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Uno studio di Fondazione Cmcc e università di Bologna ha analizzato due falde acquifere dell’Appennino, stimando i cali dei flussi nei prossimi decenni.
Gli eventi climatici estremi hanno portato il Malawi a una situazione di emergenza. Attraverso loss and damage, il paese ha ottenuto l’aiuto della Scozia.
Il Malawi è uno stato dell’Africa sudorientale, piccolo rispetto alla vastità del continente, ma ricco di storia e di risorse naturali dal valore inestimabile. Per citarne alcune, all’interno dei suoi confini ospita i paesaggi montuosi della Rift valley e l’enorme lago Malawi che condivide, per una piccola parte, col Mozambico. Paese politicamente stabile, è una democrazia dal 1994, anno in cui si sono svolte le prime elezioni democratiche dopo la fine del regime del dittatore Hastings Banda che ha “regnato” per quasi trent’anni.
Dopo aver vissuto una serie di eventi estremi, come alluvioni e inondazioni, il paese africano ha chiesto alla Scozia e ottenuto l’aiuto per la ricostruzione e la gestione della situazione post-emergenza. Malawi e Scozia hanno così dato l’esempio al resto del mondo di come dovrebbe funzionare il meccanismo loss and damage, ovvero di riparazione delle perdite e dei danni subiti dai paesi più vulnerabili alla crisi climatica causata da quelli che, invece, sono maggiormente responsabili delle emissioni di gas serra a livello storico.
Il riscaldamento globale che stiamo vivendo e subendo oggi è dovuto alle attività umane, alle emissioni di gas serra che sono state prodotte e continuiamo a produrre in grandi quantità bruciando combustibili fossili come carbone, petrolio e gas. Non tutti gli stati, però, sono ugualmente responsabili delle emissioni. Dalla rivoluzione industriale al 2017 gli Stati Uniti, da soli, hanno riversato in atmosfera 400 miliardi di tonnellate di CO2, cioè il 25 per cento di tutte le emissioni che abbiamo prodotto nel mondo nel corso della storia. Unione europea e Regno Unito si attestano poco sopra al venti per cento del totale.
Quindi è corretto affermare che il Malawi e molti altri paesi africani stanno subendo danni gravi per qualcosa di cui non sono responsabili: l’Africa, come continente, ha causato solo il tre per cento delle emissioni storiche. Dal 1991 in poi, però, il numero di eventi climatici estremi che colpiscono ogni anno il sud del mondo è più che raddoppiato, causando quasi 700mila morti. Se si considerano anche le persone che hanno subito danni alla propria casa o che hanno visto compromesso il lavoro, si arriva a 189 milioni di persone ogni anno, il 97 per cento del totale delle persone colpite nel mondo. Insomma, è chiaro come non ci sia alcuna forma di equilibrio tra chi ha causato la crisi climatica e chi la subisce.
Torniamo in Malawi. Tra il 2015 e il 2016 il paese ha attraversato un periodo di carestia causata da ondate di calore e siccità che hanno compromesso l’agricoltura e quindi l’economia, basata sulle risorse che le mette a disposizione la terra. Poco dopo una parte di territorio, quello del villaggio di Mambundungu, è stato sommerso da inondazioni che hanno costretto le popolazioni di alcuni villaggi a migrare e ricostruire le loro case in luoghi ritenuti più sicuri perché più in alto rispetto al corso dei fiumi. Nel 2022 il Malawi è stato nuovamente colpito da alluvioni causate dai cicloni tropicali Ana e Gombe, tra gennaio e marzo, che hanno causato l’inondazione di quegli stessi villaggi e una riduzione dei raccolti del 20 per cento rispetto all’anno precedente. A emergenza finita, sono state un milione le persone colpite da questi eventi estremi, mentre altre 200mila si sono “trasformate” in sfollati interni.
Ed è qui che comincia la storia di riparazione, ripresa e resilienza. Anche in virtù di un legame coloniale, il Malawi ha chiesto alla Scozia di non perdere l’opportunità di “fare bella figura” in quanto nazione ospitante della Cop26 e diventare la prima a promettere fondi per il meccanismo loss and damage. Con questa espressione si intende il trasferimento di risorse finanziarie dai paesi industrializzati a quelli in via di sviluppo, riparazione dei danni che si sono già verificati a causa della crisi climatica o che inevitabilmente si verificheranno in futuro. La Scozia guidata dalla (quasi ex) prima ministra Nicola Sturgeon ha così dapprima allocato due milioni di sterline, per poi prometterne altre cinque milioni (5,7 milioni di euro) nel corso della successiva conferenza per il clima, l’ormai celebre Cop27 di Sharm el-Sheik.
Nelle regioni più colpite dalle alluvioni, il denaro è stato usato per ricostruire gli argini dei fiumi come il Phalombe che è stato trasformato, suo malgrado, in un vettore di distruzione a causa delle alluvioni. Sono stati dieci i punti in cui ha esondato lungo il suo percorso. Stessi lavori che si stanno facendo nel villaggio di Mambundungu dove sono in costruzione nuovi argini e barriere contro le esondazioni; è la seconda volta che il villaggio viene spostato e ricostruito a causa delle piogge torrenziali. Infine, parte dei fondi sono stati utilizzati per ricostruire le scuole andate distrutte, in particolare nel villaggio di Ngabu. Qui la scuola materna era stata trasformata in rifugio contro le piogge, salvo poi essere stata parzialmente distrutta a sua volta.
A dimostrazione di quanto gli eventi meteo estremi non siano una sfortunata casualità, nel 2023 Malawi è stato colpito anche dal ciclone Freddy, con un bilancio di circa cinquecento morti. Numeri del genere fanno capire quanto sia necessario un supporto strutturale, capace di andare ben oltre l’emergenza.
Il legame tra i due paesi risale all’epoca coloniale, quando due chiese scozzesi decisero di far partire alcune missioni religiose nel territorio dell’odierno Malawi, all’epoca soggiogato dall’impero britannico. E questo dovrebbe farci riflettere su come la giustizia climatica si intersechi con quella sociale. E come i paesi del nord del mondo (dalla traduzione di global north) siano in qualche modo doppiamente debitori di quelli del sud (global south): per ciò che hanno fatto direttamente ai popoli e ai territori, colonizzandoli e depredandone le risorse, e per ciò che continuano a fare indirettamente, bruciando combustibili fossili.
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