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Marco Cappato. Il biotestamento è un bel passo, ma l’obiettivo è l’eutanasia legale
Ha accompagnato Dj Fabo in Svizzera, ma da anni si batte per una legge che contempli la libera scelta sul fine vita. L’intervista a Marco Cappato sul biotestamento.
Poche settimane fa Marco Cappato ha accompagnato fisicamente Fabiano Antoniani, anche noto come Dj Fabo nella coraggiosa e sofferta scelta di ricorrere all’eutanasia in Svizzera. In questi giorni, proprio sulla spinta emotiva della morte scelta dal giovane rimasto cieco e paralizzato, anche il parlamento italiano discute una legge sul fine vita, e il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni dice la sua su questo testo e sulla necessità di lasciare al paziente libera scelta, attraverso il testamento biologico. Fino alla fine.
Sei favorevole al #testamentobiologico che stabilisce le cure che una persona accetterebbe in caso di incapacità di esprimere il consenso?
— LifeGate (@lifegate) 15 marzo 2017
Il testo in discussione alla Camera non prevede ancora la legalizzazione dell’eutanasia. Reputa sia comunque un importante passo avanti sul tema del fine vita?
È un testo che chiarisce due punti fondamentali in modo positivo: che attraverso il consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento si può esprimere una volontà che poi è vincolante per tutti, anche per il medico; e che si può rinunciare anche all’idratazione e alla nutrizione artificiale, cioè i due punti che rendevano il precedente tentativo parlamentare di Calabrò (senatore di Forza Italia, membro della commissione Sanità, autore di un precedente ddl sul fine vita mai approvato, ndr) assolutamente carta straccia. In questo caso invece il testo Lenzi (la deputata del Pd, attiva in commissione Affari sociali alla Camera, che invece ha firmato l’attuale proposta di legge) li rispetta.
Ciò non toglie che la vostra battaglia guarda ancora più in là.
Intanto anche in questa legge ci sono degli elementi che rischiano di annacquarne la portata: il riferimento alla deontologia medica, il richiamo esplicito al ricorso al giudice in caso di contrasto tra fiduciario e medico e nel caso di nuovi ritrovati della medicina e della tecnica sopraggiunti, e il punto sulla tutela della vita, generico ma sempre pericoloso perché può essere utilizzato per resistere giuridicamente alla volontà della persona. Già questo è un grosso compromesso, perché oggi una legge sul fine vita dovrebbe includere la legalizzazione dell’eutanasia, naturalmente, e l’assistenza medica alla morte volontaria: se all’interno del compromesso si scenderà ancora in ulteriori compromessi il testo diventerebbe inutile.
Eppure in Parlamento i contrari sostengono che la rinuncia all’idratazione e alla nutrizione artificiale rappresenti una sorta di eutanasia mascherata…
Si tratta di un imbroglio terminologico: l’articolo 32 della Costituzione specifica già che nessuno può essere sottoposto a trattamento sanitario contro la sua volontà. Ma in generale noi non possiamo neanche essere forzati a mangiare e a bere. Il testamento biologico serve solo a trasferire i diritti che abbiamo già alla situazione in cui ci trovassimo nella condizione di non poter esprimere più la nostra volontà. La domanda vera che si può fare a chi sostiene questo è “io ho il diritto di sospendere una terapia? Sì, ho diritto di smettere di mangiare e di bere? Sì”. In più qualsiasi carta degli anestesisti e dell’Organizzazione mondiale della sanità ci dice che ovviamente la nutrizione artificiale è un atto medico: non fosse altro perché che va effettuata attraverso una cannula, con una determinata operazione per introdurre i preparati, che sono preparati medici. Non stiamo parlando di spaghetti all’amatriciana e, se anche se fossero spaghetti all’amatriciana, lo stato non mi può condannare a mangiarli con la forza.
Per quale motivo il riferimento della legge alla deontologia medica è sbagliato?
Prima di tutto perché una legge vale per tutti, mentre il codice deontologico vale solo per i medici: è sbagliato che una legge dello stato faccia riferimento al regolamento di una corporazione. In più l’ordine dei medici negli ultimi anni è stato molto conservativo perché vuole mantenere il potere il più possibile nelle mani del medico, ma questo è esattamente quello che la legge deve superare. Il medico assiste il malato, propone le cure, gliele fornisce se vengono accettate ma non può imporre una cura o un’altra.
