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Mario Cucinella. Più l’architettura italiana si radica nel territorio più diventa sostenibile
Mario Cucinella, autore dell’installazione Smartown sul tema del risparmio energetico, esposta durante la Milano Design Week, ci parla dell’evoluzione dell’architettura italiana verso un modello sempre più sostenibile.
Mario Cucinella è pioniere dell’architettura sostenibile, argomento che abbiamo approfondito con lui in una precedente intervista sul tema dello sviluppo e della rigenerazione urbana, e come dimostrano progetti come la Casa della musica nelle zone dell’Emilia Romagna colpite dal sisma del 2012 e il recentemente inaugurato Centro Arti e Scienze Golinelli a Bologna. In quanto promotore di pratiche sostenibili applicate dalla singola residenza fino ai piani regolatori urbani ha fondato sempre nel capoluogo emiliano Sos-school of sustainability nel 2015, una scuola volta alla formazione di nuove figure professionali nel campo della sostenibilità.
Mario Cucinella alla Design Week 2018 con Smartown
Abbiamo incontrato Cucinella durante la Milano Design Week 2018 all’orto botanico di Brera dove i giovani architetti di Sos-school of sustainability hanno realizzato sotto la sua supervisione Smartown, un’installazione per far riflettere i visitatori sul consumo sostenibile dell’energia attraverso la metafora di una città immaginaria costituita da 700 piccole case luminose e smart. Ci ha raccontato come il percorso per raggiungere il cambiamento è lungo e complesso ma è importante che ne parli sempre di più.
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Il tema della sostenibilità è stato uno dei principali protagonisti della Design Week 2018. Quanto corrisponde a un’effettiva evoluzione nel modo di pensare al rapporto tra architettura e ambiente o quanto invece è un tema di tendenza?
Diciamo che ci sono due facce di questo problema: la prima mi fa dire che è bene che se ne parli, perché questo aiuta a far crescere la sensibilità e anche un po’ più di coscienza in generale. Il tema è molto importante e va affrontato. Anche se lo si fa talvolta in modo più opportunista, leggero ed estetico ha i suoi pregi e i suoi difetti. La seconda faccia è che si tratta di una cosa molto seria. Rispetto ai fenomeni dell’architettura degli anni passati in cui c’era un filone “fashion” qui si farà più fatica a seguire solo una moda perché su questo argomento c’è un aspetto di competenze che è ancora lontano dall’essere davvero acquisito. Il vero cambiamento non è soltanto quello climatico, che arriverà comunque, ma è proprio il tipo di cambiamento culturale profondo che dobbiamo fare nostro: quello dove non c’è più l’uomo al centro del dominio della natura. Quando entreremo nella consapevolezza che siamo parte di un sistema più ampio, siamo soltanto uno dei tasselli di un equilibrio che dobbiamo ritrovare, forse anche l’architettura prenderà una nuova estetica, un nuovo rapporto meno forzato e meno dominante. Questo mi sembra l’aspetto più lontano ancora, però il fatto che se ne parli è comunque positivo perché i cambiamenti sono lenti, difficili, lunghi e quindi da qualche parte bisogna cominciare.
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Allargare i confini e spostarsi dalla visione centripeta è anche il concetto dietro al progetto per il padiglione Italia alla prossima Biennale di architettura che aprirà a fine maggio a Venezia?
Abbiamo scelto un tema, anzi prima abbiamo scelto di cosa non parlare, cioè delle città metropolitane, perché in Italia in realtà non ne abbiamo. È nato un sistema amministrativo che ha prodotto 15 città metropolitane che di metropolitano hanno veramente poco. Ci siamo domandati: se tolgo le città metropolitane cosa resta? Il 65 per cento del paese e luoghi dove è ancora custodito il dna dell’Italia. Quello che voglio raccontare alla Biennale non è la solita storia ma il fatto che l’Italia ha un percorso sul tema urbano molto diverso dagli altri paesi. Noi non abbiamo delle grandi città per la semplice ragione che abbiamo fatto una politica del rapporto secolare città-campagna, da quando le abbiamo fondate e abbiamo costruito una rete di città. Queste reti sono state grandi custodi di cultura ma sono diventate grandi anche a livello di competitività, il che ha permesso di far crescere la nostra cultura in modo complesso con un contenuto creativo molto alto. Questi mille anni di competitività tra le città per fare meglio il prodotto, per accontentare i cittadini, ha creato un humus che è tutto italiano. Questa scelta intende anche rimarcare un fatto di cambiamento importante. Voglio far capire ai giovani architetti che non bisogna avere fatto un edificio a Hong Kong per essere un grande architetto. Un architetto è un uomo che partecipa alla vita sociale e civile anche attraverso opere misurate, giuste, piccoli edifici, cose che sono utili e che servono. Abbiamo attraversato il paese proprio per vedere quegli architetti che sono meno glamour, un po’ meno abituati alle pagine dei giornali ma che fanno un lavoro onesto che serve al paese. L’architettura deve servire al paese, e se ne fa troppo poca.
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Forse anche i media dovrebbero prestare più attenzione agli architetti meno conosciuti?
È un fatto anche di maturità, dell’essersi accorti adesso che abbiamo bisogno anche di molta concretezza, di progetti che siano legati ai contesti. Dobbiamo riscoprire un po’ anche le nostre origini, dove non bisogna sempre urlare o essere stravaganti, ma anche misurati. Il territorio italiano è complesso, storicizzato anche nel rapporto con il paesaggio. E lì possiamo creare una grande scuola che è anche molto più vicina alla sostenibilità. Quando parliamo di spopolamento, di problemi infrastrutturali, stiamo parlando del polmone del paese. Le aree interne sono il polmone che ci permette di sopravvivere. Parliamo dei luoghi dove c’è la più grande biodiversità, di valori di sostenibilità che non troviamo nelle città. Dobbiamo mettere nell’agenda una priorità: l’ambiente. E allora quelle aree diventano davvero importanti, fondamentali. C’è un tema di salute, di rapporto di vicinato, stiamo scoprendo che essere più vicini è un modo per curarsi meglio, che il nostro paesaggio ha un grande valore e non possiamo continuamente ferirlo con delle attività che lo penalizzano. Vogliamo raccontare una storia tutta nostra: in una Biennale dove ogni paese rappresenta se stesso noi rappresentiamo quello che siamo.
Smartown, la poetica installazione realizzata all’orto botanico di Brera durante la Design Week, celebra la casa e la bellezza immateriale dell’energia invitando allo stesso tempo a riflettere sui consumi. Qual è il suo messaggio?
Il tema di questa installazione è la casa, il nucleo fondamentale dell’abitare. In questo contesto abbiamo voluto raccontare la bellissima relazione tra architettura e natura. In questo caso vince la natura per dimensioni e questo mi sembra già una bella metafora. Altro tema è quello di raccontare anche la storia dell’energia: che ha un problema che non si vede. Proviamo a raccontare come il mondo digitale ci può aiutare a vederla, controllarla, misurarla in un sistema dove gli strumenti digitali diventano parte della nostra quotidianità. A questo punto vedi l’energia attraverso degli utensili che ti permettono di fare una politica di risparmio energetico. Questa è la metafora della casa come ultimo spazio dell’intimità ma anche come luogo che nella dimensione della città rappresenta uno dei grandi problemi di consumo e di inquinamento. Questi mondi si stanno avvicinando e ti permettono di controllare gli sprechi. Questo mi sembra il messaggio più importante da trasmettere.
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