Un colpo di stato dell’esercito ha rovesciato il governo del Mali presieduto da Ibrahim Keita, contestato da mesi. I militari promettono le elezioni generali.
Un colpo di stato militare avvenuto nella notte tra il 18 e il 19 agosto ha rovesciato il governo del Mali, presieduto da Ibrahim Boubacar Keita, che è stato posto agli arresti insieme a diversi altri ministri dell’esecutivo. Keita, in diretta televisiva nazionale, ha annunciato la mattina del 19 agosto di aver “deciso di lasciare tutte le funzioni” a partire da quel momento. Più che una decisione, una vera e propria imposizione da parte dei militari, che in seguito hanno assicurato di voler portare il Mali a elezioni generali “entro un periodo di tempo ragionevole”, dopo che la comunità internazionale aveva chiesto a gran voce il ripristino dello stato di diritto.
Cosa è successo nelle ultime 48 ore
Nella notte tra il 18 e il 19 agosto un gruppo militare proveniente da una località alle porte della capitale Bamako ha preso d’assedio la residenza di Keita, arrestandolo insieme al primo ministro Boubou Cissé e a molti uomini chiave della repubblica africana, come il ministro dell’Economia Abdoulaye Daffe, quello degli Affari Esteri Tieblé Dramé e il presidente del Parlamento Moussa Timbine. Diversi leader politici dell’opposizione, che giacevano in carcere, sono stati invece immediatamente liberati.
I golpisti si sono riuniti nell’autodichiarato Comitato nazionale per la salvezza del popolo (Cnsp), ila cui leadership è stata assunto colonnello delle forze di terra Assimi Goita, che ha rivendicato la responsabilità del colpo di stato affermando che “il Mali attraversa una grave crisi socio-politica, non c’è più spazio per altre errori”. In precedenza il portavoce Ismael Wagué aveva dichiarato che il Cnsp era pronto ad “assumersi le responsabilità davanti al popolo e davanti alla storia per garantire la continuità dello Stato e dei servizi pubblici”. I militari hanno promesso che il loro scopo non è “mantenere il potere” ma garantire “la stabilità del Paese al di là delle divisioni politiche e ideologiche”. Una stabilità che permetterà al Cnsp “di organizzare elezioni generali entro un periodo di tempo ragionevole per consentire al Mali di dotarsi di istituzioni forti”. Per il momento però i militari hanno dichiarato il coprifuoco notturno in tutto il Paese e la chiusura dei confini.
È dal 5 giugno che in Mali montano le proteste verso il governo del presidente Keita: dalla grande manifestazione di piazza andata in scena a Bamako quel giorno aveva preso il nome il Movimento del 5 giugno, che chiedeva insistentemente le dimissioni del presidente, accusato di aver falsificato i risultati delle ultime elezioni parlamentari, tenutasi a marzo, che avevano confermato la maggioranza al partito di Keita solo in seguito all’intervento della Corte Costituzionale, composta da giudici considerati molto filo-governativi. Ma a Keita, salito al potere a sua volta con un colpo di stato nel 2013, inizialmente con un ampio consenso popolare, viene contestata anche l’incapacità di garantire sicurezza e stabilità nel Mali che, soprattutto in alcune zone del nord-est al confine con Algeria e Niger, è ancora preda dei jiadhisti dello Stato islamico.
Il tutto nonostante nel paese siano impegnate attualmente due missioni, una delle Nazioni Unite e una dell’Unione europea, volte proprio a favorire la transizione e la stabilizzazione del Paese, che impegnano in tutto 15 mila soldati stranieri, la maggior parte dei quali francesi.
Nous considérons que la stabilité du #Mali et de la région et la lutte contre le terrorisme doivent demeurer des priorités absolues.
Proprio il francese Charles Michel, in veste di presidente del Consiglio europeo, ha spiegato che “gli eventi in Mali destano profonda preoccupazione e possono avere un impatto destabilizzante sull’intera regione e sulla lotta al terrorismo” e ha chiesto da parte dell’Unione europea l’immediata liberazione dei prigionieri e il ripristino dello Stato di diritto. In Italia, anche la Farnesina si è detta preoccupata per il “violento sovvertimento dell’ordine costituzionale” e disponibile a cooperare per raggiungere al più presto una soluzione pacifica a beneficio dell’unità e della democrazia del Mali”. Nell’auspicio quantomeno che la promessa di libere elezioni in tempi ragionevoli possa effettivamente realizzarsi presto.
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