’anno seguente Sakamoto vinse l’Oscar insieme a David Byrne e Cong Su), Il tè nel deserto nel 1990 e Piccolo Buddha nel 1993.
Si narra che Bertolucci, ancora più perfezionista di Sakamoto, durante le registrazioni con un’orchestra di quaranta elementi per le musiche de L’Ultimo imperatore, continuasse a chiedere al compositore giapponese di metterci più emozione, sempre più emozione. Il rapporto artistico e di amicizia tra Sakamoto e Bertolucci perdurò nel tempo, fino alla scomparsa del regista italiano nel 2018. Intervistato dal giornalista Luca Valtorta l’anno successivo, Sakamoto confidò che la morte di Bertolucci gli procurò una sorta di illuminazione, per cui sentì l’impulso di sedersi al piano e compose un brano che mandò alla moglie del regista, Clara, per la cerimonia commemorativa in suo onore.
Ritorno alla classica e nuove collaborazioni
Dopo il boom dei film di Bertolucci e in particolare dopo aver sollevato l’Oscar, Sakamoto era richiesto ovunque. E si trovava ovunque, dalle pubblicità commerciali ai video di Madonna (Rain), mentre nei suoi album sempre più eclettici aumentavano le collaborazioni “di peso”: tra gli altri, Brian Wilson, Iggy Pop, Robert Wyatt, Youssou N’Dour, David Byrne, Patti Smith. Potevamo ascoltare le sue note nei videogiochi e perfino nelle suonerie dei telefonini Nokia.
Gli anni Novanta di Sakamoto furono in parte ancora un riflesso della spumeggiante decade precedente, in parte lo videro rientrare nei ranghi del compositore classico. Nel 1999, la sua ballata per pianoforte Energy Flow, tratta dall’album BTTB (Back to the basics) ma originariamente scritta per una bevanda vitaminica in piena estasi ipertecnologica, divenne una hit e il primo pezzo strumentale a raggiungere la vetta della classifica musicale di Oricon (l’equivalente giapponese della classifica Billboard).
Nel 1990 il Maestro si trasferì a New York, la città più cosmopolita al mondo e quindi più affine alle sue corde. Vi rimase per trent’anni. Nei primi anni Duemila, il compositore avviò un sodalizio con l’artista tedesco Carsten Nicolai alias Alva Noto, attirato dall’approccio poco tradizionale e più matematico di quest’ultimo. In un’intervista al New York Times, Carsten Nicolai parlò della curiosità come tema portante di Sakamoto: “Ryuichi aveva capito, molto presto, che il futuro della musica non era necessariamente un genere specifico, ma il dialogo tra stili differenti e inediti”.
I due artisti hanno realizzato insieme numerose installazioni, concerti dal vivo e cinque album (Vrioon nel 2002, Insen nel 2004, utp_ nel 2008, Summvs nel 2011 e Glass nel 2018), oltre alla colonna sonora per il film The Revenant (2015) di Alejandro González Iñárritu, creata in collaborazione con Bryce Dessner dei The National. Quest’ultimo progetto, tra l’altro, arrivò in un momento peculiare della vita di Sakamoto, appena reduce dal processo di guarigione per un tumore alla gola scoperto soltanto un anno prima.
Di Ryuichi Sakamoto e Alva Noto è indimenticabile la performance nella Glass House in Connecticut nel 2016, una sessione improvvisata dal duo nel celebre edificio di vetro immerso nella natura progettato dall’architetto Philip Johnson. Nello stesso periodo Sakamoto collaborò anche con un altro grande produttore di musica elettronica, l’austriaco Christian Fennesz, con cui pubblicò due magnifici album: Cendre (2007) e Flumina (2011).
L’attivismo di Sakamoto
Sakamoto non era soltanto un artista supremo, ma anche una persona dai saldi principi etici e morali, che confluivano nella sua musica come nelle battaglie quotidiane a difesa della pace e dell’ambiente. Dal 1992 la questione ambientale divenne per lui fondamentale e si domandò cosa potesse fare concretamente per salvare il pianeta. Iniziò collaborando con l’artista Shiro Takatani in diversi progetti dove l’ego diventava eco (Life, Garden Live, Collapsed, Plankton).
