Cop29

Come accelerare l’azione per il clima? La risposta è in città

Come costruire un nuovo multilateralismo climatico? Secondo Mark Watts, alla guida di C40, la risposta è nelle città e nel loro modo di far rete.

  • La Cop29 dimostra nuovamente che questa struttura negoziale va riformata.
  • Un esempio può arrivare dalle città, più dinamiche e agili a cogliere il cambiamento.
  • Il punto sulla lotta contro la crisi climatica con Mark Watts, direttore esecutivo di C40.

C’era una volta uno show televisivo ispirato al dilemma del prigioniero. Due concorrenti, che non si erano mai visti prima, avevano come obiettivo conquistare la fiducia reciproca. Se entrambi avessero scelto (a carte coperte) di condividere il montepremi in palio – ipotizziamo di 100mila euro – ciascuno avrebbe vinto la metà: 50mila euro. Se uno dei due avesse scelto di non condividerlo e l’altro sì, quello “egoista” avrebbe preso l’intero bottino. Se entrambi avessero scelto di non condividerlo sarebbero entrambi tornati a casa a mani vuote. La scelta più logica – evidentemente – sarebbe quella di condividere il montepremi, ovvero fare una rinuncia rispetto al 100 per cento per essere quantomeno certi di non tornare a casa a mani vuote. Eppure, non sempre le cose andavano secondo logica. A volte succedeva che alla fine della contrattazione – finalizzata a convincere l’altro della propria onestà e affidabilità – uno dei due decidesse di non condividere il montepremi nel tentativo di portare a casa l’intero bottino. Questo era uno dei momenti più drammatici perché l’altro, quello che invece aveva deciso di condividere, non solo si trovava a mani vuote, ma si sentiva tradito. Ancora più raramente succedeva che entrambi scegliessero di non condividere il montepremi tramutando il gioco in una sconfitta totale. Questa lunga introduzione ci serve per capire perché, in queste ore di negoziati e di contrattazioni alla Cop29 di Baku si faccia così tanta fatica a raggiungere un accordo sulla finanza climatica. Tendenzialmente perché nessuno vuole esporsi e tutti temono che, avanzando promesse economiche da destinare alla transizione, le altre parti non facciano altrettanto.

L’esempio virtuoso della città che lottano contro la crisi climatica

Eppure, un esempio di multilateralismo che risponda alle più sane logiche di collaborazione e fiducia esiste, ed è quello messo in campo dalle città. Per farci spiegare meglio perché questo meccanismo è virtuoso abbiamo intervistato Mark Watts, direttore esecutivo di C40, la rete di quasi cento grandi città unite nell’agire per contrastare la crisi climatica. Lo abbiamo incontrato al padiglione del Brasile, paese da cui è appena tornato per mettere l’esperienza e la competenza della rete a disposizione dei leader del G20, attraverso il vertice parallelo U20. Il Brasile è anche il paese che l’anno prossimo ospiterà la Cop30, conferenza su cui molti ripongono grandi speranze. A Rio de Janeiro, ha cominciato la conversazione Watts, “abbiamo messo a disposizione l’impianto di leadership multilaterale che funziona nelle città, molte delle quali hanno già raggiunto gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima attraverso l’adozione di piani che stanno portando avanti e monitorando costantemente”. Un impianto che funziona, ma che ha bisogno del supporto economico dei governi. Per questo la speranza di C40 è che da Baku si esca con una promessa di investimenti pubblici pari a800 miliardi di dollari all’anno da raggiungere entro il 2030 così che si possano sostenere i piani d’azione che le città hanno adottato per fare la loro parte per contenere l’aumento della temperatura media globale”.

Con le città si colma il 40% del divario tra mitigazione e 1,5°C

Soldi che sarebbero decisamente ben spesi visto che l’82 per cento delle città che fanno parte di C40 sta già riducendo le proprie emissioni. E lo sta facendo più velocemente dei rispettivi governi nazionali. Tra l’altro, guardando al divario, al gap che c’è attualmente tra il taglio delle emissioni a livello globale e l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura media globale entro gli 1,5 gradi Celsius, “le città potrebbero arrivare a colmare questo divario per il 40 per cento; il potenziale è enorme e bisogna cogliere l’opportunità affinché venga sfruttato al massimo”.

A questo punto è legittimo chiedersi come sia possibile portare questa forma di multilateralismo basato sulla fiducia e sulla predisposizione all’azione anche nelle relazioni tra stati. “La difficoltà è che il multilateralismo alle Cop è focalizzato su una negoziazione costante tra i paesi – afferma Watts –. Un paese farà delle concessioni solo se anche gli altri faranno altrettanto. Mentre il modello di multilateralismo che abbiamo tra le città di C40 è molto diverso. Tutte le amministrazioni hanno accettato gli obiettivi di riduzione delle emissioni proposti dalla scienza così come gli obiettivi di adattamento e transizione. Ogni città dà vita a un piano e poi se ne verifica l’implementazione tutti insieme”. Una sorta di equilibrio condiviso e tutt’altro che precario: “Noi facciamo un bilancio annuale delle azioni così da monitorare a che punto si trova ogni città. Se le città non realizzano i loro piani e non sono attive all’interno della rete, rischiano di perdere lo status di membro di C40. Quindi c’è un interesse e un incentivo a essere sempre propositivi”, continua il direttore esecutivo.

Tra città non ci sono gruppi antagonisti

Non ci resta che chiedere a Watts un esempio, non solo di multilateralismo, ma di collaborazione efficace tra città che fanno parte di quei gruppi (paesi industrializzati, emergenti e in via di sviluppo) che alle Cop sono in contrapposizione: “Sono appena stato in Cina per celebrare il primo anniversario dell’inaugurazione del green shipping corridor tra Shanghai, uno dei porti più grandi del mondo, e Los Angeles, a cui ora si aggiunge anche Singapore. Questo è un ottimo esempio di collaborazione perché queste città hanno il potere reale di cambiare l’intera industria marittima chiedendo a tutti coloro che entrano nei rispettivi porti di presentare un green ship [ovvero un certificato che dimostri strategie volte alla riduzione delle emissioni e al contenimento dell’inquinamento delle acque, ndr] dove è possibile allacciarsi alla rete elettrica alimentate da fonti rinnovabili mentre sono attraccate al posto dell’utilizzo di motori alimentati a gasolio”. Oppure c’è l’esempio di Tokyo che ha deciso di aiutare Kuala Lumpur, città della Malesia in rapida crescita, per adottare un nuovo regolamento edilizio che guardi al futuro. “Tokyo è molto innovativa nell’utilizzare il mercato delle emissioni per spingere i proprietari di grattacieli privati a ristrutturare i loro edifici e ridurre la domanda di elettricità. Il mercato – ci spiega Watts – è quindi utile per coprire questi costi”.

Coltivare la fiducia, la collaborazione al fine di costruire un futuro migliore per tutte e tutti è dunque la chiave per le città. Un modello che deve essere approcciato anche a livello internazionale (nel senso di relazioni tra nazioni) per non rischiare che il dilemma del prigioniero ci lasci tutti senza più nulla tra le mani.

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