La seconda domenica del mese di maggio ricorre la festa della mamma. In un villaggio che non esiste più, la psicologa Alessandra Bortolotti ci spiega come normalizzare le brutte emozioni e svincolarci dai giudizi e pregiudizi altrui.
“Chi ha la mamma non pianga”, recita un vecchio detto. In realtà di proverbi sulle mamme, in Italia, ne siamo pieni: “La madre può più degli dei”; “Vale più una madre che cento amici”; o l’intramontabile: “Di mamma ce n’è una sola”.
Insomma, l’importanza del ruolo della madre è innegabile. Ma è davvero qualcosa di cui abbiamo bisogno? Non troppo: le aspettative di questa presunta superiorità sono ingombranti, irrealistiche e troppo pesanti da portare da sole. E soprattutto, rendono ogni madre bersaglio di critiche e giudizi da parte di chiunque, anche delle altre madri.
Si chiama mom shaming: una forma di bullismo che colpisce le madri e che le rende responsabili di qualsiasi scelta genitoriale, le uniche a cui rivolgere giudizi, consigli non richiesti che vorrebbero andare a modificare il loro modo di agire e di pensare e critiche mal celate sulle proprie scelte di vita.
Specialmente se riguardano la famiglia.
Maternità onesta
L’Italia “non è un paese per madri”, scrive la demografa Alessandra Minello nel suo omonimo libro pubblicato per Laterza. I motivi sono tanti, specialmente se si guarda all’ambito lavorativo, e la scrittrice li spiega dettagliatamente nel report di Save the children, di cui è curatrice, dal titolo fin troppo evocativo, Le Equilibriste 2024.
In Italia, anno 2024, la situazione di chi decide di avere un figlio e di proseguire il lavoro, una donna su cinque lascia il lavoro se diventa madre, non migliora le proprie condizioni, anzi, obbliga e trasforma la madre in una vera eroina.
Questo passaggio da donna a madre è qualcosa che viene descritto come naturale. Ed è colpa di questo pregiudizio culturale se non riusciamo poi a svincolarci dai sensi di colpa nell’accorgerci che, effettivamente, non è così.
“Quando una donna diventa madre le si dice che poi la sua vita tornerà come prima, che farà tutto come prima, che lei stessa ritornerà ad essere quella di prima”, spiega Alessandra Bortolotti, psicologa dello sviluppo e dell’età evolutiva, esperta del periodo perinatale e scrittrice. Nonché madre di due ragazze. “Ma questo non potrà mai succedere, perché c’è una nuova creatura di cui prenderti cura che ti cerca, che è fisiologicamente dipendente da te. Il dire che tornerà tutto come prima è un messaggio sbagliato, dovremmo essere onesti su questo”.
Un nuovo villaggio virtuale
Quel famoso proverbio africano, “per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio”, rappresenta forse una delle sfide maggiori della maternità del 2024, che si collega tantissimo alla grande tematica della solitudine delle madri.
Ci siamo persi la genitorialità diffusa di qualche generazione fa, quando le case ospitavano madri, nonne, sorelle, zii, quando i bambini erano davvero di tutti. “Questo perché sono cambiati i cicli vitali”, dice ancora la psicologa Bortolotti, “I nonni di oggi non sono i nonni di trenta o quarant’anni fa. Il nonno ora ha un’aspettativa di vita migliore, spesso lavorano, hanno i loro hobby, non è detto che vivano nella stessa città dei nipoti. La sfida della solitudine è dovuta al fatto che effettivamente le mamme hanno molti meno aiuti familiari rispetto alla cerchia di quel villaggio famoso, che adesso non esiste più”.
O meglio, forse esiste ancora un villaggio. Profondamente cambiato, fatto di relazioni virtuali, di gruppi Facebook dove mamme di tutta Italia si confrontano e scontrano su spannolinamento o svezzamento, su sonno e seggiolini. È un nuovo villaggio dove l’aiuto, quello vero, non arriva dalla cerchia familiare, ma da un professionista esterno altamente specializzato, se si hanno le possibilità economiche per richiedere tale aiuto.
