Nel suo libro, Pianeta oceano, la biologa marina ci invita a essere parte attiva della salvaguardia dell’oceano perché la nostra vita dipende dal mare.
La sua passione per il mare è diventata prima il suo mestiere, poi una missione e ora un libro. Mariasole Bianco, biologa marina e voce di riferimento a livello nazionale e internazionale per la tutela dell’ambiente marino e lo sviluppo sostenibile, ha pubblicato proprio nella Giornata mondiale degli oceani, Pianeta oceano, il suo primo libro dove racconta le meraviglie e le problematiche legate al mondo del mare. “L’obiettivo – dice la scienziata che abbiamo intervistato – è quello di descrivere l’eccezionalità di questa vasta porzione di pianeta, senza dimenticare però ciò che lo affligge. Parlarne e diffondere consapevolezza è una mia responsabilità. Occorre che i nostri occhi arrivino oltre il velo blu che tutti vedono”.
In questi anni di studio dedicato agli oceani e ai suoi segreti, cosa l’ha davvero meravigliata, pur essendo una scienziata?
Per me la cosa sbalorditiva è stata scoprire che conosciamo solo il 5 per cento dei fondali marini. Paradossalmente abbiamo mappe più dettagliate degli altri pianeti, della Luna o di Marte. È incredibile soprattutto se pensiamo a ciò che abbiamo trovato studiando questa infinitesima parte degli oceani. Per esempio, nelle sorgenti idrotermali che troviamo in profondità – quelle aree cioè dove la crosta terrestre si spezza e fuoriescono gas e metalli pesanti, dunque un luogo di genesi – è stato appurato che può esistere la vita senza l’energia solare. Una scoperta rivoluzionaria. Lì esistono dei batteri che riescono grazie alla chemiosintesi a supportare altra vita. Questo ha cambiato il modo in cui pensavamo alla vita che forse proviene proprio da lì.
Parlando di stretta attualità poi, quindi di coronavirus, è emerso che da alcuni organismi, trovati in queste aree e analizzati, hanno estratto degli enzimi che vengono tutt’ora utilizzati per test diagnostici di malattie come il coronavirus e l’Aids. Microorganismi capaci di vivere a profondità, pressione e acidità altissime e temperature bassissime che possono sviluppare al loro interno sostanze forse anche in grado di curare queste malattie. E potrei continuare a elencare altre scoperte davvero importanti. Di fatto quindi non abbiamo studiato più a fondo il mare perché non sono stati investiti i fondi necessari. Si tratta di un problema economico: nel libro racconto come con il budget destinato per un anno alla Nasa l’agenzia americana che si occupa di esplorazione oceaniche potrebbe lavorare per 1600 anni. Questo fa pensare.
Se oggi pensa al mare, quali sono le maggiori criticità, i problemi che la preoccupano? Prima di tutto i cambiamenti climatici che in mare si traducono in quelle che vengono chiamate “le tre sorelle cattive“: riscaldamento delle acque, acidificazione e deossigenazione. La loro gravità sta nel fatto che vanno ad agire sull’essenza del mare, sulla sua composizione chimico fisica, che è cosa difficilissima da fare perché l’oceano occupa il 71 per cento del pianeta. Ecco, l’uomo riesce a modificare, negativamente, la chimica di una massa così vasta. Questo mi preoccupa. A spaventarmi invece è la disconnessione: quella che noi abbiamo dalla natura e quindi anche dagli oceani. La presunzione cioè di essere, come esseri umani, sopra tutto, mentre siamo solo parte di un sistema complesso. Il coronavirus dovrebbe avercelo insegnato: se alteriamo il sistema, ne paghiamo caro il prezzo. Tendiamo a proteggere solo ciò che conosciamo e a cui siamo affezionati e per questo ho deciso di impegnarmi in prima persona e investire molto nella comunicazione per creare consapevolezza sulle meraviglie e le problematiche di questo Pianeta oceano.
