Si tratta di un’area di 202 chilometri quadrati nata grazie agli sforzi durati 16 anni delle comunità locali e nazionali a Porto Rico.
Italia, un paese dai piedi d’argilla. Come prevenire e ricostruire in chiave sostenibile
Il maltempo e i terremoti del 2016 hanno causato danni e vittime. L’Italia può fare delle sue fragilità una chiave di volta per il rilancio, la crescita e la messa in sicurezza. L’editoriale della presidente di Legambiente.
Un Paese dai piedi di argilla. Ancora una volta, l’ondata di maltempo che si è abbattuta sull’Italia, e ancor prima il terremoto che ha devastato il centro della Penisola, ha messo in luce la debolezza e la fragilità del nostro paese, alimentate di anno in anno anche dai cambiamenti climatici. L’esondazione del Tanaro in Piemonte, le forti piogge in Sicilia e in Calabria e i continui smottamenti registrati in diverse zone di Genova con 200 sfollati parlano chiaro. Non è più concesso perdere tempo, l’Italia deve invertire la rotta e diventare uno stato dai piedi forti e saldi. Una scommessa e un impegno che deve ai cittadini e, in particolare, a quei sette milioni di persone che vivono e si trovano ogni giorno in zone esposte al pericolo di frane o alluvioni in Italia.
I numeri della fragilità italiana
Stando all’ultimo dossier di Legambiente sul rischio idrogeologico in Italia, Ecosistema rischio, in ben 1.074 comuni (il 77 per cento del totale) sono presenti abitazioni in aree a rischio. Nel 31 per cento dei casi sono presenti addirittura interi quartieri e nel 51 per cento sorgono impianti industriali. Nel 18 per cento dei comuni intervistati, nelle aree golenali o a rischio frana si trovano strutture sensibili come scuole o ospedali e nel 25 per cento strutture commerciali.
Nonostante gli allarmi e i drammi del passato, l’urbanizzazione nelle zone pericolose continua, tanto che nel 10 per cento dei comuni intervistati sono stati realizzati edifici in aree a rischio anche nell’ultimo decennio e solo il 4 per cento delle amministrazioni ha intrapreso interventi di delocalizzazione di edifici abitativi e l’1 per cento di insediamenti industriali. Una leggerezza che a volte si paga a caro prezzo. Solo nel 2015 frane e alluvioni hanno causato nel nostro Paese 18 vittime, un disperso e 25 feriti con 3.694 persone evacuate o rimaste senzatetto in 19 regioni, 56 province, 115 comuni e 133 località. A questi dati si aggiungono le immagini e i numeri dell’ultimo terremoto che ha colpito prima Amatrice e i comuni limitrofi, con oltre 300 morti ed edifici crollati come scuole e ospedali, e poi quello con epicentro a Norcia che ci restituisce un’Italia ferita con i suoi piccoli borghi appenninici in parte distrutti ma determinati a rinascere, perché il futuro non crolla mai.
L’Italia deve affrontare le sfide per rafforzarsi
Di fronte a quanto sta accadendo e a quello che è accaduto, è evidente che non si può più scherzare. Questo paese va curato e rafforzato affinché si evitino nuovi disastri, inutili morti e un’infelice conta dei danni. Tra Liguria, Piemonte e Sicilia il maltempo dei giorni scorsi ha causato oltre un miliardo di euro di danni. La situazione rimane critica nel nordovest con ancora migliaia di sfollati, strade interrotte, ponti crollati e tanti campi coltivati devastati da fiumi e torrenti. Eppure l’Italia può fare delle sue fragilità una chiave di volta per il rilancio, la crescita, l’occupazione ed ovviamente la messa in sicurezza. Una sfida importante che se accettata potrà veramente cambiare il paese e contribuire alla diffusione di una maggiore consapevolezza della cultura della convivenza. Ma per realizzare ciò è fondamentale che il tema della fragilità del territorio diventi centrale nella riflessione comune a tutti i livelli di governo del territorio, insieme a quello della prevenzione che permetterebbe di far risparmiare migliaia di soldi spesi per riparare i danni causati dal maltempo e da eventi calamitosi come alluvioni, terremoti o frane.
Prevenzione e ricostruzione sostenibile
La prevenzione deve diventare la priorità per il nostro Paese, deve prevedere un approccio complessivo, che sappia tenere insieme le politiche urbanistiche, una diversa pianificazione dell’uso del suolo, una crescente attenzione alla conoscenza delle zone a rischio, la realizzazione di interventi pianificati su scala di bacino, l’organizzazione dei sistemi locali di protezione civile e operare per la diffusione di una cultura di convivenza con il rischio che punti alla crescita della consapevolezza presso i cittadini dei fenomeni e delle loro conseguenze. Per quanto riguarda la sicurezza sismica, l’Aquila, Amatrice e i tanti borghi del centro Italia colpiti dal sisma, ci ricordano l’urgenza di guardare ad un modello di ricostruzione sostenibile e antisismica incentrata sui centri storici e sulle comunità locali, che deve essere accompagnato da una efficace prevenzione, messa in sicurezza e una formazione costante che coinvolga amministrazioni e cittadini. Sono questi per noi di Legambiente i punti su cui il Paese deve lavorare e puntare, perché può e deve stare in piedi e fare delle sue fragilità una chiave di volta per il futuro.
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