Il fenomeno del mom shaming e il ruolo dei social nella maternità
Questi tipi di aiuti e supporti arrivano spesso anche tramite i social network. Sono tanti i professionisti che fanno informazione e formazione su Instagram, Facebook o Tiktok.
Alcuni la prendono come missione, per cambiare la narrazione della genitorialità e per renderla più accessibile a tutti. Profili Instragram come quelli dei pediatri Claudio Olivieri, Pediatra Carla o Valentina Paolucci, la dottoressa dei bambini. Ma c’è anche Mariagrazia Terreni, che si occupa di ginecologia, Leguminosa, che si occupa invece di nutrizione per tutta la famiglia, oppure ancora Le fate della nanna, puericultrice e sleep coach certificata, e il profilo di Alessandra Bortolotti, che è anche membro del direttivo del Mami (Movimento allattamento materno italiano) e peer counselor in allattamento secondo il modello Oms/Unicef.
Most mothers have a 'mommy-shaming' story – strangers remarking on a child’s lack of discipline, breastfeeding choices, etc.
“Ma dobbiamo renderci conto anche dei rischi dei social”, avverte Alessandra Bortolotti. “Il genitore oggi è un grandissimo oggetto e soggetto di marketing. Nei social dobbiamo verificare i profili, non dobbiamo farci attrarre dal numero di follower ma verificare i titoli professionali e accademici”.
E poi, la grande trappola del confronto virtuale, spesso usata per combattere la solitudine: “Quando il confronto si trasferisce sui social diventa molto difficile instaurare delle relazioni vere, stabili, solide, in cui prendere il bambino dell’altro in braccio”, prosegue la psicologa. “Inoltre noi sappiamo che davanti a uno schermo la nostra identità assume connotati diversi. Cascano i tabù, le inibizioni, la persona se si sente ferita diventa più aggressiva”.
Da qui il fenomeno del mom shaming.
I figli sono ciò di più prezioso che abbiamo nella vita e ognuno di noi ha paura di non essere abbastanza e di creargli dei traumi. Questa paura è poi la molla per aggredire quando qualcuno ti fa sentire in colpa verso le scelte fatte per i tuoi figli.
Alessandra Bortolotti
Prestazione VS relazione
La sfida è dare valore alla relazione più che alla prestazione dell’essere madri.
“Per sfuggire alla trappola del mom shaming occorre prediligere relazioni reali con persone che conosciamo, che siano a noi affini, che ci facciano stare bene nel nostro nuovo ruolo di madre”, suggerisce Bortolotti. “Può succedere con la nostra vicina, con una sconosciuta al parco, ma può non succedere per esempio con quell’amica storica che al momento non ci capisce. Le persone ti condizionano la vita: dobbiamo scegliere di stare con chi ci fa stare bene, dobbiamo essere in grado di chiedere aiuto a persone fidate se ci sentiamo in difficoltà e dobbiamo fuggire dagli haters, nei social e nella vita reale”.
Nella genitorialità, il benessere emotivo e psicologico delle madri è qualcosa da rivendicare egoisticamente. Allo stesso modo di come devono essere rivendicate, per le donne e per le madri, quelle emozioni negative che ci vergogniamo di provare davanti ai nostri cari: la rabbia, la fatica, la depressione, l’ansia.
“L’immagine della mamma perfetta, vestita bene, pettinata a puntino, che fa il dolce, che mette a letto i bambini con il bacio e la favola della buona notte, non esiste, non è la realtà”, conclude Alessandra Bortolotti. “Nella nostra società, che non è quella del villaggio ma è patriarcale, le emozioni negative delle donne non esistono. La lotta che dobbiamo fare è di diffusione della cultura matriarcale, che non è andare contro l’uomo, ma riprenderci la consapevolezza che i nostri cervelli sono appositamente formati per tutte le emozioni, non solo quelle che la società accetta”.
Forse, basta un poco di coraggio per mandare giù la pillola: riuscire ad accettare che essere genitori è faticoso, e che non è qualcosa di cui vergognarsi.
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