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Made in Bangladesh. Al Fashion Film Festival Milano un film di denuncia sullo sfruttamento dell’industria moda
Diretto da Rubaiyat Hossain, il lungometraggio racconta la storia vera di una giovane operaia di una fabbrica tessile a Dacca che lotta per i propri diritti.
Shimu è una giovane operaia di una fabbrica tessile, a Dacca, in Bangladesh, che si batte per vedersi riconosciuti i propri diritti e per difendere le compagne dallo sfruttamento e dal licenziamento ingiusto, arrivando a fondare un sindacato. Ma, prima di tutto, Shimu è una moglie forte e determinata che, in una paradossale inversione di ruoli, porta a casa i soldi per vivere sia per lei che per il marito disoccupato, che ama profondamente. In una città infernale, di cui si percepiscono il caos e la puzza, con la tenacia propria dei leader, questa giovane donna riesce a ridare dignità al suo lavoro e alle sue colleghe. È la storia (vera) di Daliya Akter (Shimu), raccontata nel film diretto da Rubaiyat Hossain, Made in Bangladesh, che mostra la condizione lavorativa femminile in un Paese economicamente marginale e in cui quei diritti da noi dati per scontati sono ancora spesso da affermare.
L’industria della moda in Bangladesh
Nella sezione fuori concorso del Fashion Film Festival Milano, l’evento internazionale di moda e cultura, fondato e diretto da Constanza Cavalli Etro, che si terrà dal 13 al 19 gennaio 2021, ci sono anche cinque lungometraggi dedicati al racconto di personalità uniche e di tematiche sociali di rilievo. Tra questi Made in Bangladesh, un’aperta denuncia nei confronti di un’industria della moda sbagliata, che sfrutta la povertà per ottenere sempre più profitti.
L’industria della moda è uno degli elementi che contribuisce di più allo sviluppo del Bangladesh. Basti pensare che nell’anno fiscale 2018-2019 il settore ha esportato volumi per un totale di 34.133,27 milioni di dollari, che corrispondono a poco più dell’84 per cento del totale delle esportazioni del Paese. Il settore moda ha mosso i suoi primi passi in Bangladesh negli anni Ottanta. Nel 1983, per la precisione, con solo dodici fabbriche, stando a quanto riporta la Bangladesh garment manufacturers and exporters association (Bgmea), una delle più grandi associazioni di categoria del Paese.
Oggi le fabbriche sono 4.621 e quelle individuate come operative sono 3.856. Di queste ultime, solo il 3,8 per cento ha un sindacato. Pochissime, se si considera che i lavoratori impiegati sono circa 3,6 milioni, di cui il 53 per cento donne e il restante 47 per cento uomini – numeri che cambiano radicalmente quando si parla di lavoratori addetti alle macchine da cucire: lì la presenza femminile sale all’80 per cento. Un altro dato che sorprende è l’età media: 25 anni. Più o meno l’età in cui in Italia, finiti gli studi, si comincia ad approcciare il mondo del lavoro.
Il Fashion Film Festival Milano
La settima edizione del Fashion Film Festival Milano sarà per la prima volta in calendario insieme alla settimana della moda uomo di Milano e sarà interamente in digitale. L’evento sarà visibile gratuitamente (previa registrazione) sugli schermi di tre piattaforme in contemporanea, quella della Camera della Moda, sul sito ufficiale del festival e sulla piattaforma di streaming MyMovies, con una selezione di 200 film – tra gli oltre mille arrivati –, provenienti da 60 paesi. I film in concorso includono le produzioni delle grandi maison e quelle di talenti esordienti, e saranno valutati da una giuria internazionale costituita da esponenti di spicco del mondo della moda, del cinema e dell’arte. Tra gli altri, ci sono il regista premio Oscar Tim Yip, il fotografo Paolo Roversi, gli stilisti Marcelo Burlon e Margherita Missoni e la giornalista e influencer di Anna Dello Russo. Anche il pubblico è chiamato a fare la sua parte: si potrà votare online il proprio fashion film preferito decretando il vincitore del People’s Choice Award.
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