Nel 2001 riunì band giapponesi e musicisti internazionali (tra cui Brian Eno, Cindy Lauper, David Sylvian e Kraftwerk) per l’ep Zero Landmine contro le mine antiuomo. Sul finire dello stesso anno, dopo la tragedia dell’11 settembre, raccolse nella compilation No War i pensieri di oltre cinquanta persone tra musicisti, scrittori, accademici e politici, per i quali il conflitto non era la risposta.
Nel 2006, in pieno declino discografico, lanciò l’etichetta indipendente ed ecologica commmons. Preoccupato che i musicisti non fossero in grado di guadagnarsi da vivere con le registrazioni, Sakamoto scoprì un curioso fenomeno, così descritto sul suo sito: “Man mano che le persone invecchiano, normalmente le loro orecchie si chiudono a nuovi suoni. Le mie orecchie diventano più aperte man mano che invecchio. Ci sono sempre giovani talenti – artisti, band, dj – e sento qualcosa di sorprendente, un suono o un rumore inaspettato, ogni giorno”.
Per bilanciare le emissioni umane di carbonio, proteggere foreste esistenti e piantarne di nuove, Sakamoto nel 2007 fondò l’organizzazione di protezione ambientale moreTrees, che nel giro di pochi anni si prese cura di tre foreste giapponesi e una nelle Filippine. Fu inoltre tra i primi a scegliere modi sostenibili ed ecologicamente validi per fare concerti, usando elettricità verde a ogni esibizione e compensando l’anidride carbonica emessa durante i tour mediante la coltivazione delle foreste.
Nel 2008, il compositore partecipò a una spedizione in Groenlandia, parte del progetto Cape Farewell, che gli permise di catturare ore di registrazioni nel mar glaciale artico, confluite poi nel suo album sperimentale Out of noise (2009).
Le sue posizioni contro il nucleare erano coraggiosamente pubbliche, considerato che in Giappone gran parte degli artisti non si esprime in merito per paura di compromettere la propria carriera. Sakamoto si attivò in particolare dopo il disastro di Fukushima, causato dal terremoto e dallo tsunami. Nel 2012 contribuì a organizzare una due giorni di concerti e incontri intitolata No Nukes davanti alla prefettura di Chiba, a cui parteciparono diciotto gruppi tra i quali i Kraftwerk e gli stessi Yellow Magic Orchestra riuniti per l’occasione.
Pur essendo molto malato, all’inizio di marzo aveva scritto una lettera alla governatrice di Tokyo per opporsi a un progetto di riqualificazione che prevede l’abbattimento di centinaia di alberi: “Non dovremmo sacrificare i preziosi alberi di Jingu che i nostri antenati hanno protetto e alimentato per cent’anni solo per un immediato guadagno economico”.
L’ultima esibizione e l’album testamento
Il testamento sonoro di Sakamoto comincia nel 2017 con il commovente album async, composto dopo le cure per il cancro alla gola, con le riflessioni sulla memoria e sulla mortalità. Tra gli strumenti utilizzati per la registrazione, un pianoforte in disuso e scordato sopravvissuto allo tsunami.
Lo scorso novembre, Sakamoto aveva annunciato il suo ultimo album, 12, registrato tra il 2021 e il 2022. A dicembre, la sua ultima esibizione dal vivo intitolata Playing the Piano 2022 è stata trasmessa in streaming in oltre trenta Paesi. Più di 60mila persone hanno guardato quel concerto online in tutto il mondo. Il messaggio introduttivo, con una voce fragile, lasciava presagire il peggio: “Non ho più l’energia per fare concerti”.
Il comunicato della sua morte riporta una delle sue citazioni preferite: “Ars longa, vita brevis (L’arte è lunga, la vita è breve)”. La musica di Ryuichi Sakamoto, questo è certo, vivrà e ci emozionerà in eterno.
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