In Pianeta oceano però dà anche dei segnali di speranza, specie parlando delle aree marine protette. Le aree marine protette sono un po’ come i parchi nazionali che abbiamo sulla terra emersa, nascono per tutelare la biodiversità. Ma sono anche uno strumento per raggiungere lo sviluppo sostenibile: si tratta di aree di mare, pianificate, suddivise in zone – in alcune possono pescare solo i pescatori locali, altre sono frequentate solo dai diving, in altre ancora non può andare nessuno. Lo scopo primario di queste zone è proteggere aree speciali in modo che il pesce possa riprodursi e l’ambiente marino riacquistare l’equilibrio perso. È oggi sicuramente uno degli strumenti migliori che abbiamo per invertire la rotta. Bisogna istituirne sempre di più, purtroppo in Italia solo l’uno per cento di aree marine è protetta. Bisogna però crearle nel modo giusto perché funzionano solo se sono ben studiate dal punto di vista scientifico.
Occorre innanzitutto che siano davvero aree dove il pesce si riproduce ed è basilare il supporto della comunità locale che diventa essa stessa custode e guardiano della protezione di questo tratto di mare. A volte invece questo non accade e vengono imposte a chi le abita e ci lavora e quindi c’è sempre stata un’avversione di fondo. Non è semplice dire a un pescatore che ha sempre pescato lì di non farlo più: è necessario invece rendergli evidenti i vantaggi, e ce ne sono per tutti. I risultati sono moltissimi, sia dal punto di vista economico (per esempio un aumento dei ricavi delle attività locali), che ambientale (il 400 per cento in più di biomassa). Le decisioni che prenderemo nei prossimi mesi saranno fondamentali: ora l’inversione di rotta deve essere drastica. Dobbiamo necessariamente investire nella rigenerazione.
In Pianeta oceano racconta di alcune aree marine protette nel mondo. In Italia quale nuova area è in programma? Quella delle Isole Eolie dove io ho anche lavorato. Purtroppo è un progetto che va avanti da diversi anni senza concretizzarsi ma, una volta istituita, questa diventerà l’area marina protetta più ampia del Mediterraneo. Unirà tutte le isole Eolie: incredibili scrigni di biodiversità, isole vulcaniche generate a 3000 metri di profondità. I tempi sono lunghi ma sono ancora fiduciosa.
Le vendite del libro andranno a sostenere Worldrise, l’associazione che ha creato anni fa. Di cosa si occupa? La missione principale di Worldrise è quella della conservazione e valorizzazione dell’ambiente marino. Ma anche di riconnettere le persone direttamente al mare. Lo facciamo mettendo in prima linea i giovani. I nostri progetti sono sia un “potenziamento” professionale per chi ha deciso di studiare il mare, sia il mezzo per conferire un ruolo di rilievo alle nuove generazioni: vogliamo infatti che siano i leader del cambiamento, come i giovani di Fridays for future.
Oggi abbiamo nove progetti in atto, stiamo crescendo tantissimo e in questo momento post coronavirus abbiamo deciso di lanciare una campagna #iocambio per “guidare” le persone verso il cambiamento. La maggior parte dei cittadini, seppur interessati, non sa come intraprenderla questa strada, mentre con delle piccole azioni quotidiane, possiamo tutti fare molto. Concretamente diamo informazioni chiave per implementare il cambiamento, per essere parte della soluzione. È bene diffondere il concetto che ogni azione individuale ha dei risvolti su tutta la comunità. A mio parere le organizzazioni ambientali hanno in questo senso una grande responsabilità, io la sento. Noi di Worldrise ci impegniamo per essere protagonisti e rendere i giovani e i bambini gli attori del cambiamento. Lavoriamo molto anche nelle scuole e i risultati sono eccezionali.
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Quest’estate siamo invitati tutti a scoprire e riscoprire il nostro paese, lei quale porzione di mare italiano consiglia di esplorare? Io invito tutti a visitare le aree marine protette del nostro paese e anche i parchi naturali italiani. Il nostro patrimonio naturalistico è immenso e bellissimo e visitandolo supportiamo la sua tutela. È importante e sarà anche un piacere farlo. Io personalmente andrò in Sardegna, isola alla quale sono molto legata, che ci vede anche protagonisti con un progetto di Worldrise. Poi mi sposterò nell’altra grande isola, la Sicilia, in particolare la zona nord.
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