Pensa che sul fine vita, così come sull’obiezione di coscienza per l’aborto, pesi anche la persistenza di una forte impronta cattolica?
Non credo. È un’ideologia che va al di là del cattolicesimo, c’è il paternalismo medico, e la presunzione statalista di dover esercitare il potere sui corpi che è nel germe dello stato totalitario, di qualsiasi ideologia. I cattolici possono essere laici e liberali e distinguere la legge dello stato dalla dottrina. Ma se anche volessimo scendere nell’ambito della dottrina, il libero arbitrio è un elemento fondante del pensiero cattolico, per cui il discorso secondo cui la vita è un dono e non possiamo farne ciò che vogliamo è un imbroglio all’interno di una discussione teologica.
E allora perché la nostra legislazione è ancora così lontana rispetto a quella, per esempio, della Svizzera?
Semplicemente per un problema di malfunzionamento del sistema democratico, perché quando tu hai delle percentuali superiori al 70 per cento di consenso sul testamento biologico – ma addirittura anche sull’eutanasia secondo tutti i sondaggi – è chiaro che è la democrazia che non funziona nella trasmissione delle istanze dalla società alla politica. Siccome noi non le vediamo queste persone, siccome manca una organizzazione sistematica in stile corporativo, viviamo il problema quando ne siamo colpiti da vicino, e subito dopo il problema non ci riguarda più.
Il caso di Fabo ha riacceso l’attenzione sul fine vita a qualche anno di distanza dai casi di Piergiorgio Welby e di Eluana Englaro. Eppure nel giorno della discussione generale la Camera era praticamente vuota. Questa è la volta buona per avere una legge?
Il caso di Fabo è stato quasi troppo, nell’unanimità di opinioni che ha creato. L’emozione su un caso individuale dura poco, poi si passa all’argomento successivo. Per questo ci vorrebbero degli approfondimenti televisivi nei talk show in prima serata. Anche il parlamento, è vero che il giorno della discussione era vuoto, se però avessero trasmesso il dibattito in diretta tv magari più persone avrebbero sentito il dovere di intervenire. Nel dibattito parlamentare questo si traduce nel fatto che i contrari non tentano di vincere convincendo le persone, fanno una battaglia di bandiera nella vera speranza dell’ennesimo rinvio. Loro hanno già vinto visto che siamo l’unico paese europeo, oltre all’Irlanda, a non avere una legge sul testamento biologico. Adesso punteranno ad annacquare ancora il testo che, però, sicuramente non tornerà al modello Calabrò, puntare su emendamenti, rinvii, e alla fine sperare che le elezioni politiche arrivino prima del voto finale e che la leggi venga accantonata.
Quindi non siete ottimisti sul fatto che si arrivi a un’approvazione finale?
Il compito nostro non è essere pessimisti o ottimisti, è di mobilitare tutte le energie per una buona legge, per accompagnare il dibattito parlamentare. Tweet riguardo #biotestamento
Dopo aver accompagnato Fabo in Svizzera ti sei autodenunciato, e non è la prima volta. Non hai avuto la tentazione di fermarti di fronte alla paura di complicazioni personali? E ti è capitato di ricevere qualche attestato di stima che non ti aspettavi?
Un tassista mi ha riconosciuto e non mi ha fatto pagare la corsa. Nel dibattito politico è stato molto importante l’intervento di Fabrizio Cicchitto (deputato del Nuovo Centrodestra, ndr) perché ha posto con chiarezza il tema dell’eutanasia, ma per il resto di personalità che mi abbiano chiamato, poca roba… io, in questo caso, non ho nessuna paura: sento di fare il mio dovere, e d’altra parte penso che sia questione di tempo arrivare alla legalizzazione dell’eutanasia. È un fenomeno sociale: con l’allungamento della vita media delle persone, la necessità di poter decidere nelle fasi della malattia e della morte diventa un’esigenza sociale, per cui io penso che la direzione sia quella. Altrimenti vorrebbe dire che le istituzioni hanno perso irrimediabilmente qualsiasi capacità di ascolto della società. Questo sarebbe ancora più grave della questione di merito.
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